LA FINE DEL MONDO di G.P.

Questo blog ha preso spesso posizione contro alcune correnti modaiole che, scarse in analisi dei rapporti sociali e materiali, hanno diffuso e continuano a diffondere utopie da quattro soldi (e trenta denari!) con le quali  lenire le storture dei sistemi economici e dei modelli di sviluppo, inevitabilmente originate dalla cattiveria umana o dalla nequizia di dissipatori senza freni e senza alcun senso civico.
In questa cornice di vittimismo sociale operano tutti quei sensibilissimi moralizzatori che sacrificano il proprio tempo e la propria vita rincorrendo le balzanerie più incredibili, proponendo altresì al resto della popolazione, che ovviamente non si rende conto della gravità della situazione, il ritorno ad una frugalità primitiva, ad un’armonia panteistica col mondo e con l’universo per la salvezza della natura e del proprio spirito tremebondo, corrotto dai consumi e dalla concupiscenza fuori controllo. Nei casi più estremi questi imbonitori giungono a propugnare anche la soppressione collettiva con il controllo delle nascite perché il globo, essi dicono, non può reggere a lungo i picchi demografici. Queste "scuole di pensiero" (absit iniuria verbis) non sono nuove in quanto già nell’ottocento un certo Carlo Marx, con l’arguzia che gli era propria, aveva scandagliato le basi di tale romanticismo sociale che cresceva vigorosamente nella coscienza infelice della borghesia la quale “desidera di portar rimedio agli inconvenienti sociali, per garantire l'esistenza della società borghese. Rientrano in questa categoria economisti, filantropi, umanitari, miglioratori della situazione delle classi lavoratrici, organizzatori di beneficenze, protettori degli animali, fondatori di società di temperanza e tutta una variopinta genìa di oscuri riformatori”.
Il 22 Aprile si festeggia la “Giornata della Terra”, ennesima kermesse buonista e politicamente corretta, nata negli anni ’70 (siamo dunque alla 40esima edizione), con l’obiettivo di “Trovare le soluzioni ideali (per esempio: il riciclo dei materiali, la conservazione delle risorse naturali come il petrolio e i gas fossili, bandire prodotti chimici dannosi,  impedire la distruzione di habitat come i boschi e proteggere le specie minacciate) per ridurre gli effetti negativi delle attività umane sul nostro pianeta”. Peccato che alle spalle di questi grandi eventi animati dai buoni propositi, che si ammonticchiano come neve fresca e candida, ci siano sempre un pugno di visionari e una manciata di filantropi miliardari i quali, con i loro denari, s’impegnano a diffondere DISINTERESSATAMENTE cotanto “Verbo” ecologista. Dall’incontro di queste due specie umane nascono organizzazioni di ogni tipo, naturalmente tutte con denominazione all’americana e collegamenti col governo degli USA: Sierra Club, National Wildlife Federation, Worldwatch Institute, Natural Resources Defense Council, Environmental i Population Crisis Committee, Population Reference Bureau, Planned Parenthood, Zero Population Growth. Dietro a queste si muovono club ancora più esclusivi e ristretti (vedi Trilateral e Bilderberg) che  con gli allarmi ecologisti mirano ad avvelenare e sopprimere nella culla qualsiasi altra critica sociale un po' meno ridicola e antiscientifica.
Fa ridere allora che molti partiti, anche in Italia, pur essendo nati dalla costola del marxismo abbandonino completamente il metodo critico di Marx per affidarsi del tutto alle strocchiolerie "animiste" che costui ha sempre combattuto. Pensate ad una organizzazione politica come quella di Vendola, Sinistra, Ecologia e Libertà. Un mix terribile di termini che indicano tradimento (quando mai i comunisti sono stati di sinistra? Lenin docet!), accettazione passiva delle mode liberal di provenienza anglossassone e richiami a parodie universalistiche (appunto concetti come democrazia e libertà) che vanno bene per cani e porci, in ogni tempo e ovunque questi si collochino nel panorama politico.
Di Marx non resta più niente mentre si riportano in auge gli economisti in abito talare, come Malthus, che il Moro aveva smascherato e ridotto a nullità con le sue analisi scientifiche.
Dicendo ciò non vogliamo assolutamente far passare il concetto dell’inesistenza dei problemi ambientali ma, certamente, l’approccio giusto a questi temi non può essere ritrovato nella colpevolizzazione dell’essere umano, il quale (per  nostra buona sorte) spesso non ha alcun potere sui quei fenomeni che determinano il global warming o il raffreddamento del pianeta. Ma siccome non vogliamo spacciarci per degli esperti lasciamo pure la parola a qualcuno che ne sa più di noi. Vi proponiamo così due articoli, il primo tratto dal sito SVIPOP (Sviluppo e Popolazione) che come si legge dal suo sito è “un’agenzia online, principale strumento di informazione creato dal CESPAS (Centro Europeo di Studi su Popolazione, Ambiente e Sviluppo), l’altro invece ripreso da Il Giornale a firma di Rino Cammilleri, il quale pur essendo un apologeta cattolico è molto meno sacerdotale dei “compagni” mangiapreti di sinistra.
 
