CAUCASO DEL SUD: UNA NUOVA GUERRA FREDDA di Emmanuel DUPUIS
Fonte diploweb.com, trad. di G.P.
Il CAUCASO del Sud-Est è una nozione certamente geografica ma che resta difficilmente trasferibile sul piano politico, con i tre stati che lo compongono, l’Armenia, la Georgia e l’Azerbaigian. Quest’ultimi, infatti, sono incastrati tra due mari diventati snodi strategici, all’incrocio dell’Europa, dell’Asia centrale e del Vicino-Oriente, forti dei loro 15 milioni di abitanti, ma derivati da molte decine di etnie, divisi tra cristianesimo ed islam, radicalismo religioso e rivendicazioni identitarie con un dialogo ecumenico fruttuoso, che si pratica qui da molti secoli, che non condividono la stessa lingua e con relazioni – più o meno affievolite – tanto con la vecchia potenza tutelare sovietica, che con i vicini potenti turchi ed iraniani… Tuttavia, il nuovo “grande gioco” che si svolge sul fronte degli idrocarburi, con la rivalità russo-americana – sotto la copertura di una adesione alla NATO, per la Georgia, e con la partecipazione alla Comunità degli stati indipendenti, in particolare attraverso l’organizzazione del Trattato di sicurezza collettiva (OTSC), braccio armato della CSI, per l’Armenia – complica un po’ le relazioni di vicinanza. Ecco ciò che intende presentarci, Gaïdz Minassian, dottore in scienze politiche, professore incaricato, ricercatore del gruppo d’analisi politica (GAP) all’Università di Parigi X Nanterre e ricercatore al centro di studi e di ricerca della scuola militare (CEREM). Collabora a molte riviste come Politica Estera del IFRI, Questioni Internazionali della Documentazione Francese e Annuario francese delle relazioni internazionali del centro Thucydide dell’Università di Parigi II Assas. Gaïdz Minassian pubblica anche su ” Monde.fr.”
Tensioni
Si evoca sempre più spesso la fine del riflusso russo, in particolare sul piano militare e strategico, caratterizzato in primo luogo da una certa ripresa del controllo sul proprio vicino prossimo, del suo cammino, mentre allo stesso tempo gli Stati Uniti sembrano riconsiderare il loro posizionamento tattico in Europa che guarda in particolare sempre più ad Est. Una nuova guerra fredda sta forse svolgendosi sotto i nostri occhi. Ma, i tre paesi del Caucaso del Sud sono snodi essenziali a questa stabilità regionale, per la loro storia singolare e nondimeno strettamente legata e la loro situazione geografica, tra il Mar Nero ed il Mar Caspio, di fronte alla Turchia, all’Armenia, all’Azerbaigian, fiancheggiante la Russia, sua frontiera a nord (tramite le repubbliche “autonome” del Caucaso come la Cecenia, il Dagestan, l’Inguscezia, per citare soltanto le più “agitate”).
Un odore inebriante di petrolio
Questa geopolitica particolare ne fa uno degli snodi essenziali “del grande gioco” che sembra rinascere dalle sue ceneri, grazie ed a causa di un odore inebriante di petrolio e dei dividendi che sembrano scorrere a fiotti, senza che si sappia dire se ciò durerà… Ne sono testimonianza le numerose condutture che passano attraverso il territorio dei tre stati caucasici, in primo luogo quelli del progetto Bakou-Tbilissi-Ceyhan (BTC)
inaugurato in pompa magna a Bakou, ma che sono soltanto i più visibili… In questo contesto esplosivo, il Caucaso del Sud può legittimamente rivendicare l’epiteto di linea di frattura, come l’intende Samuel Huntington. La Transcaucasia, che prende in prestito il passato andato delle repubbliche sovietiche del Caucaso, parte integrante dell’URSS fino alle loro indipendenze nel 1991, è ad un passaggio determinante per il futuro di ciascuna delle tre nazioni “associate-rivali”, quello della sicurezza collettiva nella regione.
E l’Unione europea?
