ANCORA POMIGLIANO (di GLG il 20 giugno ’10)
Alcuni hanno voluto assimilare, nel suo significato storico, la marcia dei 5000 a Pomigliano a quella di 30 anni fa dei 40.000 della Fiat a Torino. Con la differenza, considerata decisiva e indice di una “positiva” svolta storica, che allora marciarono i soli quadri, oggi questi ultimi assieme ad operai. Una specie di realizzazione, detto ironicamente, della previsione marxiana circa la formazione del lavoratore collettivo cooperativo od operaio combinato (“dall’ingegnere all’ultimo manovale”); non più però contro il capitale, ma a favore dell’ormai “eterna forma razionale” del produrre in società, tutti fieri in perfetta armonia nel desiderio di contribuire al profitto aziendale, coincidente nella testa di molti (troppi) con il vantaggio collettivo, d’insieme.
A me sembra che allora vi fu un’effettiva rottura (già nelle cose da molto tempo per non dire da sempre, solo sancita visivamente) tra strati dirigenziali anche di medio livello e il lavoro più prettamente esecutivo. Oggi, vi è una fittizia unità “tra quadri ed operai” nella paura del futuro, nella precarietà del lavoro, nell’abbassare la testa cedendo ad un ricatto. L’unico elemento di somiglianza sta nell’ambiguità del sindacato in quanto mera burocrazia autoreferente, senza più vero seguito, se non ideologico e in componenti sempre minori (e sempre più anziane in media) di una compagine lavorativa di tempi ormai trascorsi.
Sia i sindacati che dicono si all’accordo, sia quelli che lo rifiutano, tentano in modi diversi di prolungare la mera sopravvivenza dei loro apparati di funzionari ormai inutili ai lavoratori nonché parassiti della società tutta. Essi rappresentano una “tumefazione”, una “escrescenza”, un “bubbone”, che sarebbe vantaggioso poter eliminare al più presto (compresi i Cobas e quant’altro, perfino più fastidiosi nella loro chiassosa minoranza). Chiunque vinca il 22, sia il si oppure il no al ricatto, non ci sarà alcuna reale vittoria per nessuno: né per quelli che inneggiano alla “meravigliosa lotta operaia”, all’immarcescibile conflitto capitale/lavoro (sempre eguale a se stesso nei suoi metodi e nella sua ossificata ideologia); né per quelli che pensano ad un corpo lavorativo ormai “pappa e ciccia” con i vertici aziendali, con i rappresentanti della Confindustria, ecc. ecc.
L’unica scelta possibile, non tanto per ragioni morali quanto proprio politiche, è di stare con quelli che difendono il loro posto di lavoro e nel contempo le loro condizioni di vita; soprattutto sapendo che hanno di fronte i vertici di un’impresa industriale da sempre alimentata (da ancor prima del fascismo) mediante aiuti e sussidi vari dello Stato, protagonista di imposizioni brutali, di innovazioni di facciata fortemente pubblicizzate come la “qualità totale” (in ciò aiutata da ignobili correnti “ultrarivoluzionarie” del tipo degli “operaisti”), di messa in sordina del settore auto per privilegiare altre attività, anche finanziarie. Assistiamo adesso all’ulteriore inganno, propagandato da destra e da sinistra, per cui la Fiat avrebbe acquistato a costo zero, rimettendola in piedi, la Chrysler; mentre siamo invece in presenza di un grosso favore fattole dall’amministrazione Obama affinché essa divenga un’importante “quinta colonna” degli Usa nel nostro paese.
Altro che leader automobilistico nel mercato mondiale, altro che assorbimento e risanamento con mezzi propri dell’impresa americana! Si è trattato di una scelta, non di primaria importanza strategica ma nemmeno irrilevante, degli Usa per far credere alla favoletta di una Fiat in grado di andar a comandare in casa loro; alla “nostra” impresa è stato attribuito tale “patentino” per renderci orgogliosi e farci ingoiare un’ancor più accentuata subordinazione alle loro pretese di supremazia. Del resto, ci si ricorda del comportamento Fiat (non da sola certo) all’epoca del colpo di Stato del 25 luglio 1943 con brusco capovolgimento di alleanze dell’Italia? E ci si ricorda che cosa ha fatto quest’azienda (“antifascista”) nel dopoguerra, favorendo la scissione dei socialdemocratici dal Psi, la creazione del “sindacato giallo”, ecc. (certamente tutti processi voluti dagli Usa che ormai comandavano nell’area “occidentale” e nel “Patto atlantico”)? Adesso essa finge di compiere un’“opera buona”. La Panda si costruirebbe meglio dove la fanno adesso, in Polonia. Al limite si potrebbe utilmente produrla in Serbia. La “vocazione italiana” dell’azienda, però, le fa fare un “grande” sacrificio, a fronte del quale chiede quello “piccolo” dei lavoratori di Pomigliano.
