LA FATTICITA’ DEL REALE

(questo articolo non sarà di facilissima comprensione, ma può essere utile per iniziare quell’attività di costruzione teorica che abbiamo auspicato negli scorsi giorni. Si tratta solo di un piccolo cominciamento che prende in considerazioni le tipiche categorie del pensiero marxiano ancora indispensabili per un’analisi realmente antisistemica).

 Se gli assiomi della geometria urtassero gli interessi degli uomini si sarebbe cercato di confutarli (in Lenin, “Carlo Marx”).

Una caratteristica fondamentale del capitalismo è quella del suo darsi come fatticità immanente attraverso la forma delle sue esitazioni empiriche più “visibili” che, tuttavia, sembrano non portare in sé il segno di alcuna genia.

In virtù di tale presupposto la stessa storicità del modo di produzione capitalistico si pone come storia priva di forma storica, storia neutralizzata, avente piuttosto una base “naturale” simile alla consistenza dell’albero che spunta dal suolo.

Il capitalismo si svela così al mondo in maniera tolta, attraverso sintomi della sua presenza che non rimandano direttamente ad esso e che, al contrario, si autofondano in quanto determinazioni che fanno riferimento ad un proprio principio di realtà.

Questi sintomi si chiamano con linguaggio economico: denaro, merce, profitto, rendita, mercato ecc.

La loro realtà trasfusa nel linguaggio ideologico della giustificazione dell’esistente, può essere solo colta negli aspetti superficiali e “circolatori” per cui la “triste scienza” nulla ci dice in merito ai processi mediatori che dovrebbero rappresentare il collante processuale tra struttura fondante e determinazioni empiriche.

Il metodo scientifico marxiano non può che essere, allora, la volontà di svelare il rapporto – nel modo di produzione capitalistico – tra apparenza delle cose e loro sostanza: “Ogni scienza sarebbe superflua se l’essenza delle cose e la loro forma fenomenica direttamente coincidessero”.

Com’è possibile concettualmente cogliere e rendere (logicamente) visibile tale rapporto? Innanzitutto, occorre distinguere tra le tendenze generali del Capitale propriamente inteso e le forme fenomeniche con le quali tale tendenzialità si manifesta. In realtà, ciò che appare come dato di fatto compiuto deve necessariamente essere l’immagine rovesciata della struttura fondamentale che lo ha generato. Si tratta perciò di individuare nella fatticità presupposta del dato reale le molteplici mediazioni che ne sono alla base e che lo determinano per quello che si vede. I fatti sono pertanto una cosa intricatissima, l’esito di una mediazione che sembra non svelare nulla del principio dal quale tutto parte. In tale situazione le soggettività sociali sono in diretto contatto con la forma fenomenica del modo di produzione, quella che si dà immediatamente, mentre, per potere cogliere lo stesso modo di produzione nella sua astrazione concreta, occorre dialettizzare queste forme semplici per risalire dal dato sensibile al reale principio fondante di tale esito. Il capitale forgia, pertanto, di una forma non direttamente problematizzabile i fenomeni nei quali si estrinseca, gli stessi dati di fatto si giustificano per il loro esserci non mediato come fattori estranei alla soggettività sociale, è insomma una notte di vacche nere che bisognerà illuminare.

L’economia politica dominante appare così come la scienza delle spiegazioni superficiali di questa logica invertita, che non può e non vuole porsi il problema della struttura sostanziale di un modo di ri-produzione sociale astrattizzatosi. Tutto ciò che si innesta su tale nascondimento (dalla politica, al diritto, dall’agire economico ai valori, alla costruzioni ideologiche stesse) si presenta all’intelletto dei soggetti come fatticità esprimente l’opposto della loro natura interna e al contempo come negazione di qualsiasi mediazione, che sofistica il termine primo, il Capitale appunto) dal quale il movimento del pensiero dovrebbe partire.

