DOMINUS DEUS SABAOTH di M. Tozzato
A seguire L’ENIGMATICO SILENZIO DI OBAMA di Daniel Luban
(fonte IPS, traduzione di G.P.)
Gli Stati Uniti e Israele hanno deciso assieme che il massacro deve continuare. I belati degli arabi e degli europei non infastidiscono più di tanto i feroci signori della guerra. La “guerra santa” condotta in nome del dio veterotestamentario ha come obiettivo lo sterminio di Hamas e la riduzione in servitù di tutti i palestinesi. Il vecchio testamento è, comunque, testo sacro sia per gli ebrei che per i cristiani e i musulmani e le “religioni del libro” professano la fede nello stesso dio: quello di Abramo.
Ho sentito dire, ma potrebbe non essere vero, che prima che Tzahal iniziasse l’offensiva di terra un rabbino ha recitato due passi della Torah agli ufficiali riuniti come per dare testimonianza che il “dio degli eserciti” è con Israele e non con i palestinesi:
<<Il Signore disse a Mosè nelle steppe di Moab presso il Giordano di Gerico:
"Parla agli Israeliti e riferisci loro: Quando avrete passato il Giordano e sarete entrati nel paese di Cànaan, caccerete dinanzi a voi tutti gli abitanti del paese, distruggerete tutte le loro immagini, distruggerete tutte le loro statue di metallo fuso e distruggerete tutte le loro alture.
Prenderete possesso del paese e in esso vi stabilirete, perché io vi ho dato il paese in proprietà.
Dividerete il paese a sorte secondo le vostre famiglie. A quelle che sono più numerose darete una porzione maggiore e a quelle che sono meno numerose darete una porzione minore. Ognuno avrà quello che gli sarà toccato in sorte; farete la divisione secondo le tribù dei vostri padri.
Ma se non cacciate dinanzi a voi gli abitanti del paese, quelli di loro che vi avrete lasciati saranno per voi come spine negli occhi e pungoli nei fianchi e vi faranno tribolare nel paese che abiterete. Allora io tratterò voi come mi ero proposto di trattare loro". (Nm 33,50-56)>>
Il secondo passo riferisce le parole che il profeta Mosè rivolse ad Israele, il suo popolo:
<<Quando ti avvicinerai a una città per attaccarla, le offrirai prima la pace.
Se accetta la pace e ti apre le sue porte, tutto il popolo che vi si troverà ti sarà tributario e ti servirà.
Ma se non vuol far pace con te e vorrà la guerra, allora l’assedierai.
Quando il Signore tuo Dio l’avrà data nelle tue mani, ne colpirai a fil di spada tutti i maschi;
ma le donne, i bambini, il bestiame e quanto sarà nella città, tutto il suo bottino, li prenderai come tua preda; mangerai il bottino dei tuoi nemici, che il Signore tuo Dio ti avrà dato.
Così farai per tutte le città che sono molto lontane da te e che non sono città di queste nazioni.
Soltanto nelle città di questi popoli che il Signore tuo Dio ti dà in eredità, non lascerai in vita alcun essere che respiri; ma li voterai allo sterminio: cioè gli Hittiti, gli Amorrei, i Cananei, i Perizziti, gli Evei e i Gebusei, come il Signore tuo Dio ti ha comandato di fare, perché essi non v’insegnino a commettere tutti gli abomini che fanno per i loro dei e voi non pecchiate contro il Signore vostro Dio.(Dt 20,10-18)>>
Chi, come il sottoscritto, è “non credente” non cercherà di leggere la guerra e il massacro a cui stiamo assistendo attraverso il linguaggio e la logica della fede ma ricorrendo a una teoria della società e della politica adatta ad intendere la congiuntura; ma chi entra ogni settimana in sinagoga, nelle moschee e nelle chiese in che maniera concilierà la sua religiosità con gli avvenimenti di questi giorni ? Interrogheranno e daranno completo affidamento agli ulema, ai rabbini e ai preti cristiani o interrogheranno anche la loro coscienza ?
Più semplicemente si piegano, lo sappiamo, alla potenza dei più forti e chiudono gli occhi raccomandandosi alla volontà imperscrutabile dell’essere supremo, protettore dei produttori delle armi al fosforo e di quelle all’uranio impoverito. E il presidente Obama – che diventerà tra pochi giorni “imperatore” a tutti gli effetti – spera che i macellai completino l’opera il prima possibile in modo che la democrazia e il suo paladino possano trionfare sopra una montagna di morti.
Mauro Tozzato 06.01.2009
L’ENIGMATICO SILENZIO DI OBAMA di Daniel Luban (fonte IPS, traduzione di G.P.)