di Riccardo Cascioli (fonte svipop)
 
Dai tanti che, anche da pulpiti insospettabili, inneggiano alla Giornata della Terra che dal 1970 si celebra ogni anno il 22 aprile, appare chiaro che ben pochi sanno di che cosa si tratti e perché è stata istituita.
Ebbene, dobbiamo subito precisare che – contrariamente ad altre giornate mondiali – non ha niente a che fare con l’ONU. Non che questo la renda in sé più o meno degna, ma per i tanti che considerano l’ONU un’entità morale sotto le cui insegne ogni cosa acquista un valore positivo, magari è una notazione importante.
 
In ogni caso ben più importante è capire l’origine di questa celebrazione che, come già detto, ha preso il via il 22 aprile del 1970 negli Stati Uniti. Fu anzitutto il tentativo di dar vita a un evento nazionale che incanalasse in un programma unitario la frammentata galassia di movimenti ecologisti vecchi e nuovi (questi ultimi erano nati negli Usa soprattutto come reazione al problema dell’inquinamento atmosferico particolarmente sentito in alcune grandi città). Ma tale movimento di base non avrebbe avuto la capacità di un impatto nazionale prima e mondiale dopo se non ci fossero stati due personaggi chiave: il senatore del Wisconsin Gaylord Nelson e il miliardario Hugh Moore.
 
Il primo, un ambientalista convinto, da anni si batteva con scarso successo in Senato per mettere in testa all’ordine del giorno i problemi ambientali. Il secondo, fin dagli anni ’50 si era gettato a capofitto nella battaglia per il controllo delle nascite, ed è l’inventore dello slogan “La bomba demografica” (The Population Bomb), che è stato il titolo di un pamphlet pubblicato a sue spese nel 1956 e distribuito in migliaia di copie sulle scrivanie di tutti gli uomini che contavano, dagli Usa alle Nazioni Unite. “La bomba demografica”, a livello popolare, è un’espressione divenuta poi famosa in tutto il mondo perché fu usata come titolo anche del libro uscito nel 1968 dal biologo Paul Ehrlich, tradotto in tutte le lingue e venduto in milioni di copie.
 
Anche Nelson era ossessionato dal problema della sovrappopolazione, che egli considerava come il principale problema ambientale. Girando il Paese in lungo e in largo e vedendo cosa si muoveva nella società americana ebbe l’intuizione di creare un momento “politico
” in cui unire la galassia ecologista, dandole anche un orizzonte più ampio. A questo proposito bisogna ricordare che i “vecchi” movimenti ecologisti americani affondano le loro radici nelle Società Eugenetiche che, nate alla fine dell’800 come applicazione del Darwinismo sociale, ebbero grande fortuna nel mondo anglosassone nei primi decenni del Novecento. Stessa radice, ovvero eugenetica, hanno anche i movimenti per il controllo delle nascite.
Il progetto politico di Nelson si sposò perfettamente con quello di Hugh Moore che, oltre ad essere un grande finanziatore  promotore di movimenti antinatalisti, aveva anche il genio per azzeccare degli slogan che facessero breccia nell’immaginario collettivo. Non per niente lanciò “la bomba demografica” a metà degli anni ’50, quando non solo era ben vivo il ricordo dell’esplosione atomica di Hiroshima e Nagasaki, ma era anche presente la paura e il rischio di una guerra atomica con URSS e Cina.
 
Allo stesso modo, nel finanziare e sostenere attivamente l’istituzione della Giornata della Terra, Moore ne conia anche lo slogan, fortunato come il precedente, ovvero “La popolazione inquina”. Questa diventa subito la parola d’ordine, rafforzata dalla diffusione a tappeto del solito pamphlet (The Population Bomb).
 
La prima Giornata della Terra quindi segna la saldatura delle diverse correnti eugenetiche, quella ecologista e quella antinatalista, che da quel momento in poi si ritrovano e fanno azione comune. Nel giro di dieci anni tutte le principali organizzazioni ambientaliste americane – Sierra Club, National Wildlife Federation, Worldwatch Institute, Natural Resources Defense Council, Environmental Action per citare i maggiori – fanno causa comune con il Population Crisis Committee, Population Reference Bureau, Planned Parenthood, Zero Population Growth, nel chiedere al Congresso USA un piano nazionale per fermare la crescita della popolazione.
 
