PROSPETTIVA POSSIBILE, MA….. (CONTINUA) di Giellegi il 26 ag. ’10
Ormai, la sedicente politica (le meschine manovre cui si dà questo nome) avvengono del tutto sotto traccia, e vengono rappresentate da media miserabili come una continua contrattazione (con insulti reciproci) a livello puramente personale, con la citazione solo occasionale e di striscio di importanti protagonisti del tipo di quelli confindustriali e finanziari; nel mentre, ovviamente, la ben nota “manina d’oltreoceano” è del tutto obliterata, così come lo sono i non pochi viaggi delle massime autorità di questo paese negli Usa. Impossibile per noi, figuriamoci per il largo pubblico, capire cosa verrà fuori alla fine del continuo rimestare nel truogolo di maneggi, che non riguardano per nulla la vita e i problemi dei cittadini, sempre chiamati in causa come fossero i depositari, mediante elezioni “democratiche” (probabilmente la più grande menzogna sostenuta nell’epoca moderna), della “volontà generale”, cioè della volontà del “popolo”; morta astrazione che designa la massa dei poveri disgraziati storditi e vessati dai gruppi truffaldini della sfera economica e di quella politica.
Tutti sono pronti a “tradire” tutti; dove tradire non ha il significato proprio, che è, ad es., quello dell’atto compiuto dagli ex piciisti nei primi anni ’90 per salvarsi, vendendosi, dal “crollo del muro”. Qui tradire significa semplicemente l’arrabattarsi di piccoli e miseri cialtroni nel tentativo di essere all’altezza dei mandanti; del resto anch’essi non proprio migliori dei mandatari. Forse l’unico progetto che, in qualche modo, possa dirsi politico è quello che vede al “centro” (del palcoscenico, solo di questo) il ministro Tremonti. Provo a razionalizzarlo, ma con enorme difficoltà; quindi è evidente che quanto dirò serve solo da schema per successivi aggiustamenti, che temo saranno molteplici e frequenti. Intanto, non so fino a che punto il ministro abbia dietro di sé la Lega come solitamente si sostiene; probabilmente solo una parte (rilevante però) di questa è in relazione con i progetti di cui egli si fa portatore. Inoltre, difficile dire se Tremonti e la Lega preferiscano veramente nuove elezioni o siano al proposito più elastici di quanto non sembri.
Il ministro è pezzo importante dell’Aspen Institute; e questo è ben legato ad ambienti (soprattutto finanziari) americani. Nel contempo, egli tenta un’azione verso la finanza cattolica, confidando in settori di questa che, dopo pesanti sconfitte (si pensi al cambio di Fazio con Draghi, uomo di riferimento della finanza d’oltreoceano), accederebbero a qualche forma di compromesso. Così pure lo scontro, come al solito reso personale, tra governatore della Banca d’Italia e ministro (li metto entrambi in minuscolo per parità di condizioni) sembra passibile di sempre nuovi compromessi. Il secondo ha tuonato a suo tempo, perché era utile alzare la voce per far intendere l’esigenza di atteggiamenti “duttili e responsabili”, contro la finanza, resa responsabile della crisi nel suo aspetto più appariscente. Egli ha sostenuto inoltre, con “aria ispirata”, che non si tratta di mera crisi, ma di passaggio d’epoca, in cui si andrebbe affermando una nuova etica degli affari (mi si consenta un bel BUM, come le spara grosse!).
Adesso è sceso dal piedistallo e diventa più mite nella sua azione verso (non contro) la finanza, e meno “epocale” nelle dichiarazioni. La finanza italiana (quella americana sta sempre dietro le quinte in “queste faccende”) ha parlato sostanzialmente in favore del ministro per bocca di Geronzi; poiché questi è il banchiere che, del tutto impropriamente a mio avviso, è ritenuto più vicino a Berlusconi. E’ invece più semplicemente l’uomo meno esposto contro Berlusconi; dato che non si è messo in bella mostra alle “primarie” del Pd all’epoca di Prodi e poi Veltroni, come hanno fatto altri banchieri ben noti. Per il momento, Tremonti è ministro del governo di centrodestra; quindi Geronzi è il più adatto a parlare a nome della finanza (forse non tutta, ma credo la parte più rilevante, almeno in questa fase). Nello stesso tempo, Tremonti è il più adatto, sempre in questa fase, a pensare ad una non lontana sostituzione di Berlusconi, senza arrivare a “giubilare” quest’ultimo eleggendolo Presdelarep, cosa su cui molti avrebbero da ridire; non parlo del “popolo”, mi riferisco a molti dei mandanti, a molti dell’establishment, a molti che tramano i giochetti del tutto invisibili a chi, con il voto, esprimerebbe la “volontà generale”.
Se è in atto un tentativo (solo un tentativo al momento) di compromesso tra finanza americana (strumento di centri strategici ben più decisivi) e quella della Chiesa – compromesso utile (forse) ad entrambe in vista del conflitto multipolare – è evidente che vengono in primo piano in Italia il ministro e Geronzi. Se il tentativo fallisse, tornerebbero in posizione “d’avanguardia” l’ex vicepresidente della Goldman Sachs (spero non vi sia bisogno del nome) e i banchieri delle primarie del Pd. Cos’ha detto Tremonti a Rimini? Ha accennato a vari temi, forse non tutti da prendere sul serio perché di chiacchiere certuni hanno una scorta pressoché infinita. Tuttavia, è sembrato mettere in primo piano aiuti alle famiglie (buon viatico per avvicinare la Chiesa), pur sempre chiarendo però che si deve stare attenti ai “conti pubblici”. Più indietro vengono invece collocati – non dimenticati, ci mancherebbe, solo “messi dopo” – la ricerca e un alleggerimento del fisco, richiesto in modo particolare dalle PMI, dai lavoratori “autonomi”.
