IN EUROPA AL TEMPO DELLA CRISI di G.P.

 

Vorrei tornare brevemente sull’analisi proposta dal Leap circa la quale mi sono già espresso con un epigrafico commento domenica scorsa. Ovviamente rincalzo quanto sostenuto in quella sede laddove esistono molteplici segnali, anche economici, che danno torto ai ricercatori francesi, quanto meno troppo arditi nel parlare di una sorta di “colpo di stato” messo in atto a Bruxelles e finalizzato alla fortificazione degli interessi geoeconomici dei 26 Stati membri verso mercati impazziti che portano  ancora impresso a fuoco il marchio della bestia dominante “angloamericana”.
Se quest’ultimo aspetto appare incontrovertibile (e siamo stati tra i primi a far presente che non esiste una neutralità degli stessi ma che al contrario le regole del libero scambio sembrano agire apposta per far crescere la preminenza Usa) non lo è altrettanto il dato delle conseguenze politiche che scaturiranno da siffatte scelte. Sarebbe davvero troppo bello poter far discendere da azioni di protezione finanziaria, nondimeno molto dubbie, il disaccoppiamento che ci permetterà di sbarazzarci dell’influenza dei vecchi padroni.
Che dalle spesse catene con le quali gli statunitensi hanno avvolto l’Europa, da più di un cinquantennio, ci si possa divincolare attuando una riforma economica – la quale, peraltro, ha oggi i contorni di una mera presa di tempo di fronte ad un terremoto sistemico non compreso a fondo nelle sue causae causantes – deve apparire una bizzarria soprattutto a chi ha un quadro più o meno preciso della presenza delle basi americane in tutto il continente, nonché un'idea del condizionamento politico esercitato da Washington sui singoli governi europei.
La conformazione unipolare del mondo uscito dalla guerra fredda, ribattezzato dagli intellettuali Usa, et pour cause, il New American Century, è durata relativamente poco ed oggi non regge più in faccia alla Storia. Tuttavia, in questo processo  di riconfigurazione geopolitica mondiale l’Europa non è ben collocata ed, anzi, sembra l’unica area geografica e politica ancora incapace di schierarsi e di imboccare una propria via atta a recuperare un peso internazionale adeguato alle sue potenzialità.
Ritenere che si possa agganciare il treno dell’epoca storica basandosi su scelte di bilancio e finanziarie lascia quanto meno interdetti. Vorrei anche rammentare che fino a qualche giorno fa, uno dei più importanti banchieri centrali americani, Paul Volcker, riferendosi alla crisi greca e all’indisponibilità della Germania ad attuare un piano di soccorso, più solidaristico di quanto sia stato fatto, parlava di inevitabile disintegrazione dell’euro. Lo seguiva il Presidente francese Sarkozy, il quale, di fronte ai tentennamenti tedeschi, minacciava di abbandonare la moneta unica prima della sua disintegrazione per assenza di decisioni coraggiose. Inoltre, le borse, dopo aver accolto positivamente la notizia del piano da 750 mld di euro, sono tornate a traballare pericolosamente facendo registrare indici negativi sulle principali piazze europee, spandendo dubbi sull’efficacia stessa degli interventi programmati. Pare, infatti, che i 750 mld stanziati da BCE e FMI siano virtuali e non reali come quelli versati da Paulson alle banche americane in fallimento nel 2008. Chissà dove hanno rintracciato i ricercatori del Leap questa “ricostituzione di nuovi equilibri globali” favorevoli ad Eurolandia.
Ma più di tutto deve farci riflettere il ruolo giocato da Obama in questa vicenda. Il presidente Usa ha continuamente interferito sulle azioni dell’eurogruppo, come riporta Federico Rampini su Repubblica del 15 maggio. Telefonate alla Merkel, a Zapatero, e poi pressioni sulla Grecia e su altri esecutivi continentali per reclamare piani di austerità che non applica in casa sua. Il risanamento dei conti sta diventando il feticcio che ci costringerà a pagare i guasti e il servilismo dei nostri governanti. Che qualche spesa sia da calmierare non lo mette in dubbio nessuno, tuttavia bisogna avere il coraggio di allargare i cordoni della borsa per stimolare la crescita nei settori di punta e in quelli in grado di aggredire i mercati esteri, dove sono proprio gli americani ad eccellere Qualsiasi piano d’azione in questo senso giustificherà i sacrifici che ci verranno chiesti, altrimenti si tratterà della solita tosatura contro i popoli europei a vantaggio di un ordine internazionale dannoso per i loro interessi e per la loro libertà.