Questa volta non basteranno le magie contabili di Marchionne, né la disinvoltura con la quale il personaggio è solito muoversi sui mercati finanziari, a salvare la Fiat. Il settore dell’auto, travolto dalla crisi finanziaria ma, soprattutto, dalla saturazione di un mercato ormai consunto e tecnologicamente superato, dovrà ripensare sé stesso, in maniera palingenetica, ristrutturandosi e riconvertendosi, laddove possibile. Non dimentichiamo che la Fiat si sarebbe già estinta – con buona pace di chi continua a ripetere l’anacronistico adagio degli Agnelli, secondo il quale ciò che va bene alla Fiat va bene all’Italia – se lo Stato non le avesse praticato iniezioni, a dosi omeopatiche, di aiuti pubblici e se la Gm non le avesse versato 1,55 mld di euro, quale penale per uscire da un affare che, all’epoca, si era subito rivelato “a perdere”.
Già a quel tempo sostenemmo che la fuga di uno dei più grandi colossi americani, anch’esso oggi in profonda difficoltà, dal mercato italiano era sintomatica dello stato in cui versava la Fiat. Probabilmente, gli americani si erano resi conto che il gruppo torinese viveva succhiando, come un’idrovora, risorse dalle casse dello Stato e che, dopo il passaggio di proprietà, non sarebbe stato più possibile contare sulla stampella delle sovvenzioni pubbliche. A distanza di qualche anno, dopo una fase di proclami e di annunciate rinascite, l’ad della Fiat è costretto ad ammettere che l’albero della cuccagna ha esaurito la sua linfa vitale. La crisi impone la stretta della cinghia e per il futuro non sarà più possibile usufruire dei vantaggi e delle larghe agevolazioni del pubblico, almeno in quei paesi dove la debacle economica sarà profonda. L’unica alternativa è quella di avviare delle fusioni con altri gruppi europei per resistere alla concorrenza dei produttori asiatici e americani, gli unici a poter ancora contare su un vasto mercato interno che dà qualche speranza di ripresa.
Secondo quanto detto da Marchionne, sono destinati a restare sul mercato soltanto 6 grandi gruppi (ma anche qui la previsione mi pare abbondantemente ottimistica), capaci di produrre almeno 5,5 milioni di autoveicoli all’anno (il plusvalore prodotto dovrà comunque essere realizzato, e ciò non sarà poi così semplice), al fine di mantenere quote adeguate di profitti. Presumibilmente, lo scenario dovrebbe così definirsi: “una casa Usa (Gm+Chrysler), una tedesca (Volkswagen+Mercedes), una franco-giapponese, (Renault-Nissan+Ford), una giapponese (Toyota+Honda), una cinese e un’altra europea. Quest’ultima potrebbe farsi spazio solo attraverso un accordo di “sopravvivenza”, sempre da quanto detto da Marchionne, tra Fiat-Peugeot-BMW, le quali andrebbero ad occupare l’unico spazio libero rimasto a disposizione. Tuttavia, appare già abbastanza improbabile che la Francia o la Germania non provino a potenziare direttamente "in casa" il settore, convincendo le diverse proprietà nazionali a legarsi l’una all’altra senza ricorrere ai partner stranieri. La cosa certa è che sta per aprirsi una stagione di sovvenzioni pubbliche a favore del comparto auto che determinerà una guerra tra grandi compagnie nazionali e che vedrà gli Stati impegnati in prima fila. Aumenterà anche il sostegno alla domanda con i soliti incentivi già sperimentati in Italia, vedi, ad esempio, la rottamazione o l’abolizione delle tasse di proprietà come il bollo. Montezemolo sta già invocando queste soluzioni, attraverso il pretesto che occorre sostenere adeguatamente la domanda e i consumi delle famiglie. Del resto, gli americani stanno facendo da apripista in barba alle sacre regole del libero mercato. Difatti, è stato già approntato un programma di sostegno ai produttori nazionali che impiegherà risorse pari a 14 mld di dollari. Ma questi primi aiuti serviranno, più che altro, a ripianare i debiti ed avviare il piano di rilancio di Crysler, Ford e GM, dopodiché queste dovrebbero dimostrare di essere in grado di continuare a camminare sulle proprie gambe altrimenti sarà la bancarotta. L’Europa farà altrettanto ma questa fase porterà, comunque, ad una resa dei conti dalla quale usciranno tutti con le ossa malconce. Certo i più deboli soccomberanno prima e tra questi ci sarà, quasi sicuramente, anche la Fiat, la più "drogata" impresa italiana che difficilmente saprà stare, con le sue forze, sul mercato.