Volentieri pubblichiamo queste riflessioni di Gianfranco La Grassa che fanno tutt’uno col post precedente "Dall’epidermide alla struttura ossea". Si tratta di riflessioni che l’autore destinava a pochi (capaci di non farsi fottere dalle miserie dell’esistente), ma i pochi proprio perchè tali vanno raggiunti con ogni mezzo.
"La Dittatura Democratica" (di Gianfranco La Grassa)
Meno male che, oltre che di derivazione marxista, sono ancor più di derivazione leninista. Per cui non mi scandalizzo, e anzi un po’ mi diverto, a quanto sta accadendo (e non solo qui da noi). Ormai, dopo l’epoca delle dittature sudamericane, gli USA hanno sposato la tesi leniniana secondo cui la forma migliore della dittatura “borghese” (questo ai tempi di Lenin, oggi va detta capitalistica o anche semplicemente dei dominanti) è la “democrazia”. Le rivoluzioni “arancione” sono state l’ultima trovata in tal senso, ma ormai cominciano a far fallimento per la loro terribile corruzione (non solo economica). Ovviamente, comunque, laddove i popoli resistono (come in Irak o prima in Jugoslavia, e un domani magari in Iran o altrove), ci sono sempre i modi tradizionali per “farli ragionare”; ma anche queste tradizioni, e ciò è incoraggiante, cominciano a far acqua.
Nel 1989, dopo il crollo del socialismo reale nell’est europeo (che segnò la fine dell’intera esperienza ormai involutasi irreversibilmente), molti sciocchi – a partire da Occhetto e dagli allora ancora piciisti italiani, subito dopo diventati degli opportunisti “postcomunisti” al soldo delle oligarchie capitalistiche italiane e statunitensi – pensavano si aprisse l’era del successo delle loro sporche manovre di venduti, annunciata quale “millennio di pace e prosperità” (come appunto sostenne lo scemarello appena citato). Passarono si e no due anni (prima aggressione all’Irak) e la delusione fu evidente; si era aperta un’epoca – che come tutte le fasi storiche non sarà certo breve – di disgregazione del tessuto internazionale, di reinizio di una lotta più policentrica (effettiva, quella che il socialismo reale, in completo disfacimento, non poteva più assicurare), di più che probabile declino dell’impero americano (forse giunto al suo apogeo), di situazioni via via più drammatiche e incontrollabili.
Partendo da questo quadro, piuttosto avvilente ma almeno di scala un po’ grande, è con dispiacere che torno alle miserie (per di più contingenti) di casa nostra. Quello che ha fatto vedere questa campagna elettorale, nella sua meschinità assoluta, è stato molto istruttivo. Della destra nemmeno tratto, non solo perché considero finito il suo iter, ma perché è effettivamente rozza e un po’ ignorante (e anche poco astuta) nei metodi di esercizio della dittatura in forme democratiche; in ogni caso, subirà già da quest’anno profondi rivoluzionamenti interni. Quella attuale ha comunque ben poco a che vedere con la “raffinatezza” della sinistra in tema di dittatura “democratica”; tuttavia tale ultimo raggruppamento non ha alcuna reale autonomia – e quindi non è in effetti una vera forza politica con capacità strategiche – rispetto alle oligarchie parassitarie (e filoamericane) dominanti, il cui nucleo centrale è rappresentato dal patto di sindacato della RCS (editrice, fra l’altro, del Corriere della sera). La giornata di ieri (5 aprile) è stata molto indicativa. Intanto, ha mostrato il vero volto di questa sedicente par condicio; inoltre ha fatto cadere – solo per chi ragiona ovviamente – la colossale menzogna del Cavaliere dominus di ben sei canali TV. Non controlla nemmeno il 5 di Mediaset.
