Crisi, aquile, galline e pavoni di P. Pagliani
Sette pensieri dopo la lettura dell’interessante analisi di Mauro Tozzato sulla prolusione del ministro Tremonti all’Università Cattolica di Milano.
1) Una prolusione all’Università Cattolica non poteva che pendere sul lato della morale. Serviva quindi il Tremonti della Domenica e non quello feriale. C’è chi per far audience politico si attacca a “L’isola dei famosi” e c’è chi si attacca all’”etica capitalistica”: a ciascuno il suo, secondo i propri talenti (come si dice nel Vangelo).
2) Il “Tremonti della Domenica” mi sembra ad ogni modo di caratura intellettuale più alta dei suoi corrispettivi di sinistra. Parole per parole, si confronti ad esempio questo discorso con le giustificazioni (si fa per dire) che Carlo Azeglio Ciampi diede in televisione per ribattere alle perplessità, anche da parte di conservatori come ad esempio l’ex ministro francese Charles Pasqua, sull’introduzione di una moneta, l’Euro, non governata da una politica (in un certo senso era il secondo “esperimento”, dopo il Cile di Pinochet coi suoi Chicago Boys, di una scelta monetarista fatta ”in vitro”); ebbene di fronte a questa sensatissima obiezione, il “grande economista” (per la sinistra) e “grande Presidente della Repubblica” (per la sinistra) rispose nel più classico modo solon-cialtronesco: “
3) Il “Tremonti della Domenica”, bene attrezzato di weberismo (“idealtipo” è un termine che personalmente non ho mai sentito usare dai ministri di sinistra), lamenta la perdita dell’etica protestante-capitalistica dell’intenzione e della responsabilità. Avrei molto da obiettare sul famoso studio di Max Weber, ma usando categorie di grana grossa, mi sento di dire che quest’etica è stata quella della fase proto-borghese e borghese del capitalismo (come già si capisce leggendo Marx), etica che è sparita nell’attuale fase post-borghese. Fase che non ritengo né ultima, né distribuita uniformemente in ogni angolo del globo, ma che qui da noi, in Occidente, è proprio quella che adesso c’è, con tutta la sua “carenza di eticità”.
4) Ma questa carenza di eticità non nasce oggi: è intrinseca alla forma sociale dei “funzionari del capitale”. Tremonti ci arriva vicino – nelle intenzioni – quando sottolinea che l’unica forma di proprietà “legittima” è la società per azioni, ma scansa il bersaglio non riconoscendo che proprio quella è la base delle società integrate verticalmente e a direzione manageriale, modello che dagli USA si espande in tutto il mondo nel dopoguerra, quelle che ospiteranno i germi della “forma istantanea e sciortista [immagino da “short” n. d. a.] del conto economico” denunciata come priva di “eticità capitalistica” da Tremonti nella sua prolusione (e giustamente; basta solo intendersi sui termini). Forma che è il riflesso aziendale della finanziarizzazione, che pur non essendo legata univocamente alla forma giuridica della “società per azioni” in essa trova una base particolarmente agevole.
5) Ma anche tutto ciò non bastava: ci sono voluti anche la perdita del contrappeso del movimento operaio e la crisi sistemica iniziata nel 1971 con il collasso del “dollar-gold exchange standar” (collasso prima politico e solo dopo da considerarsi economico). In altri termini è stata la successiva gestione della crisi che ha chiuso gli spazi all’etica, se di etica si vuol parlare (quella cui assistiamo non è la crisi in se stessa, ma una conseguenza dell’ingestibilità della lunga crisi sistemica, uno dei suoi tanti punti di rottura che ci attendono).
6) Ma di quale “etica” si sta parlando alla fine? Evidentemente, in questo discorso liturgico, di un’etica di carattere sociale. Allora credo che si possa anche lasciar stare Max Weber e, inforcate per bene le lenti di Marx, riprendere in mano Karl Polanyi: quel che si è conclamato, come il re che rimane nudo, è che l’economia di mercato (che è diversa da un’economia “con mercato”) è in diretta contraddizione con la società. Possiamo quindi riportare l’etica nel suo alveo naturale, che è un alveo sociale e rimetterci a parlare – non solo, ma innanzitutto – di formazioni sociali, classi, rapporti sociali, contraddizioni sociali, conflitti sociali, conflitti tra formazioni particolari (non è solo una questione di velocità, caro Tremonti; è anche una questione di velocità economica, ma innanzitutto è una questione di rapporti di Potere).
7) Ma qui siamo su un terreno in cui Tremonti non si azzarda a fare alcun passo. Credo anzi, che sia un terreno che le sue coordinate concettuali e sociali, pur dimostrando un’intelligenza più agile di quella alla quale ci hanno abituato i tetri contafagioli della sinistra, non gli permettono di individuare. Siamo messi bene! I grandi esperti di sinistra si fermano ancor prima (siamo al punto che è Tremonti che passa per esperto di Marx per la nostra stampa). Al più si amplia il coro bipartisan che vede nel sostegno ai consumi uno dei punti chiave per la soluzione della crisi (via aiuto alle famiglie, o via incrementi salariali – che, ripeto per l’ennesima volta, sono da sostenere per equità sociale e solo per questo – o un mix di questi).
Insomma: come ti giri, a destra o a sinistra, trovi il nulla.
Tuttavia, riguardo questa tesi sottoconsumista faccio un umile invito: non si tiri in ballo Rosa Luxemburg, ché Rosa era pur sempre un’aquila, come ben sapeva Lenin. Tra i grandi soloni che ci propone l’odierno scenario, anche quelli che volano più alto rimangono delle galline o al più, per non far torto, degli aristocratici pavoni (che comunque, per motivi estetici e culturali, son più gradevoli da vedersi dei poveri polli ruspanti).
Piero Pagliani