D’altra parte, l’emergenza di un interesse europeo sempre più significativo, con l’impegno di pace e di stabilità regionale, su questo spazio centrale nelle relazioni internazionali, conferma a quale punto questa regione instabile è diventata una sfida fondamentale per la sicurezza internazionale. La politica di vicinanza (lanciata nel 2004 sulla scia dell’adesione dei nuovi Stati membri) che impegna l’UE a dialogare intensamente con i suoi vicini, suppone di determinare la gestione di eventuali nuove frontiere dell’Unione. Quest’ultima potrebbe domani trovarsi come vicini l’Iraq o l’Iran… È tuttavia utile circoscrivere le ambizioni di questa politica di buona vicinanza col metro della necessità della sicurezza ai confini dell’UE, come ha ricordato Javier Solana, Alto Rappresentante dell’Unione europea per la politica estera e di sicurezza comune (PESC), nel 2005, che insisteva sul fatto che “la politica di nuova vicinanza non si prefigge l’allargamento dell’UE; non lo implica, ma non lo esclude neppure”. Ciò è molto poco se si considera la necessità per l’UE di avere relazioni privilegiate con questa prima “cerchia di amici”. Tuttavia questo spazio di dialogo, che dispone di un budget di 15 milioni di euro nel periodo 2007-2013 (cioè il 10% del budget complessivo per l’azione estera dell’UE), che si voleva esemplare, interdipendente ed equilibrato, non ha ben pesato le preoccupazioni tattiche russe la cui nozione “di straniero prossimo” riveste un carattere molto più offensivo e nettamente meno cooperativo della dimensione di dialogo che l’UE intende intraprendere, domani con tutti i paesi del Caucaso e forse dopodomani con la Russia…
La sicurezza del continente europeo: passaggi obbligati
Così, la sicurezza dell’insieme del continente europeo passerebbe necessariamente per la concretizzazione dei seguenti punti:
– il consolidamento della democrazia in tutto il Caucaso del Sud ed, al di là, nella sua parte nord, come pure il regolamento politico della questione cecena, per ciò che riguarda i conflitti più visibili. Non occorre tuttavia nicchiare su quelli meno mediatici (in primo luogo quello in Ossezia meridionale su una base “di pace armata” tra la Russia ed il potere centrale georgiano), nondimeno essi stessi dei freni all’integrazione regionale pacifica voluta dalla Georgia;
– il mantenimento di un dialogo con la Russia malgrado tutto – che conserva incontestabilmente interessi economici e di Sicurezza -, che anziché essere meramente sereno a livello bilaterale deve farsi attraverso i molti spazi di dialogo esistenti. La Comunità degli stati indipendenti (CSI), denigrata da una parte e dall’altra, conserverebbe così una certa utilità, come la Comunità economica euro-asiatica o anche l’organizzazione del Trattato di sicurezza
collettiva (OTSC). La prossimità con il Mar Caspio che dispone di vaste risorse di gas naturale e di petrolio, trasforma i tre stati del Caucaso del Sud, grazie alla loro situazione geografica, in passaggi obbligati per il transito dei combustibili, tanto a causa delle numerose condutture, gasdotti (esistenti o progettati), che grazie ai suoi porti (Poti, Batoumi, Soukhoumi se la questione abkhaza trova un’uscita, e soprattutto quello di Soupsa, direttamente legato all’esportazione del greggio che viene da Bakou e dai promettenti giacimenti del Mar Caspio e del Kazachstan), i quali sono altrettanti sbocchi giganteschi in direzione dei mercati europei. Questa situazione determinante rafforza l’importanza di questi stati nel tentativo intrapreso dall’UE di differenziare le sue importazioni e assicurare le sue fonti di approvvigionamenti energetici.[…]
Conflitti congelati
Infine, il non regolamento dei conflitti detti “congelati” (Ossezia meridionale e Abhasia in Georgia, Nagorno-Karabah, spina nel fianco tra l’Azerbaigian e l’Armenia), la geopolitica del petrolio e del gas, accompagnata da una corsa al riarmo e la prossimità con i focolai di conflitto iraniani, iracheni e ceceni sembrano elementi sufficientemente perturbatori per rendere caduca, attualmente, l’espressione di una reale integrazione regionale, tuttavia rivendicata nei periodi successivi alle indipendenze del 1991 e che i forti tassi di crescita e lo scenario comune del divorzio con Mosca dovrebbero legittimare. Sedici anni più tardi, quest’opera elabora così un inizio d’inventario molto utile, per comprendere meglio perché e come il controllo del loro destino comune potrebbe permettere alla Transcaucasia, “labirinto della storia”, come ricorda l’autore, di diventare il laboratorio dell’Europa che potrebbe estendersi in futuro dall’Atlantico al Caucaso. La lettura di questo lavoro permette così di capire come il concetto “di Caucaso ai caucasici” è lungi dall’essere una realtà, anche se quello “dell’Europa agli europei” non è ugualmente scontato. Occorre meditare nel quadro di questa mondializzazione che non ha messo da parte il Caucaso, anche se l’ha coinvolto in vari modi, “con il mare per i georgiani, con la diaspora per gli Armeni e mediante il petrolio per gli Azéri come indica Gaïdz Minassian.