MAI COME LORO

Il vuoto della politica è un pozzo senza fine.
La crisi delle idealità profonde è specchio della crisi di coscienza del tessuto civile nazionale.
Il mortificante scempio che si è fatto di ogni progettualità politica autentica ha aperto uno spazio in cui confluiscono livori, meschinerie, rabbie bavose che certamente hanno una ragion d’essere alla luce della situazione del Paese, ma che non possono rappresentare un fondamento politico costruttivo. Insomma, c’è un populismo – fisiologico comunque in ogni dove – che negli ultimi tempi ha addirittura pensato di darsi un‘aurea di rinnovamento per il Paese.
 
Incarnazione di questo fenomeno fibrillante è quella particolare schiatta di antiberlusconiani monotematici in stile giustizial-qualunquista. Non si tratta di un soggetto unico, ma di personaggi e correnti che giocano di sponda su diversi versanti, dalla carta stampata alla tv, alle fazioni togate,
alle piazze illusioniste.
Che il presunto berlusconismo fosse destinato a produrre un suo contrario era fors’anche fisiologico, ma che gli antiberlusconiani siano portatori sani di “rivoluzione” è un’idiozia lampante capace di alimentarsi solo laddove alberga un’ottusità di giudizio e di introspezione.
L’antiberlusconismo non è il solo non essere dalla parte del Cavaliere, ma è un ideologismo, una forma di contro-pensiero per partito preso, di azione contraria che si manifesta nel gusto, ancor prima che nella consapevolezza, di fare e dire secondo i più classici canoni del bastian contario. Senza se e senza ma. Odio dunque sono.

Gli antiberlusconiani sono di varia risma, trasversali nel fronte delle opposizioni politiche (si fa per dire). Ma la schiatta antiberlusconiana cui in particolare mi riferisco è quella che si muove e si consolida all’interno del triangolo Di Pietro-Grillo-Travaglio.
Questo triangolo è uno spazio non formalizzato in cui transitano svariate figure e idee secondo un movimento che oscilla dalla sinistra radicale al PD, passando per coloro che non aderiscono a nessuna composizione politica, ma che… antiberlusconiano è una voce da aggiungere sulla carta d’identità.
In questo triangolo contano gli “anti”. I “pro” sono opzionali, e spesso fanno molto luogo comune.
Il punto in questione non è l’indispensabilità, all’interno dell’analisi politica, di occuparsi del politico, del comico e del giornalista, ma la valutazione del perché essi ci compaiano davanti, del perché siano lì a sentenziare sul palcoscenico che il sistema ha loro concesso.

Si tratta proprio di questo, del fatto che determinati apparati ci consegnino questa schiatta di cialtroni che pensano di veicolare un messaggio antisistema.
E certo, per costoro il sistema è sostanzialmente – più o meno- la struttura di potere berlusconiana, quella che definiscono la dittatura di un delinquente impunito, di uno psico-nano votato all’assoggettamento onnicomprensivo delle redini del potere e delle menti degli italiani. In più, ci mettono l’attenzione più che altro qualunquista per una classe politica per lo più aggettivata secondo stereotipi e superficialità.
Di una formazione politica forte e di una progettualità concreta e innovatrice per la Nazione non se ne scorge l’ombra.
Anzi, il triangolo giustizial-qualunquista è tutto interno al paradigma del sistema, della finta democrazia liberal-democratica appannaggio dei poteri costituiti. E’ una corrente del Pensiero Unico, del pensiero debole.
Svolge una funzione distorsiva: calamitare la rabbia e lo smarrimento dei (giustamente) delusi inchiodandoli all’ avversione personalistica tout court per il Berlusca ( e i suoi fedeli) e ad una serie di tematiche –non tutte astrattamente infondate certo- che non centrano il problema e la soluzione per un radicale cambio di rotta del Paese.
Come se Berlusconi fosse il problema di fondo, la radice del male.
Per questo, consapevolmente o meno, in buona o in cattiva fede, gli antiberlusconiani continueranno a servire il sistema, i loro padroni e le loro logiche.
Da ascriversi, quindi, alla categoria degli “utili idioti”.
A questo punto, nella fuorviante ottica che il berlusconismo costituisca il Sistema, la schiatta antiberlusconiana si ammanta di missione salvifica e purificatrice della nostra democrazia.
Nulla di più falso. Abbiamo a che fare con degli impostori. Tanto più che questi megafoni dell’alter-politica si sono affermati e sviluppati all’interno degli apparati e delle manovre di potere che da anni scuotono il Paese.
 
