APPROVVIGIONAMENTI DI GAS FRA SICUREZZA E FLESSIBILITA’ di Red

 

Durante la crisi fra Ucraina e Russia la strategia italiana di approvvigionamento del gas tramite pipelines è stata messa sotto accusa perché non darebbe sicurezza di fornitura. Varie fonti istituzionali, governative e industriali hanno allora giocato la carta dei “rigassificatori” cioè potremmo dire di veri e propri “porti per il gas” dove potrebbero attraccare navi provenienti da nazioni diverse con gas liquido da immettere (dopo evaporazione) nelle condutture nazionali esistenti.
Chi volesse maggiori dettagli tecnici può andare nell’internet dove si trova praticamente tutto. Qui vorrei solo accennare alle caratteristiche più peculiari di questa tecnologia, di quali interessi economici e geopolitici si pone al servizio, gli effetti che potrebbero derivarne sulle scelte economiche e geopolitiche italiane.
 

  1. GNL: nuova fonte di energia?

 
E’ una domanda abbastanza banale ma vale la pena di rispondere. GNL sta per Gas Naturale Liquefatto il che vuol dire metano per il 90-95%, il resto essendo etano, propano e butano. Quindi nulla di nuovo sotto il sole se non per il fatto che i paesi produttori (meglio sarebbe dire “estrattori”) di metano trovano interessante questa tecnologia per esportare il loro prezioso prodotto anche in paesi geograficamente lontani e non raggiungibili con gasdotti. E’ ovvio che la tecnologia è più costosa ma in particolari condizioni di mercato ( e tanto più lontano è il mercato di sbocco) diventa competitiva.
 
A loro volta i paesi importatori guardano con interesse al GNL perché permette loro di avviare una svolta energetica dal petrolio o carbone al metano, molto meno inquinante in termini di CO2, in prospettiva sempre più penalizzata da pesanti tasse quando emessa in atmosfera (carbon tax), anche in assenza di collegamenti diretti tramite pipelines con i paesi produttori di gas (pensate al Giappone per esempio).
 
Abbastanza esemplare da questo punto di vista la strategia della British Gas che si è assicurata capacità di rigassificazione sia in Inghilterra che in Cile, dotandosi di capacità di vendita tendenzialmente costante al di là delle variazioni stagionali tipiche del mercato del gas: un’opportunità che solo il GNL offre.
 

  1. GNL: il mercato mondiale

 
Data la premessa non dovrebbe suscitare sorpresa il fatto che Giappone, Sud Corea e Taiwan risultino da anni i maggiori importatori di GNL del mondo (22 nazioni nel 2009) con una quota di mercato sempre superiore al 50% dal 2000 ad oggi. Non sorprendente è anche il dato che sia l’UK in Europa a mostrare il maggiore dinamismo con una quota crescente (arrivata al 20% della domanda UK di gas, in vista del progressivo esaurimento dei giacimenti del Mare del Nord), subito dietro la Spagna e ben davanti a Belgio, Francia, Italia (rigassificatori di La Spezia/ENI e Rovigo/Edison, Qatar Petroleum, Exxon).
Gli USA erano considerati fino a ieri un cliente interessante e numerosi impianti di liquefazione erano stati programmati negli anni scorsi per far fronte ad una domanda che si pensava crescente in modo continuo e stabile. Nossignore: negli USA il metano costa molto meno recuperarlo dalle miniere di carbone e questo ha messo un po’ in crisi nel 2009 l’industria del GNL dal lato dei “liquefatori” cioè i soliti: Algeria, Egitto, Russia, Canada più qualche newcomer molto aggressivo come Qatar (maggior esportatore dal 2006) e Australia (50 MT/y previste nel 2015). I nuovi giocatori di serie B saranno invece: Nuova Guinea, Angola, Iran, Yemen, Perù.
 
La domanda globale nel 2009 si è attestata attorno ai 200 milioni di tonn (MT), pari al 6,6% del consumo di gas mondiale, ed è prevista salire a 360 MT/y nel 2020 quando entreranno in funzione molti nuovi impianti di liquefazione la cui costruzione è già partita. Per sostenere la domanda si fa conto ovviamente su Cina (previsione per 32 MT/y importate nel 2020), Brasile, Cile, Argentina, ma molti impianti sono stati rimandati in considerazione del rischio di un eccesso di capacità impossibile da piazzare a prezzi remunerativi. In particolare la Cina potrà giocare tutte le sue carte di potente importatore giocando fra il gas delle pipelines (dal Turkmenistan, dalla Birmania e, in prospettiva, dalla Russia), il gas autoprodotto ed il GNL importato.
 
