Dietro l’angolo di Fabio Falchi // 28 settembre 2010 (Fonte CPE)

Da molto tempo, la redazione del Coordinamento Progetto Eurasia e quella di Conflitti e Strategie sostengono che per comprendere la politica del nostro Paese, soprattutto dopo il crollo del Muro di Berlino, si deve considerare necessariamente quanto accade nello scacchiere internazionale.
Ora anche quotidiani vicini al Presidente del Consiglio (Libero e Il Giornale) pubblicano articoli in cui si afferma chiaramente che il rafforzamento delle relazioni con Paesi non “graditi” agli Usa – vale a dire, in particolare, gli accordi con la Russia e la Libia, nonché i rapporti commerciali con l’Iran, ovvero accordi e rapporti essenziali per poter dare all’Italia un nuovo “slancio geostrategico”, tanto più importante dopo venti anni di privatizzazioni “selvagge” – ha creato una situazione tale da indurre i più forti gruppi di interesse italiani (che Gianfranco La Grassa definisce GF&ID, ossia grande finanza e industria decotta) a intraprendere la “battaglia finale” contro il Cavaliere, potendo ormai contare, a quanto pare, sul pieno appoggio della cosiddetta “manina d’Oltreoceano”. Una “manina” quindi sempre più ben disposta verso quelle forze politiche che hanno la funzione di rappresentare gli interessi della GF&ID, pur mascherando questo loro ruolo di portavoce della parte più retriva del Paese, dietro la facciata di un antiberlusconismo grossolano e “puerile”, senza la benché minima preoccupazione per i problemi “reali” della società italiana. Del resto, perfino Marta Dassù, direttrice della rivista Aspenia, già consigliere dei Presidenti del Consiglio Massimo D’Alema e Giuliano Amato, in un libro pubblicato l’anno scorso da Bollati Boringhieri (“Mondo privato e altre storie. Taccuino poco diplomatico”), ammette: “Era una strano destino che a guidare l’Italia fosse proprio Massimo D’Alema, quando la Nato decise, nel marzo del 1999, l’intervento militare contro la Serbia: la prima delle guerre definite umanitarie, a difesa della popolazione kosovara albanese. Secondo Francesco Cossiga, non era affatto destino ma era stata una scelta: D’Alema avrebbe esitato meno di Romano Prodi – la previsione era questa, negli ambienti atlantici, che quindi avallarono il cambio di governo a Roma. Non sono certa, ancora oggi, quanto questa ricostruzione – condivisa da Carlo Scognamiglio, allora ministro della Difesa – fosse fondata o forzata. Ma è indubbio che D’Alema, non esitò, dopo il fallimento dei negoziati di Rambouillet fra serbi e albanesi del Kosovo, a mettere in gioco l’Italia” (p.88). Perfino l’Unità ha pubblicato un articolo in cui si riferisce della preoccupazione di ambienti israeliani per la crescita degli scambi commerciali dell’Italia con l’Iran (Umberto De Giovannangeli ,”Giornale israeliano contro Berlusconi: affari d’oro con l’Iran”, L’Unità, 15/09/2010, p.20). Inoltre, in una recente trasmissione televisiva, non solo Alessandra Craxi, ma Pietrangelo Buttafuoco e addirittura Lucia Annunziata hanno esplicitamente indicato qual è il retroscena del “teatrino” italiano, senza che per questo si debbano avallare “deliranti” teorie complottiste, benché i due giornalisti, pur evidenziando che l’Italia non è un Paese sovrano, abbiano cercato di “ridurre il tutto” ad una questione di soldi, di business. Certo, l’accordo con la Libia vale molto, se è vero che vale ben trecento miliardi di euro in otto anni. Ma ci vuole poco a capire che il “busillis” è un altro: il Cavaliere, lo sappia o no, ha violato le “regole del gioco”, quelle dettate dal “sovrano” americano dopo il crollo dell’Urss. E non fa molta differenza che il Presidente del Consiglio e i suoi non perdano occasione per ribadire la loro totale fedeltà a Washington e a Tel Aviv; anche perché in politica, in particolar modo in politica estera, esattamente come in guerra, non conta tanto ciò che si ha intenzione di fare, quanto ciò che si può effettivamente fare, sia perché le “intenzioni” possono cambiare, sia perché può cambiare la “mano” che muove i pezzi sulla scacchiera. Investire in un settore decisivo come quello dei gasdotti, del petrolio, dell’energia etc., significa gettare le basi per una geopolitica orientata verso Est e verso Sud, “oggettivamente” contrastante con la visione geopolitica della talassocrazia americana. Vale a dire che si creano dei “punti di forza e di equilibrio” su cui uomini politici “nuovi” potrebbero far leva per “smarcare” il nostro Paese dalla subordinazione alla volontà di potenza statunitense e cercare così di acquisire l’indipendenza politica necessaria per lo sviluppo economico e sociale del “sistema Italia”.