E da quel momento movimenti antinatalisti e ambientalisti parlano lo stesso linguaggio: da una parte troviamo, ad esempio, un Werner Fornos – figura di spicco del movimento per il controllo delle nascite e presidente del Population Institute – che indica “la crescita incontrollata della popolazione“ come la causa della “scomparsa delle foreste, l’erosione del suolo, la desertificazione, la scomparsa delle specie e l’allargamento del buco dell’ozono”; dall’altra troviamo l’ambientalista  Lester Brown – presidente del Worldwatch Institute – che ogni anno pubblica un rapporto (State of the World, lo Stato del Mondo) in cui si descrivono una serie di calamità imminenti sempre dovute alla crescita della popolazione. Catastrofi che – ripetiamolo ancora – sono sempre state smentite dalla storia, perché si basano su una visione totalmente negativa dell’uomo che non corrisponde alla realtà.
 
Eppure tale unità d’intenti è oggi più che mai evidente anche in Italia e in Europa, dove i movimenti che coniugano difesa della natura e ostilità per la presenza umana sono chiaramente prevalenti. Peraltro è questo l’approccio che è alla base delle politiche ambientali globali, incluso il Protocollo di Kyoto e relative azioni climatiche invocate. La stessa Agenda 21 approvata al Summit della Terra (la Conferenza ONU sull’ambiente svoltasi a Rio de Janeiro nel 1992) ha come principio ispiratore la necessità di limitare la presenza (o, per dirla con il loro linguaggio, l’impatto) umana, sia qualitativa sia quantitativa. Vale a dire, la ricetta principale per guarire l’ambiente sarebbe: controllo delle nascite nei Paesi poveri, freno allo sviluppo nei Paesi ricchi. Queste politiche
Liberi ora di celebrare ancora la Giornata della Terra, ma almeno sapete che state lottando per l’eliminazione di voi stessi, cosa che – dimostra ancora la storia – farà il male anche dell’ambiente.
fonte: Svipop
 
di Rino Cammilleri (fonte il Giornale)
 