Lo spadaccino d’inchiostro Travaglio fa parte di quella pletora di intellettuali e giornalisti affermatisi, in particolar modo, sulla scia delle inchieste di Tangentopoli. Di quelli che, cioè, agivano in sinergia all’interno di quell’attacco congegnato contro l’Italia che fu Mani Pulite.
Ha cavalcato casi giudiziari, ha mirato su specifici personaggi fino a modellare sostanzialmente la sua mira sul Berlusca e dintorni. Si definisce un “liberal-montelliano”, ha scritto (e scrive) per giornali inboscati nell’apparato industrial-finanziario e partitocratico, è in pianta stabile – in prima linea e in prima serata mica da gregario – nella RAI pubblica, emerita struttura partitocratica nonché congegnato mediatico degli agenti sub-dominanti, e frequenta i salotti della chiacchiera radical-chic e intellettualoide che pensano di fare i cani da guardia del bon-ton e dell’integerrima condotta morale. Idem Santoro, in uscita o meno dalla tv pubblica. L’assunto non cambia.
Il baldo Marco è proprio un rivoluzionario, insomma!
Lo è talmente che il Sistema -quello vero e consolidato- ce lo propina da anni. E’ talmente un ficcante giornalista scomodo che nella sua carriera ha sempre avuto referenti editoriali tra i più potenti del Paese. E’ un sobillatore di punta dell’anticraxismo becero che offusca le menti e distorce non solo la percezione dello statista socialista ma anche della effettiva evoluzione del contesto politico ed economico dal ’92 ad oggi. Sorvolando poi sulla ridicola sovrapposizione Berlusconi-Craxi, che pure molti stolti filo-cavaliere hanno pensato di alimentare, seppure in chiave diversa. Sorvolando sulla sua posizione filo-sionista che forse a qualche sinistroide è sfuggita.
Tutto ciò – e Travaglio serve anche a questo – portando acqua al mulino di quella cricca di potere parassitario industriale e finanziario italo-angloamericano che ha messo le mani sul Paese più liberamente dopo il vuoto creato appositamente da Mani Pulite.

Lui sarà probabilmente tra quelli in prima fila per Gianfranco Fini.
Si pensi, Travaglio – che sarebbe così scomodo e quindi osteggiato dal Potere mediatico e non solo che vorrebbe dar l’idea di contrastare – che oggi è un divo.
Si, perché Travaglio è un personaggio –l’ennesimo- che viene fuori dai media addomesticati e dalla loro ed
ificazione di uomini e donne portatori di marchi. Il marchio Travaglio non si compone di cosce e tette, ma di una spocchiosa carica moralizzatrice e giustizialista.

Alla sua opera di “copia e incolla” di documenti di inchieste, sentenze e veline delle procure – conditi da immancabili assiomi etico-morali – affianca un atteggiamento di tracotante saccenteria. Guardatelo in tv. Lui entra, fa il suo proclama. Poi, sorridendo sarcastico e compiaciuto, si siede e scruta gli ospiti della trasmissione come a voler pensare: ”e adesso sentiamo che dicono questi poveri stronzi”.
Si erge a fustigatore di colpevoli si, ma pretestuosamente anche di assolti o di mai inquisiti lasciando che emerga un insindacabile sospetto di colpevolezza che quanto meno diviene condanna morale. E’ il criterio della colpevolezza a prescindere.
Ma i veri “colpevoli” di un dato ordine di cose che andrebbero indicati non sono quelli delle sue cronache giudiziarie, distorsivamente spiattellate come denunce per eccellenza.
Troppo facili certi obiettivi per esser scomodo “rompiballe”.
Ma a lui è concesso di allestire un perenne processo mediatico con poco o assente contraddittorio.
Oggi –si guardino i video su youtube– è il divo di tante ragazzine osannanti e chiedenti autografi. Tranquilli però, non lo chiamano Papi.  