Comunque sia, si ha l’impressione invece che il Governo navighi a vista ed abbia perso la bussola, come si suol dire, e che in realtà certe scelte non siano altro che il frutto del “fiuto” per gli affari del nostro Presidente del Consiglio, forse anche convinto (o, se si vuole, “illuso”) di potere svolgere una “mediazione” tra “potenze” antagoniste, sebbene non si possa escludere che vi siano settori della grande impresa pubblica che, sfruttando i rapidi e profondi mutamenti che si stanno verificando sul piano internazionale, lo abbiano “spinto” a prendere decisioni “rischiose”, per tentare di porre rimedio ai “guasti” prodotti, a partire dall’inizio degli anni Novanta, da una dissennata politica, lesiva dell’interesse nazionale e che ha compromesso gravemente il futuro del Paese. D’altronde, non si può non tener presente che la base e gli stessi vertici del Pdl (ma ovviamente anche quelli della Lega, il cui peso politico, dopo il “tradimento” di Fini e soci, è indubbiamente ancora maggiore di quanto già non lo fosse dopo le ultime elezioni) ben difficimente potrebbero capire o giustificare una politica non “in linea” con quella d’Oltreoceano. Pertanto, indipendentemente da quali possano essere le prossime mosse del Presidente del Consiglio, è evidente che, se così è lecito esprimersi, i nodi di una politica basata più su un machiavellismo di “bassa lega” che su un disegno strategico coerente e comprensibile, perlomeno per quanto concerne i suoi lineamenti fondamentali, stanno venendo tutti al pettine. Si è voluto essere più realisti del re, anziché concentrarsi sui “mali” che affliggono il Paese ed evitare che i “nemici interni” (in primo luogo la GF&ID) avessero l’opportuntà di “allearsi” con quelli “esterni” e di poter agire come una “quinta colonna”. Ci si è esposti in missioni militari difficili, complesse e costose (che probabilmente indeboliscono e mutano la struttura delle nostre istituzioni militari), pur di compiacere Washington, anche a scapito dei nostri interessi; non si è esitato a fare l’apologia delle guerre “umanitarie” e dell’aberrante poltica di potenza sionista, né a partecipare all’aggressione contro l’Afghanistan e contro l’Ir
aq, assumendo posizioni e impegni che non sembra fosse necessario assumere in quanto membri della Nato e che in ogni caso sono ben oltre le reali capacità del Paese. In sostanza, ci si è dimenticati, ignorando ancora una volta le lezioni della storia, che in politica estera la “furbizia” ha “le gambe corte” e valgono assai di più non solo la prudenza, la giusta valutazione dei rapporti di forza e la necessaria riservatezza, ma anche la coerenza e la determinazione, soprattutto quando vi è un’opinione pubblica che comprenda e sostenga l’azione di un Governo; mentre sembra che in Italia neanche i “generali” sappiano contro chi si combatte e perché si combatte, e che si cerchi non tanto di “ingannare i nemici” quanto piuttosto sé stessi. Anche se non si possono fare previsioni, soprattutto in un Paese in cui chiunque dica ciò che pensa e faccia ciò che dica è considerato, nel migliore dei casi, uno “sprovveduto”, pare tuttavia che il tempo dell’ “et…et ” sia terminato e sia venuto quello dell’ “aut.. .aut”. Se così fosse, è facile immaginare, rebus sic stantibus, come andrà a finire, non per il Cavaliere o il PDL, di cui assai poco ci importa, bensì per il nostro Paese.

 

Fabio Falchi