I soggetti, perduti nella consistenza fattuale della datità, incapaci di pensare in maniera lineare i processi in cui sono inseriti, non colgono più tali fatti come il risultato di rapporti sociali ma come estraneità oggettiva a loro opponentesi con la quale non è possibile alcuna mediazione conoscitiva, se non l’accettazione aprioristica. I soggetti sociali sono tuttavia convinti di attraversare le cose del mondo in piena autonomia, ma la loro razionalità e già data una volte per tutte dalle cose stesse. Il mancato discernimento dialettico delle mediazioni in questione rende le cose autoidentiche, “enti naturali” inappellabilmente esistenti.

La grandezza di Marx è, allora, nel metodo attraverso il quale tenta di rompere la superficie della realtà fenomenica, per cogliere il motore interno della struttura che genera tali determinazioni. Fatte queste precisazioni può cominciare l’analisi marxiana del valore.

Cos’è il valore per Marx? La quantità di lavoro astratto cristallizzato  nella merce. Il lavoro astratto costituisce la sostanza sociale del valore. Il lavoro sans phrase è l’elemento che nello scambio dei prodotti pone i valori d’uso come “frontisti” privi di qualità e per ciò stesso misurabili.

Per definire la natura del valore Marx utilizza aggettivi inequivocabili che rimandano a tutto il nostro discorso: “un arcano”, “una forma metafisica”, “una proprietà occulta”. Quello che però appare e che possiamo vedere distintamente è solo la merce, ovvero l’esito ordinato di una cosa imbrogliatissima.

Marx per spiegare questa cosa piena di sottigliezza metafisica la isola dal rapporto con tutte le altre merci e la coglie nel suo rapporto più semplice. Marx ci spiega che il valore trova la sua via d’uscita dal corpo nel quale è costretto grazie allo stare l’una di fronte all’altra delle merci, dal loro confronto quantitativo (valore di scambio). Il valore perciò è finalmente misurabile.

A questo punto la merce, ancora passiva nel rapporto di valore, può apparire, naturaliter, portatrice di valore. La merce cioè può definitivamente oscurare la sua derivazione da un determinato modo di produzione, e appropriarsi di qualità che fino a poco prima le erano esterne.

Dall’analisi semplice della merce si dovrebbe ora passare all’analisi del livello superiore della teoria del valore, laddove le sofisticazioni si fanno ancora più indistinguibili e si concretano nella forma-denaro.

Il denaro , l’equivalente generale, consente il raffronto simultaneo delle merci con ciascuna di esse, funzionando come misura generale dei valori e dei prezzi, “l’enigma del feticcio del denaro è soltanto l’enigma del feticcio merce divenuto invisibile e che abbaglia l’occhio”.

Se, come abbiamo detto prima, salario, profitto e rendita erano già il risultato di una mediazione invertita, con l’emergere dell’interesse, il capitale realizza la sua autogenesi. Con la formula D-D’ l’autoriproduzione del denaro tramite sé medesimo compie il miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci. Qui è completamente svanito ogni riferimento alla forma storica di tale rapporto che non ha più nulla a che fare con la produzione, il plusvalore e i soggetti agenti.

 

N.B. Le riflessioni contenute in questo articolo sono spiegate in maniera organica ed esaustiva nel saggio di Franco Soldani intitolato “Marx e la scienza” disponibile integralmente on-line sul sito Actuel Marx.

Si tratta di un’analisi estremamente interessante anche se i risultati con i quali Soldani conclude tale lavoro, dovrebbero essere ulteriormente problematizzati. Soldani ritiene, infatti, che la teoria marxiana del valore non sia invalidata da aporie logiche, bensì dall’impossibilità (secondo l’autore) di una corrispondenza univoca tra valori e prezzi di produzione. Tale impasse sarebbe determinata dalla differente natura di valore e prezzi (essendo quest’ultimi “un’espressione quantitativamente incongruente del valore della merce”). Se, da un lato, Soldani ha ragione da vendere, soprattutto contro chi ha spogliato la teoria del valore della sua valenza qualitativa ingabbiandola in una mera ripetitività matematica (ad oggi insoluta), dall’altro però il suo costante riferimento ad un doppio livello della realtà capitalistica, ha in sé qualcosa metafisico che dovrà necessariamente essere spiegato meglio.