Il presidente eletto degli Stati Uniti, Barack Obama, lavora duro ad un piano di ripresa economica per il suo paese, ma ancora mantiene il silenzio assoluto sull’offensiva militare israeliana a Gaza. Il mutismo di Obama combinato con l’appoggio passivo a Israele da parte dell’attuale presidente, George W. Bush, ha fatto sì che gli Stati Uniti restassero ai margini della crisi di Gaza, e sono i leader europei quelli che assumono gli sforzi diplomatici per trovare una via d’uscita dalla grave situazione. Ma, nonostante la reticenza di Obama nel parlare di Gaza non è qualcosa che sorprende la maggioranza degli esperti, semina dubbi sulla posizione che prenderà la sua futura amministrazione sul conflitto israelo-palestinese. Da quando Israele ha iniziato a bombardare Gaza, il 27 dicembre, allo scopo di paralizzare Hamás (acronimo arabo di movimento di resistenza islamica), Obama non ha preso posizione. Il suo portavoce ribadisce che "c’è soltanto un presidente alla volta" e che non prenderà alcuna iniziativa prima di assurgere al ruolo di Capo di Stato, il 20 di questo mese. Tuttavia, Obama si è mostrato disposto a trattare alcuni affari politici. Lunedì ha visitato i leader del congresso legislativo per dare impulso al suo piano destinato alla ripresa economica. Ha anche espresso la sua opinione sulla politica estera: ha divulgato un comunicato sugli attentati nella occidentale città indiana di Mumbai, in dicembre. Mentre i leader europei come il presidente francese Nicolas Sarkozy ed il cancelliere ceco Karl Schwarzenberg sono andati in Medio Oriente per iniziare gli sforzi diplomatici, il governo di Bush ha accusato Hamás per il conflitto, ma ha evitato di assumere un ruolo attivo.
Il segretario di Stato (cancelliere), Condoleezza Rice, ha annullato un viaggio, previsto lunedì, in Cina per trattare la crisi, ma ancora non è nei suoi piani di trasferirsi nella regione. Dinanzi alla mancanza di una posizione chiara del presidente americano eletto, gli analisti iniziano a speculare. Alcuni hanno ricordato una dichiarazione di Obama nella località Israeliana di Sderot: "Se qualcuno lanciasse razzi sulla mia casa, dove le mie due figlie dormono di notte, farei tutto ciò che posso per fermarlo".
Questo è stato interpretato come un segnale di appoggio alle rappresaglie israeliane contro Hamás. In una conferenza sul Medio-Oriente tenuta lunedì nello Brookings Institution, gli osservatori hanno prestato particolare attenzione alle dichiarazioni fatte da Martin Indyk, ex ambasciatore americano in Israele e collaboratore del dipartimento di Stato per gli affari del Vicino-Oriente durante il governo di Bill Clinton (1993-2001). È considerato un candidato probabile per un alto incarico legato al Medio-Oriente nel gabinetto del designato e prossimo Segretario di Stato Hillary Clinton. Indyk ha evitato di attribuire colpe per la crisi o di dare prescrizioni per risolverla. Si è richiamato ad un "sollecito cessate il fuoco" ; è stato prudente, evitando di offendere una delle parti. Ha anche sostenuto che il ministro della difesa israeliano Ehud Barak concluderà certamente la campagna militare prima dell’assunzione dell’incarico da parte di Obama cosa che faciliterà la politica estera del nuovo presidente americano.
"Questa settimana ci saranno intense operazioni (militari), e la prossima settimana ci sarà una intensa diplomazia” ha affermato. "Credo che Obama si trovi in una situazione in cui potrà approfittare di questa diplomazia e far sì che le due parti decidono per un cessate il fuoco". Nella conferenza, il politologo Shibley Telhami, dell’Università del Maryland, ha elogiato la decisione di Obama non di parlare della situazione a Gaza prima dell’assunzione dell’incarico. "Non avrà una seconda possibilità di dare una prima impressione. Se dici qualcosa su questa crisi in prima battuta, le mani ti restano legate. E ed è un grande errore se egli interviene in questa crisi". Nel frattempo molti analisti sembrano decidere con Telhami che il silenzio è la cosa migliore, la risposta di Obama rivela l’ambiguità della sua amministrazione sui temi legati alla crisi Israelo-palestinese. Forse deliberatamente, è stato circondato da consulenti la cui cronistoria sull’argomento è difficile da leggere. Hillary Clinton si è guadagnata la reputazione, alla fine degli anni ‘90, di essere aperta alle preoccupazioni palestinesi. Si è richiamata nel 1998 alla "soluzione di dei due Stati"(uno israeliano e l’altro palestinese, coesistenti in modo pacifico), molto prima di convertirsi alla visione di maggior consenso. Nel 1999 suscitò una polemica quando apparve con Suha Arafat, coniuge dello scomparso leader palestinese Yasser Arafat, durante una riunione nella quale quest’ultimo criticò Israele. Hillary Clinton si è anche guadagnata l’appoggio del mondo arabo con gli sforzi del suo coniuge per promuovere la pace tra palestinesi e Israeliani durante gli ultimi anni della sua amministrazione. Ma da quando si è insediata in senato nel