GIORNALI E LERCIUME di G.P.

Qualcuno ha detto che la critica dei giornali riesce sempre ad esprimere in quali rapporti è il critico con chi viene criticato. Ci sono vicende importanti in questa fase politica che l’attuale opinione giornalistica nemmeno sfiora, oppure racconta in maniera così pelosa da far venire il vomito a chi legge. Quest’ultima sembra fondarsi, per le sue esposizioni mestieranti, invece che sull’analisi dei fatti, delle relazioni tra gli eventi e dei rapporti materiali che governano le azioni dei gruppi e dei soggetti in un dato momento storico e contesto sociale, sul mercimonio dei pensieri e dei concetti, pagati un tanto al pezzo da committenti ben conosciuti.
La vicenda della Fiat è solo un atto, e nemmeno quello principale, di questa messa in scena che perpetua la menzogna a mezzo stampa e preclude all’opinione pubblica la possibilità di farsi un’idea più seria del lerciume che sta invadendo il paese. Per esempio, per leggere qualcosa di diverso e quasi originale sulla vertenza Sindacati-Governo-Fiat abbiamo dovuto attendere un trafiletto, a firma di Ludovico Festa, apparso su Il Giornale di ieri. Niente di eclatante ma almeno l’autore dell’articolo si è preso la briga di rammentare a Marchionne e soci che la compagnia torinese ha un conto aperto con lo Stato da alcuni decenni, pertanto prima di fare la voce grossa da quelle parti si dovrebbe innanzitutto saldare il dovuto.
E non si tratta tanto degli aiuti diretti ed indiretti, degli sgravi fiscali, dei sostegni agli investimenti e dei ricorrenti provvedimenti salvavita come le rottamazioni, ma, soprattutto, di vecchie (s)vendite di favore, operate senza il minimo rispetto delle leggi e delle logiche di mercato: “se alcuni decenni fa l'Alfa Romeo si fosse accordata con la Nissan per fare uno stabilimento al Sud la nostra economia sarebbe oggi più internazionalizzata e il Mezzogiorno godrebbe di una più articolata presenza industriale. Se a metà degli anni Ottanta l’Alfa fosse stata venduta alla Ford invece che a Torino, oggi in Lombardia non si sarebbe dispersa una qualità produttiva di grande valore”. Già… tutti bocconi prelibati che gli Agnelli hanno ingoiato voracemente ingrassando la stirpe e tosando il povero gregge popolare. All’epoca a nessuno è venuto in mente di tirare fuori il totem del mercato e del privato che ha diritto di fare le proprie scelte e di orientarsi economicamente come più gli conviene.
Certo, oggi c’è un nuovo amministratore delegato, un uomo che si presenta come il campione assoluto della globalizzazione e dell’ascesa multinazionale di un’impresa che ha perso improvvisamente le sue radici territoriali. Ma sono chiacchiere. Che cosa abbiamo visto sin qui? Fusioni, incorporazioni, spin off ecc. ecc, e altre operazioni di natura puramente finanziaria mentre dal lato produttivo nulla o quasi (ed in questo quasi ricomprendiamo di diritto anche quella brutta copia di “amarcord” chiamata 500) si è concretizzato. Davvero poco per parlare di seconda giovinezza della Fiat. Nonostante gli effetti della cura Marchionne siano perlomeno dubbi, sono tutti lì a esporci la favola dell’impresa tornata ad aggredire i concorrenti. Dopo il nobel a Obama si può premiare chiunque, con qualsiasi cifra morale e monetaria, per le buone intenzioni che non arrivano mai al dunque.
Ma per i guitti dell’informazione nostrana, questi abitanti inquietanti dei cimiteri delle idee, così come chiamava Joseph Proudhon i giornali, tutto va per il giusto verso. Tra pennivendoli che abbaiano come botoli e manager in pullover che ululano come licantropi lo stordimento generale è assicurato. Concludo con una frase di Schopenhauer che riassume in poche parole ciò che ho maldestramente messo in evidenza in questo intervento: Giornalisti. Il nome coglie nel segno! Si dovrebbe dire: "operaio pagato alla giornata".