QUALE APPROCCIO ALLA CRISI? di M. Tozzato

Così scrive Mario Platero in un articolo (Sole 24 Ore del 26.06.2010):
<<A Toronto, dove seguo il G8-G20, bilaterali di vario genere, c’è molta tensione. Da stasera, con il G20, si parlerà di nuove regole, di fondi hedge, di coordinamento, di rapporto dollaro-yuan. Ma dentro il G20 il vero scontro è un altro. E’ uno scontro di filosofie di intervento tra Washington e Berlino, tra gli americani che chiedono ulteriori azioni a sostegno della crescita e i tedeschi che vogliono rigore. Una battaglia dura, cruciale per il futuro dei mercati.>>

Le preoccupazioni degli Usa derivano anche da alcune scadenze: a settembre cesserà il “pacchetto” di stimoli, 100 miliardi di dollari al trimestre, che finora hanno contribuito a sostenere l’economia; nei prossimi due anni 3.000 miliardi di dollari di mutui a breve dovranno essere rifinanziati pena l’innescarsi di una spirale negativa. La Germania propone di cambiare rotta e quindi di smettere di pompare liquidità che poi si tradurrà in inflazione. E Platero osserva in proposito:
<<E i tedeschi sanno bene quali pericoli porta con se un’inflazione iperbolica e la temono. Non solo. I tedeschi vogliono misure di rigore per difendere la tenuta della moneta unica. Sanno benissimo che se ci si rimette a spendere nell’area euro, gli attacchi degli speculatori continueranno e il conto inevitabilmente tornerà a Berlino.>>
Ma Obama continua a ribattere che in altre occasioni è stata dimostrata l’erroneità delle politiche di restrizione della spesa; Washington paventa un nuovo peggioramento in tema di occupazione e teme che l’intera impalcatura per la ripresa crolli su se stessa. Platero infatti afferma, a proposito degli Usa, :
<<E dunque preferisce spendere: l’inflazione è meglio della disoccupazione. Chi ha ragione ? Io credo l’America: l’importante è poter andare avanti. Aggiungo, gli Usa possono contare sulla Fed che ha già detto mercoledì scorso di avere strumenti di intervento per sostenere la crescita e  deviare la crisi finanziaria. La Bce è molto più rigida.>>
Si tratta, probabilmente, per gli Stati Uniti, proprio di riuscire a “deviare la crisi finanziaria” facendola pagare ad altri; se i tedeschi vogliono scongiurare questo non possono certo contare sugli altri paesi della UE ma devono riuscire a stabilire alleanze con gli “emergenti”: Russia, Brasile, India, Cina ecc. (soprattutto, credo,  Russia e Brasile in questa fase). Nella recente disputa, che ha visto protagonista l’Italia, sulla proposta, in sede UE, di tener conto – per dare il via libera alle sanzioni in caso di debito eccessivo dei paesi dell’Unione – in aggiunta ai consueti parametri,  della quantità totale del debito aggregato (DIL) – il quale comprende oltre al debito pubblico anche l'indebitamento delle famiglie, del sistema finanziario e delle imprese – si può cogliere l’occasione per alcune riflessioni all’interno dell’eterna disputa tra neokeynesiani e neoliberisti. In un articolo su Il Messaggero di qualche giorno fa Marco Fortis, ad esempio,  scrive:
<<Per anni i politici, gli analisti e gli opinionisti hanno valutato lo stato di salute delle economie nazionali pressoché esclusivamente sulla base di due parametri: la crescita del PIL e il basso livello del debito pubblico.[…] Quasi nessuna attenzione veniva rivolta ad altri aspetti essenziali: ad esempio, lo stock di ricchezza delle famiglie (che può anche diminuire se il PIL è trainato da consumi eccessivamente spinti dai debiti), la qualità e la sostenibilità non solo ambientale ma anche finanziaria della crescita del PIL stesso e il livello del debito privato (che è una componente non meno delicata del debito pubblico nell`ambito del DIL (1)).[…] La dura realtà dei fatti sta dimostrando che è stato un grandissimo sbaglio considerare solo il debito pubblico come variabile critica e non invece il DIL nel suo complesso. Perché nei Paesi della "bolla"il debito pubblico non cresceva, è vero, ma il DIL aumentava eccome, trascinato dai debiti delle famiglie per i mutui sulla casa e il credito al consumo. Erano questi fattori che facevano correre i PIL dell`Irlanda, dell`Islanda e della Spagna più di quello dell`Italia, il PIL degli Stati Uniti più di quello del Giappone e il PIL della Gran Bretagna più di quello della Germania. Unica eccezione la Grecia, che ha artificialmente sostenuto la sua crescita economica non con il debito privato ma con il debito pubblico.>>
Se ad una spesa in deficit non corrisponde un crescita delle “attività” che aumenti l’utilizzo dei  fattori produttivi in direzione della frontiera della “produzione potenziale” registreremo probabilmente non solo un aumento dell’inflazione ma anche una crescita “drogata” dei consumi che farà aumentare il debito delle “famiglie”. Termino qui queste brevi considerazioni che vanno oltre l’analisi strutturale sviluppata da La Grassa e Petrosillo e  più in generale da tutti i collaboratori del blog. Esse  toccano  comunque questioni che “riempiono” i media e che vengono gabellate per “scienza suprema” da quelli straordinari imbonitori che fanno il mestiere dell’ “economista”. Naturalmente un autodidatta, come il sottoscritto, si permette di occuparsi di tali “profonde” problematiche solo in virtù della rilevanza che comunque assumono nella dimensione di un più complessivo lavoro politico-critico.
(1)  Il DIL è il "debito aggregato", cioè la somma dei debiti di tutti gli attori dei sistemi economici nazionali: famiglie, imprese, pubblica amministrazione.
Mauro Tozzato      27.06.2010