Basta con queste pantomime. La Fiat preferisce l’Italia perché gli Usa, che le hanno concesso il “patentino” di cui già detto, hanno bisogno di questa “quinta colonna” qui da noi; non interessa loro averla in altri paesi, non servirebbe ad un bel nulla. La Fiat ha forti addentellati politici in Italia tra tutti i mestatori e i devastatori del nostro interesse nazionale, tra quelli che assimilo – con paragone storico approssimativo, sia chiaro – ai “confederati”, agli “Junker”, tra gli interessati a giocare il ruolo di “camerieri” di un paese predominante, che si sforza con tattiche diverse di mantenere la propria primazia nella nuova fase multipolare in avanzata. Proprio per questi motivi, ripeto che i lavoratori capaci di reggere al ricatto – e temo saranno sempre di meno – vanno comunque appoggiati. Guai però se lo si fa accettando supinamente, ancora per troppo tempo, la guida di questi sindacati cristallizzati e autoreferenti, che poi giocano a favore di un ritorno delle “sinistre” (assieme ai “centristi”) al Governo; evento luttuoso che sarebbe la ciliegina sulla torta per gli Usa, significherebbe il totale spegnimento perfino dei più piccoli sussulti di nostra autonomia, come già si sta vedendo nella rapida involuzione caotica e confusionaria della politica italiana, in cui è assai carente l’appoggio all’Eni, alla Finmeccanica e scarse si rivelano le aperture verso “est” e verso “sud”.
Appoggio quindi ai lavoratori, ma consapevolezza che si tratta di battaglie di retroguardia, di battaglie della fine di un’epoca che ebbe ben altri fermenti oggi chiusisi con un sostanziale fallimento. Battaglie del genere non sono affatto inutili in sé; ma lo diventano alla lunga se non si trovano altri sbocchi, se non si riesce a individuare un agire nuovo per cui occorrono diverse categorie interpretative. Se non si capisce la configurazione sociale dei paesi europei, e del nostro in particolare, se non si trova il modo di coagulare nuovi blocchi sociali, si è persi. Tuttavia, è chiaro che intanto, nella fase multipolare in apertura, alle lotte di retroguardia – di cui dare valutazione positiva (non di tutte indistintamente) – va unita la consapevolezza di una politica di autonomia nazionale. E allora la prospettiva comunque cambia.
La parziale lotta di Pomigliano contro la Fiat, accanto alle giuste esigenze di lavoro e di vita di migliaia di subalterni alle decisioni altrui, h
a il significato – in questo momento assolutamente celato alla vista dei lavoratori – di opposizione (dunque inconsapevole) ad una non irrilevante (anzi!) “quinta colonna” dell’asservimento italiano agli Usa di Obama. Le forze sindacali, che pretendono di difendere i lavoratori, si battono solo per salvare, con misera “tatticuzza”, le loro posizioni di potere quali apparati di Stato; continuamente finanziati da quest’ultimo, fra l’altro, altrimenti non potrebbero pagare gli stipendi dei loro funzionari (non difensori dei lavoratori, sia chiaro, bensì soltanto funzionari).
Strategicamente, invece, anche questi oppositori della Fiat sono puntelli di quelle forze politiche costituite da subordinati agli Usa e alle loro “quinte colonne” in Italia, fra le quali troviamo al primo posto la Fiat in buona compagnia con le grandi banche e l’associazione degli industriali, ai cui vertici stanno i “confederati”, gli “junker”. Questo è il pasticcio in cui ci si dibatte. Se non lo si districa, ogni “lotta del lavoro” sarà sempre ambigua: una giusta esigenza di difendere condizioni lavorative e tenore di vita posti “sotto assedio”, unita all’appoggio fornito a forze politiche succubi della potenza statunitense e delle nostre classi (sub)dominanti, che l’aiutano a rendere il nostro paese una semplice pedina del suo gioco di supremazia nello scacchiere mondiale.
Bisogna uscire da questa ambivalenza. La nostra voce è flebile, ma si leva chiaramente fuori dal coro stonato dei servi; cantino “Va o pensiero” o “Fratelli d’Italia”, in ogni caso essi, demagoghi e mentitori, dirottano l’attenzione su questioni d’infimo ordine mentre si preparano a completare l’opera iniziata nel 1992 con “mani pulite” (e la ben nota riunione sul “Britannia”). A simile gentaglia si deve rispondere con il disprezzo che merita. Ai lavoratori bisogna invece dire senza mezzi termini che lottano indubbiamente per giuste ragioni di vita e di lavoro, ma perderanno comunque, sul piano strategico e in un periodo di tempo non troppo lungo, sia le future battaglie sia le conquiste fatte in passato se non prenderanno coscienza di una grande verità “brechtiana”: in testa a loro marcia il nemico, che combatte contro un altro nemico per la spartizione dei posti di potere. “Tutti insieme appassionatamente”, però, questi nemici mirano ad ottenere il riconoscimento, la gratitudine e, dunque, il “pagamento” da parte dei predominanti statunitensi. Questa la posta in gioco: liberarsi del nemico che marcia alla propria testa. Non sarà facile, il ritardo accumulato è enorme, la coscienza che di nemico si tratta, pur se finge di fare gli interessi di chi sgobba, esiste in pochi individui.
Meno che meno si capisce che le lotte dei lavoratori, nel momento attuale di trapasso d’epoca, di fine del vecchio movimento operaio e dello schematico conflitto capitale/lavoro, devono passare intanto per la difesa degli interessi nazionali, con gli opportuni compromessi; opportuni per tale difesa, non per accrescere il potere delle “quinte colonne” tipo Fiat, ma nemmeno per favorire il compromesso tra queste e il nemico che marcia alla testa di chi lotta. Spero sia chiaro il distorto quadro sociale che emeriti mentitori (di destra e di sinistra, etichette senza più contenuto) stanno disegnando per meglio ingannare e tenere sotto il tallone chi sta perdendo molte posizioni riguardo al tenore di vita e alla tranquillità del proprio lavoro.