Ma queste sono vere sciocchezzuole; ben altro riserverà il futuro. Ad un livello molto, molto piccolo, lunedì sera si ripeterà l’evento della fine del 1989. Una folla di “sinistri” festanti crederà iniziata l’epoca del risanamento e del risveglio, della pulizia morale e del riprendere in mano il proprio destino. Tale illusione si dissiperà già nei sei mesi successivi grazie all’accozzaglia, da Mastella a Bertinotti, che tenterà di governare. E poi, i veri padroni, il gruppo precedentemente indicato, inizierà assai presto le sue manovre “verso il centro”, perché non può aspettare a lungo. Leggere in questi ultimi due mesi il loro giornale ha destato in me la più profonda sorpresa; sapevo da un bel pezzo chi tale quotidiano appoggiava, ma che diventasse così rozzamente fazioso dimostra che simili “potenti” sono alla frutta, vicini ad un grosso fallimento; per andare avanti ancora qualche anno, e magari riciclare i loro capitali in qualcosa d’altro (e per lo più all’estero), debbono veramente operare un tale trasferimento di ricchezza nelle loro tasche da rischiare di essere assai presto identificati come la più grossa piovra mai esistita nel nostro paese (ivi compresa la mafia). Questi potenti debbono perciò mettere il più velocemente possibile a soqquadro l’intero assetto politico attuale, anche quello della sinistra che adesso appoggiano.
Per questo, attenderò i festaioli del 10 aprile alla fine di quest’anno. In molti, quelli più onesti, saranno a Natale con le alucce basse, basse. Per gli altri aspetteremo un po’ di più, ma non credo si dovrà attendere tanto quanto invece sarà necessario per constatare l’effettivo declino dell’Impero americano. Per vedere “cotti” i nostri “poteri forti” – con le loro schiere di politici e intellettuali di sinistra – basterà la prossima legislatura; potrebbe anche essere di più, ma ne sarei sorpreso. Non penso però, vorrei fosse chiaro, che la forte perdita di potere subita da un certo gruppo capitalistico, oggi temporaneamente vincente, significhi la vittoria finale di una forza politica “antisistema” (diciamo così, genericamente); e nemmeno sono sicuro che si affermerà un capitalismo “meno peggiore”. Non sono in grado di predire simili fausti eventi; sono solo convinto che l’attuale capitalismo italiano (sempre più legato agli USA e certamente il peggiore, il meno autonomo, finora esistito) farà una fine invereconda che mimerà, su scala infinitamente più piccola, il “crollo del muro” del 1989. Non faccio per il momento previsioni diverse; sono solo convinto che i “sinistri” faranno bene a godere al massimo la “vittoria” del 10 aprile nel più breve tempo possibile, perché non avranno lunga “vita” (politica).
Come coda, di tipo cronachistico, invito a leggere l’inserto economico del Corriere del 3 aprile. In seconda pagina c’è un elenco kilometrico di manager in “fila d’attesa” per avere posti governativi o negli enti pubblici o in grandi concentrazioni finanziarie (e sono tutti nomi grossi e potenti), dopo la vittoria elettorale del centrosinistra. Si tratta di personaggi in gran parte anche legati alla finanza anglo-americana. Per tutti ne cito un paio: il ben noto Bernabè (già Telecom), che oggi è con la Banca Rotschild, e Costamagna (bel nome indicativo, nevvero?), fino ad ieri della tristemente famosa Goldman Sachs e oggi già sulla “rampa di lancio” per un alto incarico, forse la presidenza dell’Unipol. C’è invece Guarguaglini (AN) che avrebbe ancora un contratto di due anni per la presidenza della Finmeccanica; e non si sa come fare per sostituirlo. E poi ancora altre belle notizie su tutti i preparativi dei vari amici di Prodi e dei DS per sistemarsi al meglio. Per es. Chicco Testa (già Enel), oggi con incarichi alla solita Rotschild e alle metropolitane di Roma, che si aspetta un alto incarico governativo.
