DUE RISPOSTE

[NDR] Queste risposte di Gianfranco La Grassa sono un invito ai lettori del blog a partecipare attivamente (e fattivamente) ad un progetto di palingenesi culturale e politica, intorno alla quale ricompattare un blocco sociale anticapitalistico che dia nuova linfa alla lotta dei dominati (o non decisori) contro i dominanti capitalistici. Si vuole chiudere così un’epoca che, è inutile negarlo, ha dimostrato la non-intermodalità delle innumerevoli soggettività (operaia in primis) “adattate” alle varie riorganizzazioni (e rotture) di un Capitalismo costantemente in grado di stravolgere la sua base produttiva e sociale. L’attuale situazione politica chiama ad un ripensamento globale della strategia antisistemica perchè gran parte delle forze che tali si pensano sono, in realtà, o direttamente al servizio del capitalismo rimondializzatosi (vedi i rimasugli partitici di sinistra/estrema sinistra, comunisti compresi) oppure totalmente incapaci di leggere le trasformazioni capitalistiche, per cui continuano a servirsi di una teoria rinsecchita che non spiega più nulla dell’attuale fase storica, sociale e politica. Crediamo di avere lanciato, attraverso questo blog, segnali e stimoli interessanti che richiedono un allargamento del campo di studio. La parola a Gianfranco.
Purtroppo il tempo per le risposte è veramente minimo. Comunque, cercherò di darne due, certo brevi e del tutto insoddisfacenti, a Guido (Genova) e Daniele (Mestre; che abita comunque a pochi Km. da me).
Al primo voglio assicurare che certe considerazioni sono indubbiamente anche volutamente forzate per motivi polemici. Se io fossi il “dittatore” d’Italia, assegnerei grandi risorse all’insegnamento, di ogni ordine e grado. E nemmeno mi limiterei ai settori detti scientifici, che sono spesso solo tecnici, e non sempre di grande livello. Credo nell’importanza di quella che viene detta cultura “umanistica”; sono molto disgustato, e incazzato, dell’incuria con cui dati settori della scuola (e dell’Università) sono trattati. Il mio concetto di “inutilità” di certi ceti è assai meno di tipo produttivo e sociale, e assai di più di tipo politico e … come potrei dire, forse mentale. Insomma, l’inutilità è insita in certi strati sociali, che un tempo venivano detti piccolo-borghesi (ma oggi tale definizione non mi sembra “macinare” più), affetti da stupidità che sembra congenita o perfino frutto di una sorta di “mutazione genetica”.
Faccio solo degli esempi. Nel ’68, fior di (giovani e meno giovani) colleghi universitari, diventati da un giorno all’altro entusiasticamente (e infantilmente) rivoluzionari, sostenevano il 30 politico agli esami perché, per danneggiare il capitale, bisognava laureare tanti “asini” (senza commenti!). Se veniamo all’oggi, ho tantissime conoscenze tra insegnanti (di vario ordine e grado), psicologi, assistenti sociali, designer e pubblicitari, giornalisti, medici e tecnici del vasto settore sanitario (sempre più inefficiente e pericoloso), informatici (non so di che cosa), lavoratori in settori dello spettacolo e del turismo, e mille altri “mestieri” che non saprei nemmeno descrivere; e mettiamoci anche le lauree in “scienze” (bum!) ambientali, o in multiculturalismo e fesserie varie.
Centinaia di migliaia di persone semicolte, che odiano i buzzurri commercianti (detti berlusconiani), che fingono grande cultura quando sono appena appena andate al di là della lettura di Camilleri e pochi altri “contemporanei”, senza conoscere nulla dei grandi classici. Signorette e signorotti di mezza età che fanno viaggi esotici e poi riuniscono a
casa loro gli “amici” per proiettare orrendi filmini su posti probabilmente belli, ma di cui non sanno dire nulla di sensato per quanto riguarda cultura e costumi, ecc. Fiumi di persone che si stremano per visitare mostre, che fanno viaggi enormi per andarle a vedere; e poi si capisce bene dai loro commenti quanto ne hanno capito (da cui la famosa frase dell’arguto Carlo Muscetta: “Il sonno della Regione produce Mostre”).
Una ragazzetta di buona famiglia, ma assidua frequentatrice di “centri sociali”, laureata in una delle “discipline” di multiculturalismo con 110 e lode, mi guarda smarrita quando dico che “sono in ambascia” per la mia gatta che sta male (e mi chiede il significato di “quell’espressione”). Un’altra, “prima della classe” alle superiori, che mentre si sta vedendo un film alla TV, mi chiede che cavolo voglia dire “adultero” (dato che il contesto non contemplava alcun cibo adulterato). Nemmeno da ricordare che entrambe sono figlie di sessantottini o settantasettini, in ogni caso di “progressisti”, moderni, favorevoli ai “diversi”, alla indiscriminata immigrazione, ai Dico, ecc. Quando mi invitano a cena, debbo cercare di rifiutare perché mi ammanniscono un cibo da vegetariani o, altrimenti, piatti cinesi o indiani o nigeriani o sudamericani che hanno lamentevolmente appreso nei loro viaggi demenziali. Debbo sempre dichiarare la colite, la gastrite, ecc. e chiedere (quasi in ginocchio) riso in bianco e un pezzo di formaggio (che spesso non hanno perché alza il colesterolo).
