LA TERZA FORZA (ANNOTAZIONI CONCLUSIVE DI G. LA GRASSA)
Pubblichiamo (cliccare qui a fianco) quelle che possono essere considerate delle riflessioni, tanto provvisorie sugli aspetti teorici, quanto conclusive sulle questioni, per così dire, d’immanenza strategico-politica e tattica (almeno per ciò che concerne le alleanze possibili tra “corpi” antisistemici nella costruzione di una forza antiegemonica ed anticapitalistica) di Gianfranco La Grassa, in seguito al dibattito apertosi sul manifesto “Costruire la Terza Forza”.
Siamo convinti che una teoria anticapitalistica che, al contempo, sia anche scientifica, debba essere “aperta” e ricettiva riguardo alle modificazioni che si producono nell’ “ambiente” sociale che si pretende di spiegare, poiché, suo compito precipuo, è quello di districare la complessità dei fenomeni sociali (ingarbugliati dalla dinamica capitalistica) al fine di individuare direzionalità e connessioni interne del mondo(capitalistico), in ossequio alla frase di Marx per cui “ogni scienza sarebbe superflua se il modo di apparire delle cose e la loro vera essenza coincidessero".
La realtà che si tenta di spiegare con determinate lenti teoriche (ed è inevitabile l’utilizzo di queste per meglio mettere fuoco ciò che si distorce ad uno sguardo superficiale) è in costante trasformazione, ha una propria ragion d’essere intrinseca scandita da un “orologio biologico” con dinamica mai completamente imbrigliabile. Questo non può che costringerci alla sincronizzazione periodica del nostro “misuratore”(salvo incappare, come è già successo col marxismo d’antan, nell’ossidazione che rende inservibile lo “strumento” stesso); ma la performatività di una teoria, dipende proprio dal grado con il quale si riesce a dare una spiegazione plausibile del “ribollimento” dei fenomeni osservati, perché più veritiera e la spiegazione più si moltiplicano le possibilità di sovvertirne il “motore immobile”.
Questo non significa, ovviamente, che la teoria debba essere sensibile ad ogni “corrente” evenemenziale, ogni ragionamento teorico si basa su un nucleo logico che accetta variazioni (qui ci sono i margini di adattabilità di una teoria) ma che non può essere stravolto. Questo implica, a fortiori, che non si può nemmeno concedere più del dovuto a chi ha obiettivi e strategie diversi da quelli fin qui individuati e che riteniamo sostrato del nostro impianto teorico. Da ciò consegue, come dice La Grassa in questa risposta, che nessuna comunicazione è mai possibile se tra emittente del messaggio e ricevente dello stesso, le chiavi di decodifica non sono le stesse. Insomma si finisce per andare incontro al solito dialogo tra sordi.
Detto questo, chiariamo alcuni punti. Noi non siamo per la “potenza”, noi siamo per una strategia (antidominanti) che si inserisca e si serva dei punti deboli e delle “falle” che si aprono tra gli agenti decisori quando le varie potenze capitalistiche giungono ad uno scontro più serrato (passaggio dalle fasi monocentriche a quelle policentriche). Siamo convinti che il “brodo primordiale” dove si nutrono le forze antististemiche è quello che cresce quando i segmenti di classi dominanti vengono ad una resa dei conti (mai definitiva, ma che più semplicemente è tendente ad aprire un nuovo ciclo con cambio “al vertice”), ad uno scontro più o meno frontale per allargare la propria area d’influenza egemonica e per spodestare la “formazione sociale” sino a quel momento primeggiante. Queste fasi sono quelle che La Grassa definisce policentriche, periodi sostanziati dalla perdita di egemonia da parte del paese centrale a vantaggio di altre formazioni sociali inevitabilmente alleate tra loro (data la superiorità tecnologica e militare del paese predominante). Solo in questo “background” è immaginabile una riorganizzazione rivoluzionaria dei dominati (o non decisori) guidati da avanguardie che sappiano far uso della tattica e della strategia politica, al fine di trasformare i propri punti di debolezza in punti di forza, le minacce in opportunità.
Ciò significa che le forze antisistemiche non hanno in mano, sin da subito, la possibilità di rovesciare il capitalismo? Si, significa proprio questo, per quanto sia difficile da accettare non può che essere così. Non esiste nessuna predestinazione, nessuna classe operaia levatrice di un parto ormai maturo nell’ambito della società capitalistica. Noi possiamo e dobbiamo, col lavoro rivoluzionario, accelerare certi processi, inserirci nelle “beghe” dei decisori, perché nulla possiamo quando i “grandi non si fanno la guerra”. Per fare questo abbiamo bisogno di una “pratica-teorica” che non si fondi su delle illusioni o sui canti ammaglianti di teorie pseudoscientifiche annuncianti l’inevitabilità del “mondo nuovo”.
Dobbiamo smetterla di raccontar(ci) delle storie solo per pulsare sangue “al core”.
Qui mi fermo, per, per non rubare spazio e argomenti a La Grassa che meglio di me scevera i punti nodali della discussione.