Sempre sul Corriere (del 6 aprile, pag. 11). Vi ricordate la sollevazione di scudi e l’indignazione alle stelle quando Tremonti progettò di vendere beni patrimoniali del Demanio (perfino “le spiagge”) per raccogliere soldi onde intaccare il debito pubblico? Ma Tremonti è della destra e la stampa e i mass media sono al 90% influenzati dalla sinistra. Ed infatti nessuno fiata più quando il sinistro Guarino – della stessa genìa dei Monti, dei Padoa-Schioppa e compagnia cantando – propone il seguente metodo per ottenere quello scopo con cui i cittadini vengono ossessionati. Secondo valutazioni dell’Agenzia del Demanio il patrimonio delle amministrazioni pubbliche ammonterebbe a 1800 miliardi di euro, di cui 450 sarebbero già reperibili subito. Si tratta però di valutazioni non a prezzo di mercato perché la gran parte di questi beni non sono commerciabili, non possono (appunto!) essere portati sul mercato essendo del Demanio. Cosa immagina allora il professorone? Che si costituisca una società per azioni; ma non dello Stato come la Patrimonio dello Stato spa o la Cassa Depositi e Prestiti. No, una società privata, autonoma, che emetterebbe azioni da immettere nel mercato (nazionale e mondiale) per un valore all’incirca ammontante a quello della valutazione dei beni patrimoniali suddetti (per la loro parte, 450 miliardi, immediatamente reperibile). E le azioni – nota soddisfatto, gonfiandosi il petto, il sinistro di turno – sono vendibili sul mercato, a differenza del patrimonio del Demanio (non era Tremonti quello della “finanza creativa?). Un 10% o poco più delle azioni (45, al massimo 60 miliardi) andrebbe riservato a “investitori istituzionali” (gergo professorale e burocratico per intendere Enti pubblici, statali) e grandi banche e imprese nazionali (quelle che hanno ingannato i piccoli risparmiatori con i bond argentini e i crac Cirio e Parmalat) e anche con la “presenza, fin dall’inizio, di qualche importante socio estero” (sicuramente americano o euroamericano).
Il resto (90% circa) andrebbe venduto al libero mercato e collocato per metà in Italia e per metà all’estero. E l’incasso, man mano che le azioni andranno vendute, verrebbe impiegato per diminuire il debito in questione. Poi – questo lo aggiungo io – di fronte all’imprescindibile necessità di salvare le grandi imprese decotte (per “aiutare i poveri lavoratori”, ecc.), si dirotterebbero tali risorse verso i manigoldi del suddetto patto di sindacato della RCS, che poi se le porteranno all’estero nelle loro società (tipo la Charme di Montezemolo, Della Valle, Merloni, Unicredit, Monte dei Paschi, con sede in Lussemburgo). Bisognerebbe, una volta per tutte, demistificare la questione del Debito Pubblico, vero feticcio creato dai dominanti italiani e internazionali (europei, con in testa quelli USA) per spaventare la popolazione e favorire le manovre di ruberia dei risparmi dei cittadini e del patrimonio pubblico, svenduto ai privati; il tutto per convogliare questi furti verso la finanza (con al vertice l’americana) e le grandi imprese inefficienti di imprenditori ladri (che Berlusconi lo è “di mandarini” in confronto a questi furfanti che saccheggiano l’intera ricchezza nazionale; solo che questi attuano i furti non direttamente, presentandosi a faccia scoperta, ma tramite i loro politicanti-servi e con politiche di privatizzazioni, di rientro dal debito pubblico e altre malversazioni varie). E certi cittadini si offendono perché vengono definiti coglioni. Io userei termini molto più forti! Comunque, ripeto la solita domanda: perché quello che propone un destro è esposto al ludibrio mediatico, mentre la stessa “invenzione” (per me ben peggiore) è trattata con rispetto se la espone un sinistro? La risposta io la conosco, ma vorrei la traessero indipendentemente anche altri.