Tutta questa massa di cretini – tutti, lo ripeto, rigorosamente “di sinistra” e angosciati per le brutte figure che ci fa fare Berlusconi – si è inventata che ormai, per salvarsi dal baratro in cui stiamo cadendo, bisogna combattere la “ragione” e affidarsi alle emozioni; queste ci guideranno alla salvezza. Che il baratro sia quello della loro imbecillità, della loro semicultura che è vera incultura, del loro “emozionarsi” per le più stupide melensaggini da melò di quarta categoria, della loro irrazionalità che è soprattutto smemoratezza per cui vivono solo il presente, distruggendo millenni di storia e vera cultura; questa idea nemmeno li sfiora. Nella mia zona, vanno in centinaia a salvare i rospi durante le loro trasmigrazioni di marzo – e su questo, preso in sé e per sé, sono d’accordo e li approvo – mentre guardano invece distratti i bombardamenti americani in Irak o quelli israeliani in Palestina, ecc. Lo ripeterò fino alla noia: sono tutti di sinistra, non ci sono “bottegai berlusconiani” tra costoro.
Allora, ammetto che li vorrei trucidare (la ragazzina di cui sopra, a sentire tale termine, mi guarderebbe smarrita e me ne chiederebbe il significato, che sarei lieto di insegnarle con esperienze dirette). Detto questo, sia chiaro che, se non esistesse questa gran massa di “progressisti”, di “politically correct”, ecc., tanti lavori, forse tutti, tornerebbero ad essere utili per accrescere la nostra ricchezza, che non deve essere solo materiale. E comunque, fra questi lavori, l’insegnamento (vero, non per creare asini onde inceppare il capitalismo) è fondamentale, decisivo, per un popolo che si dica civile. Spero che Guido mi abbia capito.
E veniamo a Daniele. Le tue domande sono veramente troppe e richiederebbero alcuni saggi di risposta. Tuttavia, credo che alcuni già esistano nel nostro sito. Se poi guardi nel mio sito personale www.lagrassagianfranco.com, troverai anche una bibliografia completa (ci si attenga pure agli ultimi 6-7-8 libri citati). Qui dico solo che non conosco attività – nemmeno no profit, banche etiche, ecc. – che siano senza profitto. Stiamo attenti a non confondere le partite contabili con quelle reali. I salari dei manager – tipo Consorte e ogni altro delle cooperative – sono in gran parte profitti. Tutte le
riserve (alcune non palesi), con cui ci si permette varie manovre – da quelle di corruzione, comunque di “penetrazione” nei mercati, o concessione di premi di produzione ai dirigenti o le liquidazioni (accresciute di quote non “dichiarate” e non tassate) degli stessi, e altre varie cosette – sono della stessa natura.
Vediamo come funziona una banca etica, che conosco ma di cui ovviamente non faccio il nome. Questa banca X fa prestiti senza interesse, e molti a fondo perduto, ad aziende e attività in paesi sottosviluppati. Con quali soldi? Con quelli dati da alcune grandi e medie imprese italiane Y, Z….. In cambio della loro “generosità”, queste chiedono di poter, per varie vie, farla conoscere (e farsi conoscere) in quei paesi; inoltre, se le attività del paese sottosviluppato debbono importare beni (strumentali o altro) che rientrano tra i prodotti dalle aziende “generose”, è ovvio che saranno queste, e non le loro concorrenti (italiane o straniere), a fornirli. La stessa cosa fanno le banche etiche straniere che allora giocheranno contro le nostre aziende (e contro le nostre banche etiche).
L’unica differenza che esiste tra una cooperativa ed un’impresa “normale” è che la prima gode di ormai indebite e non giustificate facilitazioni fiscali. Non conosco il regime fiscale adottato, perché non sono un tecnico del ramo; però sono convinto che si tratti di un privilegio delle cooperative che andrebbe infine tolto.
Non credo che il plusvalore serva a qualcosa nell’analisi delle strutture di dominio esistenti in vari paesi (in varie formazioni sociali). Il plusvalore – mera forma di valore di un fenomeno assai più antico, esistente in pratica da sempre, il pluslavoro (una forma che dipende dal carattere generalmente mercantile della produzione nel capitalismo ) – ci dice solo che il profitto capitalistico non è merito della semplice proprietà dei mezzi di produzione né della abilità (o della sua capacità innovativa) del capitalista né è un premio per il “rischio” che corre. Tutto bene, secondo me tale teoria resta valida e corretta. Tuttavia, come ho cercato di (di)mostrare nei vari libri, in specie negli ultimi, questa correttezza non ci fa fare un passo avanti nell’individuazione delle reali strategie del “nemico”, né della sua strutturazione interna, né di ciò che dovremmo fare “noi” (un noi su cui ci sarebbe poi molto da discutere) per riprendere una lotta anticapitalistica.
E su questo si apre ormai un mondo vastissimo; i miei scritti sono il classico granellino di sabbia in una spiaggia (beh, forse qualche decina di granellini ormai). Finché i critici di questa società resteranno alla “prassi” (agitarsi e gridare per le strade), ripetendo, a volte, le vecchie formule della dottrina marxista (mai termine fu più appropriato, data la fede dei suoi credenti), il capitale può dormire sonni tranquilli e pensare a “fottere” l’intero mondo.
Grazie dell’attenzione e mi scuso di non poter essere più esauriente.
glg