La "festa della Terra" è nata negli anni ’70 saldando fissazioni ecologiste e timore della bomba demografica La ricetta? Decrescita per i Paesi ricchi e controllo delle nascite per il Terzo mondo. Un’ideologia crudele
Anche quest’anno il pianeta è chiamato a festeggiare l’Earth Day, la Giornata della Terra. Il nome stesso richiama l’ambientalismo politicamente corretto e rievoca arcadiche immagini di bimbi che piantano nuovi arboscelli nonché volenterosi volontari che gratis liberano le spiagge dai rifiuti (ma non di rado si tratta di intere scolaresche, vittime ignare, come in tutti i regimi, dell’ideologia egemone). I soliti bastiancontrari penseranno, in questo 22 aprile, che, a furia di celebrare «giornate» per questo e per quello, presto non ci sarà più spazio nel calendario, così che (i più maligni sostengono) si dovrà prima o poi abolire il Natale per far posto a Gea (che poi sarebbe il sogno di ogni liberal -leggi: di sinistra- al mondo). Qui, oggi, ci uniremo alla festa commemorando il Giorno della Terra a modo nostro, magari spiegandone l’origine agli ignari. Infatti, alluvionati come siamo ogni giorno da informazioni (poche quelle utili), il passato si cancella automaticamente dal cervello man mano che serve spazio per nuove nozioni. Così, finisce che, a orecchio, si pensa che l’Earth Day sia roba dell’Onu, come tutti gli altri Day internazionali. Invece no, l’Onu non c’entra niente. Non sappiamo se questa verità renda l’Earth Day meno autorevole o più prestigioso: dipende dall’opinione che ciascuno si è fatta dell’Onu. Alla ricerca di notizie sull’origine della Giornata della Terra ci siamo imbattuti in un singolare articolo di Riccardo Cascioli, direttore dell’osservatorio SviPop (Sviluppo & Popolazione), specializzato nello smascherare le bufale ambientaliste. Detto articolo si conclude con questa frase scioccante: «Liberi ora di celebrare ancora la Giornata della Terra, ma almeno sapete che state lottando per l’eliminazione di voi stessi». Ohibò. In effetti, Cascioli svela la sospetta contiguità tra i due allarmi planetari che oggi tengono banco, quello ecologico e quello demografico, un mix che finisce col considerare l’uomo come «cancro della Terra» e unico responsabile dell’inquinamento per il solo fatto di esistere -laddove per i sensati non è lui il problema, bensì la soluzione. Ma andiamo con ordine. La Giornata della Terra cominciò il 22 aprile 1970. Dove? Nei soliti Usa, patria della libertà di espressione (e, dunque, anche di ogni idea bislacca). I più anziani ricorderanno che già negli anni sessanta Celentano lamentava musicalmente l’inquinamento e la cementificazione. Infatti, i movimenti ecologisti già esistevano (sempre negli Usa) come conseguenza dell’affermarsi dei «figli dei fiori». Non che in certi posti, come Chicago, le auto di grossa cilindrata tipicamente americane e il basso prezzo della benzina non avessero creato seri problemi di respirabilità, ma non c’era ancora una coalizione ecologista in grado di imporsi a livello nazionale prima e mondiale poi. A farla nascere pensarono due personaggi ignoti, ancora oggi, al grosso pubblico: Gaylord Nelson, senatore del Wisconsin, e Hugh Moore, miliardario. Eppure il secondo è l’inventore dello slogan «Population bomb», quella «bomba demografica» che all’inizio non interessava nemmeno a Pannella, tanto che il suo autore dovette pubblicare a proprie spese nel 1956 un opuscolo così intitolato. Grazie al senatore Nelson
, che per anni si era battuto -invano- perché il Senato Usa prendesse in considerazione l’ambientalismo, detto opuscolo finì sul tavolo di tutti quelli che contavano, non solo al governo ma anche nelle organizzazioni internazionali, Onu in primis. Ma i tempi non erano maturi. Lo divennero nel famigerato 1968, quando il biologo Paul Ehrlich sconvolse il mondo -finalmente divenuto ricettivo- con un libro dallo stesso titolo: La bomba demografica. Tradotto in quasi tutte le lingue e diffuso in milioni di copie, il libro impose il «problema» al livello delle masse. Non era tuttavia una novità, perché le teste d’uovo anglosassoni fin dall’Ottocento, con le loro Società Eugenetiche, erano convinte che il darwinismo andasse applicato alle società umane. E il controllo delle nascite era la loro coperta di Linus. Fu però nei favolosi Sixties che il progetto del senatore Nelson incontrò i soldi del miliardario Moore, gran finanziatore di organizzazioni antinataliste. Si tenga anche presente che, all’epoca, era ancora vivo il ricordo della Bomba Atomica sul Giappone, e il rischio di una guerra nucleare con l’Urss era incubo costante. Così, l’idea di un’altra «bomba» in grado di distruggere il pianeta si rivelò vincente per l’immaginario collettivo. In tal modo l’ambientalismo sposò l’antinatalismo; e il solito Moore, prolifico creatore di slogan d’effetto, coniò anche il motto «la popolazione inquina». In una decina d’anni l’alleanza fu perfezionata e i vari Sierra Club, National Wildlife Federation, Worldwatch Institute, Natural Resources Defense Council, Environmental Action si unirono con i Population Crisis Committee, Population Reference Bureau, Planned Parenthood, Zero Population Growth per fare pressione sul Congresso USA affinché si attivasse onde «fermare la crescita» della popolazione mondiale. Dai e dai, «sviluppo sostenibile», soprattutto del numero degli abitanti del pianeta, divenne un modo di dire corrente e indiscusso. Nacque allora la Giornata della Terra, i cui sponsor e divulgatori sono uniti nell’indicare l’uomo come il vero nemico dell’habitat: c’è, per questo inquina. La «crescita incontrollata della popolazione» diventa la vera causa della «scomparsa delle foreste» dell’«erosione del suolo» della «desertificazione», della «sparizione di intere specie animali» e perfino del famoso «buco nell’ozono». Abbiamo così il Worldwatch Institute che ogni anno pubblica il rapporto State of the World, zeppo di allarmi su calamità imminenti (sempre regolarmente smentite dai fatti) e causate indovinate da chi. Piaccia o no, questo è ormai lo sfondo dato e non scalfibile sul quale si muovono le politiche ambientali internazionali, Protocollo di Kyoto compreso. Il principio ispiratore della famosa Agenda 21 (approvata al Summit della Terra, la conferenza dell’Onu sull’ambiente a Rio de Janeiro nel 1992) e del recente Vertice di Copenhagen è sempre lo stesso: limitare «l’impatto» della presenza umana. Cioè: freno allo sviluppo nei paesi ricchi e drastica riduzione delle nascite in quelli poveri. Anche se la storia dimostra (e Cascioli insiste) che è vero l’esatto contrario: è la crisi demografica il vero pericolo. Soprattutto per l’ambiente.