Altra notiziola. Liberazione ha fatto una entusiastica recensione al libro di Bazoli, Mercato e diseguaglianza. La recensione è…..di Jervolino (questa famiglia non si smentisce mai, in qualsiasi angolo politico sia) che definisce un banchiere estremamente grifagno e pericoloso (lo si vede da come ha fatto trattare Geronzi che era “perplesso” sulla fusione tra Capitalia e Intesa) “esponente di quella tradizione del cattolicesimo democratico che appartiene alla storia d’Italia….e ha ancora filo da tessere e cose da dire”. La sua idea “per rendere compatibile capitalismo e democrazia nell’era della globalizzazione…andando oltre il ‘capitalismo ben temperato’ che seduce una parte dell’attuale centrosinistra” può avvicinare moderati e sinistra più radicale, cosicché “si potrebbe aprire un dialogo fruttuoso”. Vi piace? Votateli allora. Così voterete anche per un bel finanziere, che tenta – è vero – la scalata a Mediobanca-Generali, ma rappresenta il cattolicesimo democratico (sic!) che concilierà un capitale, questo sì di autentici rentier parassiti, con il popolo lavoratore; “il Diavolo e l’acqua santa”. Cosa si può volere di più da “poveri di spirito” come Jervolino e “rifondatori associati”?
Per finire un bell’articolo di Geronimo (Cirino Pomicino) che irride (e smerda) un articolo del diessino Salvati (già direttore di Classe e Stato, rivista sessantottina extraparlamentare; tutti di lì vengono i mostri attuali del centrosinistra), che propugna sempre, con la sua mentalità liberaldemocratica da azionista (Giustizia e Libertà, cui appartenevano Ciampi, Scalfari e altri “maestri negativi” del genere), la fondazione del partito democratico, operazione che non verrà mai portata a termine. Cito tutta la parte finale scritta da Geronimo: “Il cemento che la borghesia azionista utilizza per tenere insieme ciò che insieme non può stare sono gli interessi economici di alcuni gruppi imprenditoriali [quelli da me sempre citati; nota mia] e il corto circuito finanza-informazione che da due anni a questa parte vede le maggiori banche italiane legate ad alcuni grandi gruppi editoriali. Le stesse banche che hanno distribuito a piene mani tra i piccoli risparmiatori i bond e le azioni Parmalat e Cirio e che oggi sono chiamate da Enrico Bondi a risarcire l’azienda di Collecchio con alcuni miliardi di euro. Dei vertici di queste banche nessuno dell’Unione ha mai chiesto le dimissioni perché, in realtà, non si possono chiedere le dimissioni ai padroni del proprio partito. Il disegno di Salvati è, sotto altre spoglie, quello di Agnelli, De Benedetti e di Romiti agli inizi degli anni novanta che generò Tangentopoli e produsse le macerie della politica che ancora oggi opprimono il Paese. Come si vede possono mutare le vesti del progetto, ma la sua illiberalità resta la stessa. Ieri Di Pietro, oggi il circuito finanza-informazione con la sua visione elitaria e autoritaria del governo del Paese”.
Preve ed io scrivemmo Il Teatro dell’assurdo (gennaio 1995) dicendo, più diffusamente, cose simili; ed oggi pensiamo le stesse cose affermate anche in questo pezzo. Le faccio mie non perché scritte da Geronimo, ma perché le penso da tempo immemorabile.
Concludendo, io non voterò. Intanto per ragioni di principio, per le quali non voto da non so quanti anni (cioè decenni); e che sono le ragioni espresse da Lenin, ma rinvigorite dalla fase dell’attuale dittatura “democratica” del capitalismo (e dell’imperialismo americano).
Poi, in più, non voto per la destra perché:
1) Sono contro il neoliberismo e le tesi della “mano invisibile” del mercato (ma sono anche contro le tesi, apparentemente antagonistiche, della fine degli Stati nazionali e della contrapposizione tra un generico, e diffuso, Impero e la “moltitudine”; tesi in realtà complementari, e complici, della precedente).
2) Sono contro il filoamericanismo e il filosionismo di questa destra italiana.
Poi per altri minori motivi:
3) Non credo molto nella famiglia, nella pura e semplice “sacralità” della vita, e non mi entusiasmano per nulla i “diritti dell’embrione”.
4) Non mi piace che si chiamino froci i gay; e per quanto mi riguarda essi possono fare ciò che vogliono (ma anch’io, sia chiaro, debbo non sentirmi a disagio, o premoderno, perché sono rigorosamente eterosessuale).