Mettere “dietro” la ricerca non è mossa da considerarsi ipso facto sfavorevole alla nostra industria strategica, ma potrebbe essere un’indicazione (un segnale lanciato oltreoceano) che non è prioritaria la politica di appoggio ad essa, una parte della quale (una parte fondamentale, quella della golden share) è ancora in “mano pubblica” pur dopo la svendita ai privati effettuata quasi in toto dalla sedicente “sinistra”. Nemmeno è indicazione inequivocabile il previsto ritardo nella revisione fiscale. Tuttavia anche in tal caso è possibile una “maliziosa” interpretazione; tanto più che il ministro si è lanciato – nemmeno fosse Montezemolo – nell’ormai stucchevole notazione circa l’eccessivamente piccola dimensionalità delle nostre imprese, con grave danno per la loro competitività nel “mercato globale” (siamo alla conversione al neoliberismo?).
La nostra scarsa capacità di competizione non dipende affatto dalle troppo piccole imprese (familiari o quasi), bensì dalla nostra insufficiente autonomia nazionale, che ci lascia in balia del vecchio paese centrale nel “campo capitalistico” per dominare il quale fu forgiata la Nato, non a caso creata con la scusa di fronteggiare il nemico “socialista”, e mai sciolta dopo il crollo di quest’ultimo con la scusa della Spectre di Bin Laden e altre balle consimili. Le piccole, anche piccolissime, imprese hanno invece sempre rappres
entato un ammortizzatore sociale nonché un elemento di maggiore resistenza alle recessioni e, oggi, anche alla crisi. Sono inoltre state la base della stabilità socio-politica in senso nettamente conservatore.
In ogni caso, non è per cambiare questo loro carattere che agisce Tremonti. Non a caso, ha pure promesso di spingere la finanza ad allargare i cordoni della borsa verso queste imprese. Diciamocelo con franchezza: non diminuire il peso fiscale e aumentare l’esposizione debitoria, approfittando anche della situazione di crisi, è un bel modo per strozzare questo settore piccolo-imprenditoriale e di lavoro “autonomo” onde meglio piegarlo ai “consigli” dell’importante membro dell’Aspen Institute (appendice degli Usa e della loro finanza); in definitiva, si vuol renderlo subordinato e puntello sociale del tentativo di compromesso Vaticano-Usa.
Se si riduce l’importanza dei settori di punta (e in “mano pubblica”) – e si fa il possibile per creare un blocco sociale conservatore alle dipendenze di un più o meno stabile o invece labile accordo tra Chiesa e ambienti economico-politici italiani legatissimi alla finanza americana (in quanto strumento di precise strategie di quel paese nell’ambito del conflitto multipolare) – non possiamo non capire dove si voglia andare a parare. Quel poco di apertura verso est (Russia in specie) e verso il mondo arabo (limitata in sostanza a Gheddafi, ma con prospettive di maggiore allargamento) verrebbe a chiudersi. L’Italia – che ha già compiuto nell’ultimo anno importanti arretramenti rispetto alla politica estera timidamente sviluppata soprattutto a partire dall’estate 2003 (incontro Putin-Berlusconi in Sardegna) – si ritirerebbe completamente nel “patto atlantico” con tutto ciò che ne consegue. Il tentativo, che porta in auge Tremonti (semplice personalizzazione di un processo assai poco personale), è probabilmente, al momento, uno dei più insidiosi, se non il più insidioso (però non il peggiore perché c’è almeno un’idea politica e non la pura demenzialità di assemblee costituenti).
Difficile dire quanto la Lega (e quale parte di essa più probabilmente) stia in appoggio a simile progetto; certo non credo ne sia estranea. Ancora più complesso decifrare il ruolo del cosiddetto “centro”. Più lampanti credo siano gli intenti della “sinistra” (ho già chiarito che essa nulla ha a che vedere con le tradizioni e la storia dell’autentica socialdemocrazia) e dei finiani. Queste accolite hanno il servile compito di spostare l’asse dell’eventuale compromesso a maggior favore degli Stati Uniti, candidandosi inoltre a rappresentare un nuovo tentativo di completo asservimento dell’Italia a tale paese nel caso che l’accordo tra esso e il Vaticano fallisse; quell’asservimento che fu già cercato, come illustrato molte volte, all’epoca della riunione sul Panfilo Britannia e dell’operazione “mani pulite” con l’“elezione” (non certo mediante voto) degli ex piciisti, subitaneamente cambiatisi di “casacca”, a rappresentanti, succubi e privi di qualsiasi voce in capitolo, della Confindustria agnelliana a sua volta “alleata” (eufemismo) del “padrone” (padrino) statunitense.
Questo la momentanea – quanto durerà questo momento? – “fotografia” della mefitica situazione italiana. Può mutare al più piccolo soffio di vento. Forse bisogna pensare ad un quadro di maggiore ampiezza, ma ancora più incerto in una fase storica siffatta. In ogni modo, procederemo nell’analisi sulla base di opportune, e non irrealistiche, ipotesi. Questo l’atteggiamento di chi non sogna orizzonti impossibili e per i secoli venturi. Siamo contro ogni forma di immaginazione (che mai andrà al potere!) e di utopismo, che oggi non ha nemmeno la grandezza del passato, ma è soltanto la piatta esposizione delle inutili (e ipocrite) aspirazioni delle “anime belle”, molto “trasversali”, presenti sia nella “destra” che nella “sinistra”; ovviamente nelle loro frange “radicali”, assai “estreme” (a chiacchiere), che si alleano per deviare l’energia di quelle poche forze giovanili attualmente esistenti sul fronte della non supina accettazione dell’“esistente”.