Questo però è il futuro lontano, per il breve periodo al recente meeting internazionale di Orano (Algeria) le prospettive del mercato del GNL sono state rappresentate con preoccupazione, in particolare per la pratica sparizione del mercato USA che sarà attivo solo sullo spot market, per soddisfare i picchi di consumo o riempire gli stoccaggi strategici nei momenti di prezzi favorevoli. E comunque “salvando” indirettamente i produttori dal confrontarsi con prezzi decrescenti.
 

  1. GNL: qualche riflessione sui possibili effetti sul mercato del gas in Italia

 
E’ quindi la flessibilità l’atout del GNL in un mondo crescentemente instabile. Da intendersi in particolare come riferita all’origine-destinazione del prodotto. Il trasporto via nave apre la possibilità di vendite “spot” con possibilità di spuntare prezzi remunerativi su mercati locali in concomitanza con il decrescere della domanda nei mercati vincolati da contratti long-term causa crisi economica.
Se la flessibilità è la cifra distintiva di questa tecnologia ne deriva come conseguenza che essa sarà privilegiata dai traders di gas (multinazionali come BG o nazioni con limitato mercato interno e vaste riserve, come Qatar, Australia e Canada) che la troveranno particolarmente idonea per spuntare il miglior prezzo (per la parte venditrice) in ogni periodo di tempo in ciascun mercato di consumo. Questa è la strategia di marketing seguita finora dal Qatar che giostra fra i mercati molto “liquidi” di USA e UK e quelli di Asia-Pacifico dove si possono spuntare prezzi migliori perché più “ricattabili”.
 
Molto meno attraente sarà per le nazioni come Algeria e Russia, ben collegate da pipelines e vincolate da contratti a medio-lungo termine (formula take-or-pay).
Non a caso infatti la strategia di Algeria e Russia punta ancora largamente sullo sviluppo delle pipelines (Northstream e Southstream per la Russia, Galsi, Medgaz e gasdotto trans-sahariano dalla Nigeria – TSGP – per l’Algeria). Pur non tralasciando investimenti nel GNL: impianto di Sakhalin per il mercato giapponese (Russia) ed impianto di Gassi Touil pianificato per il 2013 (Algeria).
 
Tornando alla questione di inizio articolo, mi sembra a questo punto abbastanza logico concludere che dal punto di vista della sicurezza degli approvvigionamenti una rete di rigassificatori risulterebbe abbastanza ininfluente per l’Italia, mentre forse, e tuttalpiù, potrebbe aiutare a strappare migliori condizioni di prezzo del gas nel momento in cui si andranno a rinnovare i contratti a lungo termine con Algeria e Russia.
 
L’idea poi di trasformare l’Italia in un hub del gas per tutta l’Europa mi sembra abbastanza velleitaria, anche se non del tutto peregrina, ma soprattutto tardiva, considerato che in Europa ci sono già 20 rigassificatori con una capacità nominale di 170 miliardi di metri cubi/anno (BCM) (25% ca. del consumo europeo) a fronte di un’importazione di GNL pari a 71 BCM nel 2009.
 
E’ però un dato di fatto che le nuove pipelines entreranno in competizione con il GNL il quale deve trovare mercato a tutti i costi dopo aver tanto investito nella liquefazione e potrà offrire ai consumatori prezzi relativamente sganciati dalla quotazione del petrolio, contrariamente al gas delle pipeline. Se dovessi dare un consiglio all’ENI (che ovviamente non ne ha bisogno) non mi preoccuperei tanto di contrastare (o sembrare di contrastare) la costruzione di nuovi rigassificatori (una decisione che per alcune nazioni europee può essere di natura politica più che economica, vedi Polonia), quanto di cercare una maggiore connettività della fitta rete di gasdotti europei in modo da aumentare la sua flessibilità gestionale. Oltre che investire su nuovi stoccaggi strategici, magari utilizzando i giacimenti di gas esauriti o in via di esaurimento (vedi articolo di M. Muchetti sul Corsera del 3/5/2010).
 
Mentre ai decisori politici suggerirei di stare attenti alla possibilità che il GNL importato dai rigassificatori spiazzi eccessivamente il gas importato via pipeline (per il puro gioco della concorrenza di prezzo questo è quanto accaduto in Italia nel 2009 con l’avvio del rigassificatore di Rovigo), senza aver verificato la sostenibilità di tali immissioni in termini di sicurezza a lungo termine. Insomma le centrali elettriche di Edison hanno tutto il diritto di funzionare con gas pagato meno sul mercato spot del GNL, ma l’interesse del sistema industriale nazionale è in ultima istanza quello di avere costanza di erogazione dell’elettricità.
 
Diverso invece, proprio sul piano strategico, se il GNL entrasse nella rete italiana per poi essere esportato in altri paesi confinanti, rafforzando per questa via alleanze politiche e scambi commerciali. Ma questo non potrebbe non essere un compito precipuo di ENI, la compagnia di bandiera italiana.
 
Red
 
Roma/3.5.2010