“INDOVINA CHI VIENE A CENA?” di G. Duchini
Per il mio passato politico nel Pci, mi capita sovente di sfogliare, o più spesso leggere, la raccolta delle riviste comuniste che fanno riferimento al periodo storico della mia giovane formazione politica, per aggiungere qualcosa in più ad una ricerca storica che tende, talvolta, ad incastrarsi in aporie politiche.
Ultimamente ho scelto, un “Quaderno di critica marxista” ( 1970) dedicato al centenario della nascita di Lenin dal titolo celebrativo “Lenin teorico e dirigente rivoluzionario”.
Il primo articolo ha il promettente titolo “L’insegnamento di Lenin” con cui l’autore affronta il tema decisivo posto dell’influenza leninista sulla società italiana, come riflesso delle esperienze politiche degli anni Settanta, nelle partecipazioni dei giovani e dei lavoratori comunisti.
Il punto di partenza, secondo l’autore, è l’elaborazione di Lenin sul tema del partito nella “lotta contro l’economicismo e lo spontaneismo e nella valorizzazione del momento dell’iniziativa rivoluzionaria. Un’organizzazione che voglia rispondere a queste esigenze, che voglia assolvere alla funzione di avanguardia e di guida del proletariato deve avere una sua disciplina e una su unità: anche se il modo di intenderle e garantirle, il modo di praticare il principio del centralismo democratico, varia a secondodelle situazioni, è sempre ricco, comunque, nella esperienza del partito diretto da Lenin…”
Alla fine della lettura leggo sorpreso della firma di un cotanto autore, “Giorgio Napolitano,” sì proprio lui; e subito mi si affollano i ricordi di quel periodo, non tanto per lo scritto, che già preparava i primi elementi di Compromesso Storico (ineluttabile prosieguo di un deterioramento iniziato dalla svolta di Salerno (1944)di togliattiana memoria), quanto, e soprattutto, perché dagli anni Settanta, il Presidelarep fu l’unico comunista ad avere il libero accesso negli Usa (si mormorava all’interno del partito, fin dagli anni Sessanta), nonostante il divieto assoluto posto all’ingresso in Usa nei confronti di tutti i dirigenti del Pci.
“Vacanze in Usa” si diceva, per concordare che cosa e con chi? E senza che nessuno, fosse in grado di sollevare alcuna obiezione sugli esiti politici di quei viaggi, conosciuti soltanto dall’entourage, più ristretto, della “Segreteria Politica” la cui denominazione non era altro, guarda caso, un “secretum” per pochi intimi. E su quest’ultimo aspetto non vorrei aggiungere alcunché, nel riprendere quella trita e debordante didascalia “della linea politica da seguire” ripetuta all’infinito, in tutte le riviste piciiste, in un linguaggio stereotipato ad uso e consumo del militante fedele. e, comunque, tutto rivolto alla difesa dei comportamenti insindacabili della politica del Pci, sorretta solo da un’indefessa fede del “militante doc” che non osava chiedere, né provare, alcuna incongruenza politica, nei comportamenti dei propri dirigenti politici per tutte le grandi scelte di politica nazionale che stavano maturando dentro la società italiana. Tutto ciò fino a mettere in ombra, e/o nell’oblio della storia, i principi comunisti (e trattasi, comunque, di soli principi!) e per non parlare infine, delle tante nefaste guerre condotte dagli Usa negli ultimi Cinquant’anni, a partire dalla prima più odiosa degli anni Sessanta: la Guerra americana contro il piccolo Vietnam.