 
Tonino Torquemada Di Pietro, oriundo della magistratura d’assalto, è il simbolo di quella nefasta tempesta giudiziaria di Mani Pulite che fu il grimaldello per una collaudata azione geoeconomica atlantica, correlata ad un mutato assetto geopolitico post ’89.
Lui, già coccolato dai fogli di stampa nostrani e dei circoli di Wall Street e della City che affollavano il panfilo Britannia, deve proprio alle gesta di quando era pm, ed ai contestuali osanna di quei giornali e tv che facevano tamburello sulla pancia dell’opinione pubblica, la sua popolarità.
Lui, laureatosi –chissà come- in una manciata di mesi rispetto al minimo necessario nonostante i persistenti difetti di scolarizzazione, deve la sua fortuna al fatto di essere stato uno strumento di un meccanismo molto più grande e che probabilmente neanche immagina.

Lui, immortalato in foto con personaggi vagamente ambigui come agenti e boss mafiosi bulgari, non sentendosi in dovere di dare spiegazioni.
Ma proprio lui, il giustiziere pro domo poteri forti, deve al Berlusca la sua fortuna. Cosa sarebbe Tonino senza il servigio resogli entusiasticamente dalle reti Fininvest e dai giornali di proprietà del Cavaliere ai tempi d’oro delle manette? Senza quell’immagine di uomo senza macchia, di giustiziere e salvatore della Patria che il circolo mediatico gli costruì, oggi forse avrebbe un “background”meno redditizio su cui far leva.
E poi, finiti gli anni della toga, come avrebbe potuto con scioltezza riciclarsi in politica senza l’avversata e imponente figura del Berlusca di cui si è eretto nemico giurato?
Di Pietro è solo l’immagine populista decuplicata di Berlusconi, anche se di segno politico (?!) diverso. Il personalismo si spreca. Perdinci, neanche il Cavaliere ha osato dare il proprio nome al partito da lui fondato come invece ha fatto Tonino!
Il partito dipietrista è un revival di trombati e transfughi di ogni dove politico e non.
E’ una calamita formidabile di ogni rigurgito dell’antipolitica condito con slogan e molto opportunistiche vetero-battaglie sinistroidi. Liscia il pelo laddove c’è mugugno e malcontento; per di più, il suo capo può fregiarsi del “visto” di novello uomo di sinistra, così da maramaldeggiare nel vasto mare di un elettorato privo in buona parte di punti di riferimento.
Tonino però fa anche il figo. Va acquistando, lui che passa l’uso dei soldi pubblici ai raggi X salvo poi gestirli “in regime di amministrazione familiare”, pagine di giornali stranieri – ovviamente quelli rivoluzionari e nazionalpopolari di industriali e finanzieri – per sollecitare un intervento esterno che salvi l’Italia dalla dittatura berlusconiana.

Beppe Grillo, precipitando dalla comicità nella ridicolaggine, è il funambolico piazzista degli ultimi anni. Inutile soffermarsi sul suo populismo. A mandare a f… i politici siamo bravi tutti. Sono le questioni da individuare e i progetti da proporre che innervano una seria analisi e una valida proposta politica.
Grillo, per quanto singolare possa sembrare il nuovo ruolo che si è ritagliato, è al centro di un fenomeno sociale quale quello della rete. Rete non solo intesa come internet, ma come un nuovo spazio di azione multidimensionale. Grillo, legato alla Casaleggio, è un capofila di quella corrente di pensiero che pensa di costruire un nuovo soggetto collettivo operando a cavallo tra l’informatica, i mass-media e le piazze mediante aggregazioni e reticolati composti da molteplici soggetti, siano blog, ONG, gruppi virtuali o pseudo reali.
 
