LA STRADA E’ IN SALITA di G.P.

 

A cosa servono i summits come il G8 o la versione allargata dello stesso che si sta tenendo in questi giorni a Londra? Più che altro a mandare in passerella i capi di Stato, di Governo e quelli dell’alta burocrazia internazionale, i quali, sotto i riflettori dei mass media mondiali, tra sorrisi, strette di mano e pacche sulle spalle, fingono di voler agire risolutamente per  risolvere i problemi del mondo e, per di più, nell’esclusivo interesse dell’umanità. In breve, pur se dal punto di vista simbolico questi eventi attirano l’attenzione di tutti, non è durante il loro svolgimento che si prendono i provvedimenti più efficaci per modificare le sorti del pianeta. Così è sempre stato e così sarà anche questa volta. Eppure la gravità della crisi finanziaria globale richiederebbe una più elevata dose di decisionismo politico, accompagnato da una maggiore trasparenza degli stessi processi deliberativi, laddove sono proprio i complessivi equilibri strategici mondiali – quelli sui quali l’Occidente ha, per una lunga fase storica, regolato i rapporti di forza al suo interno, cioè tra le diverse formazioni particolari della sua area, e all’esterno, ovvero con i paesi del cosiddetto secondo e terzo mondo – ad essere entrati in fibrillazione.  

Il meeting di Londra, invece, ha acceso i riflettori, quasi esclusivamente, sui temi della finanza globale e sullo stato dei mercati finanziari che i piani di aiuto predisposti dai singoli governi nazionali non hanno risollevato. A fortiori, si vuol battere la strada di una maggiore collaborazione, rispetto alla quale gli americani sembrano i più convinti, anche perché sperano, contenendo i malumori generali entro un perimetro strettamente economico, di poter scaricare il peso reale della crisi sugli alleati.

Ma proprio i governi del vecchio continente dovrebbero rifiutare questo gioco a perdere spostando finalmente la cornice del problema. Difatti, l’instabilità dei mercati è solo l’effetto collaterale di una situazione di trapasso epocale che ha le sue radici non nella sfera finanziaria ma in quella geopolitica. Il disaccordo di Francia e Germania, su quanto proposto dagli statunitensi, sta facendo molto clamore ma si tratta di una mera finzione che dimostra la scarsa visione strategica dei decisori europei. Le proteste di quest’ultime si sono polarizzate su questioni alquanto speciose (e nient’affatto centrali) come la limitazione dei bonus ai banchieri, l’aumento delle risorse al Fmi, il miglioramento meccanismi di sorveglianza sugli hedge fund. Non dico che detti provvedimenti non siano auspicabili, soprattutto laddove diviene intollerabile che dirigenti dal dubbio valore manageriale siano premiati con buone uscite da 6 e 7 zeri, mentre le compagnie dove prestavano i loro servigi si ritrovano fallite (con miliardi di risparmi bruciati), ma non si può nemmeno cedere al populismo di chi crede (o lascia credere) che ciò accelererà il cambiamento ristabilendo una nuova moralità negli affari.

Il recente allarme lanciato dall’OCSE e da altri organismi internazionali sulla caduta del PIL mondiale e sulla crescita della disoccupazione (si parla di 20 milioni di disoccupati già nel 2010) dovrebbe fugare anche gli ultimi dubbi circa la possibilità di una ripresa nel breve periodo, più volte annunciata dagli esperti e sempre smentita dai fatti. I veloci ribassi e gli estemporanei rialzi dei principali indici borsistici dimostrano che sul mercato sono in corso manovre speculative ancor più subdole con le quali i gruppi più forti si preparano ad affrontare il momento di climax della crisi sistemica a danno di quelli più deboli. Oggi, come nel 29, ci saranno i danneggiati (i molti) ma ci sarà anche chi riuscirà a sfruttare  la crisi (i pochi), per fortificare la propria egemonia nei gangli vitali del sistema capitalistico mondiale.  

Da questo G20, al di là delle solite “smancerie” o finte diatribe tra i vari leaders, sembra stia comunque emergendo una comunità d’intenti tra Francia, Germania e Italia. Che si formi un asse privilegiato tra le principali potenze europee è un dato positivo ma il collante non deve essere esclusivamente quello economico-finanziario. L’Europa può allontanare il rischio di disfatta su tutta la linea solo attuando quel processo di unificazione politica mai realizzato veramente, mettendo così in riga anche la propria finanza (la c.d. Europa dei banchieri). Quest’ultima , seppur indebolita dalla crisi, continua a costituire  la staffa sulla quale poggia l’egemonia americana nel vecchio mondo.

E’ questo l’unico cambiamento che i popoli europei si aspettano da tempo.