Per il centrosinistra non voto per motivi più articolati e numerosi.
1) Sono stato comunista, ma per me il comunista non è di sinistra. Quest’ultima, nella mia testa, si identifica con tutti gli opportunisti e infami che si sono, ad ondate successive, presentati nella storia del “movimento operaio”. Per me “sinistra” è sinonimo di socialdemocrazia, e questa è sinonimo di guerre mondiali e imprese coloniali e altre mostruosità simili.
2) Sono contro il neokeynesimo tanto quanto contro il neoliberismo. Per quanto riguarda lo Stato sociale, non posso in due battute esprimere il mio pensiero, ma sono fortemente critico verso tutta una serie di “miti” e semplificazioni, pur riconoscendo il valore di certi servizi essenziali alla popolazione. Non sono però favorevole al “pubblico” in sé e per sé, se non vengono prestati con efficienza servizi essenziali e non si trova modo di mettere in riga molti “fancazzisti” ottusi e assolutamente negativi che in tale settore allignano come vermi in certi formaggi. Non sono favorevole alla difesa ad oltranza del “lavoratori” che “non lavorano”. Sono contro ogni forma di lassismo e buonismo imbelli, che rendono inetto un intero paese.
3) Sono contro il sostanziale filoamericanismo e filosionismo della “sinistra” che si distingue dalla destra solo per la menzogna e l’ipocrisia. Ricordiamo il Governo D’Alema: appoggio all’aggressione americana contro la Jugoslavia, ma per “ragioni umanitarie” (un falso genocidio, smentito dal rapporto OCSE dell’ottobre 1999); e bombardamenti della nostra aviazione assieme agli angloamericani sostenendo che noi compivamo operazioni di “difesa integrata” (linguaggio tipicamente orwelliano, che è il massimo dell’ipocrisia e dunque dell’infamia). Il programma dell’Unione non dice, sul ritiro delle truppe dall’Irak, nulla che si differenzi da quanto affermano Berlusconi o Martino, ecc.; si è solo più ambigui, da veri “figli di p…” che, secondo la mia opinione, dovrebbero essere avviati a campi di lavoro forzato e non in Parlamento a prendersi circa 20.000 euro al mese.
Quindi, starò alla finestra e mi godrò non tanto le elezioni, il cui esito è troppo evidente e quindi “sportivamente” poco significativo (che penso sarà compreso tra un 52 contro 48% e un 54 contro 46%), quanto invece il prosieguo, ciò che avverrà dopo, nei prossimi mesi e anni. Come nel famoso detto, “siederò sulla riva del fiume….ecc.”. Tuttavia, per carità, se qualcuno non può fare a meno di votare, altrimenti gli rimorde la coscienza o si sente un cittadino di serie B o altro, non ho nulla da ridire, data la scarsa importanza che attribuisco al voto in genere e a questo in particolare. Ho preferito esprimere con sincerità il mio parere. Poi, dopo il voto, vedrò però come si comporteranno compagni e amici, e con quali si potrà intavolare un discorso serio e fattivo e con quali sarà invece meglio avere soltanto rapporti di cena, cinema, qualche discussione “esistenziale”, qualche simpatica risata e tante chiacchiere del più e del meno, che servono pur sempre nella vita di tutti i giorni. Sono però deciso, dopo 53 anni che di fatto sono in politica, a selezionare bene i tipi con cui discutere di cose serie. Nei prossimi, tutt’altro che semplici, anni ci vorrà molta forza per resistere e non cadere nel più bieco conformismo, che è nelle intenzioni per me chiarissime dei dominanti (sia pure non ancora per un numero spropositato di anni; ma purtroppo, per me, potrebbero essere già tanti 10 o anche 5) e della sinistra attuale che giungerà ai massimi vertici dell’infamia, dell’opportunismo e della repressione (ovviamente “democratica”). Dopo, la pagherà cara, ne sono certo; ma, lo ripeto, 10 o anche 5 anni per me sono tanti. Evviva, evviva il prode Anselmo, che andò in guerra e mise l’elmo.