Insomma, allargando il punto di analisi, il triangolo pan-giustizialista e populista Di Pietro-Travaglio-Grillo sembrerebbe consolidarsi ormai come una porzione di quella tanto decantata “società civile globale” che crede (e vorrebbe) il mondo “piatto”, come il Pensiero Unico mondialista propugna attraverso la sua casta di intellettuali sparsi sul pianeta.
Da quelle parti si ciancia di democrazia dal basso pavoneggiandosi di sublimi conoscenze informatiche e studi sociologici illuminanti. Si ricorre al personalismo, ai forum, ai network, nell’illusorietà di fiaccare il “potere”. Ma quale potere poi?

Il Sistema di potere globalista – quello vero e non quello delle paranoie antiberlusconiane- si perpetua nell’illusorietà generale di sentirsi partecipi di ciò che in realtà è un chiacchiericcio sterile spalmato su tutto e niente con le sue mirabolanti capacità di arrivare dappertutto nella “rete globale”.
La costituzione di una “società civile globale” è una riproduzione del potere già dominante.

E’ il perpetuarsi dello statu quo.
Parecchi di coloro che furono ingannati dalle classi dirigenti della c.d. sinistra radicale, già piegata dall’inizio alle logiche sistemiche dominanti oltreché contingenti, sembrano ormai nel vortice populistico-autoritario dipietrista et similia.
I seguaci grillini, dipietristi e travaglini di ogni forma e colore sono costantemente oggetto e compartecipi di un’operazione di depistaggio dalle tematiche fondamentali e sono sostanzialmente la rappresentazione su scala ridotta di questo fenomeno auto-illusorio della rete come struttura democratica di azione.
Costoro sono semplicemente vittime della caricatura che Berlusconi fa di se stesso.
Si atteggiano nell’entusiastica adesione agli assunti anticavaliere e anti-italiani dei giornali stranieri nelle mani dei poteri forti che padroneggiano le leve dell’economia mondiale. Una forma di provincialismo ignorante e servile che aderisce alle campagne stampa dei più beceri poteri del capitalismo globale, su tutti quelli angloamericani.

Costoro – lobotomizzati dai custodi del verbo antiberlusconiano- non hanno sollevato nessun concreto rilievo e dibattito a proposito del Trattato di L
isbona.
Costoro non hanno mai battagliato per il ripristino della Sovranità nazionale politico-economico-monetaria, non hanno mai indicato (al massimo per sentito dire, ma nella prassi ne sono al servizio)  i poteri della finanza, delle banche, delle centrali di disinformazione come nemici veri del “popolo” al fianco del quale cianciano di essere schierati.

Costoro non sanno neanche cosa significhi il caso del panfilo Britannia, non sanno dove alberga la responsabilità della destrutturazione del sistema industriale pubblico e dello stato sociale incorsa dagli anni Novanta ad oggi.
Costoro non si pongono il problema della collocazione dell’Italia nelle relazioni internazionali e della strada per uscire dall’atlantismo che castra noi e l’Europa.
Solo qualche frasetta buttata lì, il Nemico è Berlusconi.
Costoro sono inoffensivi, insomma, per la struttura di potere dominante.
Aprano gli occhi, perché i “servi sciocchi” son come la vaselina.
Probabilmente la parabola discendente di Berlusconi sarà al contempo la loro, anche se nuove mode “ristrutturanti” avanzano e sono già pronti alla vendolizzazione.
La solita retorica delle buone intenzioni da “anime belle” non coprirà ancora il vuoto politico.
Essi serviranno ancora le logiche, le dinamiche e quindi gli interessi dominanti, credendosi pure anti-sistema.
Forse verranno buoni per qualche rivoluzione colorata.