CONTRO IL SINDACATO di G.P.

 

Vorrei tornare sul mio precedente pezzo attinente al tentativo, da parte del governo, di modificare l’art.18 della L.300/70, meglio conosciuta come Statuto dei lavoratori. Confermo tutto ciò che ho lì scritto, anche se qualcuno ha arricciato il naso per un riflesso pavloviano emergente non appena si prova a metter mano alle normative regolanti il mondo lavoro dipendente. Stessa reazione condizionata che vediamo all’opera quando si prova a modificare la Legge Costituzionale, anche questa assurta al rango di libretto sacro per un’orda di social-imbonitori ridotti a fossili,  la quale, rifacendosi ai suoi principi misconosciuti dalla realtà, svolge una funzione frenante di qualsiasi trasformazione sociale nel nostro Paese.
Eppure, Marx aveva già spiegato che una costituzione è quel che produce concretamente e non ciò che decanta astrattamente. Questo equivale ad asserire che la celebrazione della grandezza dei suoi principi
magniloquenti e irrealistici serve piuttosto a buggerare i creduloni e a perpetrare gli inganni dei gruppi dominanti sui gruppi sottomessi, senza possibilità di ricucire i lembi di una critica sociale più seria e rigorosa.
Purtroppo l’ultrasinistra ha, da molto tempo ormai, abbandonato l’analisi dei rapporti materiali per sposare ogni tipo di vaniloquio utopistico, compresa la perorazione del mito della Costituzione tradita che è sempre possibile recuperare con un’azione moralizzatrice. Questi signori possono proporre quel che vogliono ma ci facciano il piacere di tenere Marx fuori da questa storia.
Qualche amico mi ha fatto notare che, forse, più preoccupante è la divisione in seno alle organizzazioni della rappresentanza dei lavoratori, frutto di una bieca politicizzazione, soprattutto nella CGIL. Quest’ultima, del tutto supina ai governi di centro-sinistra (dai quali accetta pedissequamente qualsiasi proposta ribassista), si mostra preconcettualmente contraria alle iniziative del centro-destra, sebbene esse possano apparire né peggiori né migliori di quelle dell’altro campo politico. Si tratta di un truismo e quindi di un falso problema. La verità è che la CGIL, primo tra i sindacati italiani, è la più dipendente dai settori del lavoro ipergarantito che vedono come fumo negli occhi una riforma del mercato del lavoro in Italia, che pure è improcrastinabile. Il circolo vizioso al quale questi gruppi danno vita sta portando l’Italia in coda ai paesi europei per crescita e sviluppo contribuendo, altresì, a saldare quel blocco sociale arretrato politicamente (costituito, appunto, dai potentati politici sinistrorsi, dalle organizzazioni sindacali e padronali e dai ceti parassitari assistiti), che rovina e immobilizza l’intera nazione.
Siccome “dare i numeri” non fa mai male ecco gli ultimi dati del tesseramento CGIL 2009: Totale iscritti:5.746.167. Di questi quasi tre milioni sono pensionati cioè il 52% degli aderenti complessivi. Come scrive Cazzola su Economy “la struttura che vanta il maggior numero di iscritti è la funzione pubblica (407.716), seguita dal terziario che con 372.278 iscritti è davanti alla prima federazione dell’industria (i lavoratori delle costruzioni con 367.768 iscritti). La Fiom (363.507 iscritti) deve accontentarsi della quarta posizione”.
Ma è il commento di Cazzola a queste statistiche ad essere davvero interessante per noi, in quanto conferma pienamente quello che abbiamo sempre sostenuto sul sindacato, grazie soprattutto alle lungimiranti analisi di Gianfranco La Grassa. Il vicepresidente della Commissione Lavoro della Camera (il quale, vorrei ricordare, è stato nei ranghi della CGIL) afferma senza mezzi termini che “con l’aggiunta dei pensionati i ‘clienti del bilancio pubblico’ raggiungono il numero di 4.012.566 pari al 70% del totale degli iscritti”. Questo significa, in sostanza, che il Sindacato si è trasformato in organo dello Stato, nella cinghia di trasmissione che lega, attraverso i flussi di denaro pubblico, apparato statale e burocrazia confederale. Si confronti tutto ciò con quanto scritto in numerosi articoli e saggi da La Grassa sul fatto che il sindacato, in quanto pienamente parte degli “apparati politico-ideologici” di Stato, riesce a smuovere ancora spezzoni di salariati e di pensionati per garantirsi forza e visibilità ma non per sostenere le istanze dei lavoratori. Anche la concertazione degli ultimi anni ha portato impresso questo marchio vergognoso e ostile ai reali bisogni delle forze produttive nazionali poiché le forze dominanti in Italia sono espressione “dell’alleanza tra la grande imprenditoria industriale (decotta e permanentemente bisognosa di assistenza “pubblica”), con dietro i forti gruppi finanziario-assicurativi, e gli apparati verticistici dei sindacati, adusi da anni a manovrare la quota di lavoro sindacalizzata (in specie quella delle grandi imprese “concertative”) per condurla come gregge contro i “padroni”, che non sono mai i poteri realmente più forti e centralizzati, ma al massimo, e nemmeno sempre, quelli delle fasce medio-alte del lavoro autonomo (in tal caso, senza dubbio, realmente autonomo)”.  Questi sono i nostri nemici, i drappelli dominanti da abbattere e verso i quali non possiamo avere nessuna reticenza. In primo luogo noi del blog.