ITALIANITA’ E MERCATO: LE DUE GRANDI BUFALE


Sembra infine conclusa la telenovela della Telecom; il che non esclude ulteriori novità e magari, fra qualche anno, qualche altra “spiritosa invensiòn” da parte di un capitalismo sempre più imbroglione e parassitario. Comunque, questa conclusione piace soprattutto al capitale finanziario che si situa nei dintorni di Intesa (Bazoli) con le sue servili propaggini governative guidate al momento dal “maggiordomo” Prodi.
Vediamo la situazione formale. Telecom era controllata da Olimpia (Pirelli-Tronchetti 80% e Benetton 20%) con il 18% del capitale azionario dell’azienda telefonica. Adesso, dopo il perfezionamento della compravendita, Olimpia si trasformerà in Telco che sarà sempre il gruppo di controllo della Telecom con il 23,6% delle azioni (al 18% di Olimpia si aggiungono le quote di Mediobanca e Generali che fanno parte degli acquirenti). A questo punto Telco avrà i seguenti azionisti: la spagnola Telefonica (che due-tre mesi fa era stata ostacolata dal Governo Prodi nei suoi contatti per acquistare o comunque “partecipare” ampiamente Telecom) con il 42,3% azionario. Questo è interessante: la spagnola accetta la quota di minoranza dopo che, appunto, il Governo si era opposto a che si accordasse direttamente con Tronchetti. Telefonica accetta inoltre di avere nella governance solo 2 posti su 15 (c’è chi parla di 3 su 19). Non è riportato con chiarezza sui giornali, ma ho sentito al TG3 che entro tre anni gli spagnoli hanno facoltà di andarsene. A me pare proprio – a meno di non credere ad un’impresa dedita alla beneficenza dopo che la “politica” italiana (su “suggerimento” dei padroni finanziari) le aveva impedito di concludere una sua autonoma trattativa con la Telecom – che Telefonica speri solo di avere eventualmente fra qualche anno una buona uscita superiore ai 2,82 euro per azione che sborserà oggi. Per il momento, ha avanzato la richiesta di nominare amministratore delegato della Telecom Marco De Benedetti (figlio del più noto “Ingegnere”), che lo era già stato all’epoca di Gnutti e Colaninno e in questo momento è alto dirigente (per la sezione europea) del Carlyle Group, un nome che è tutto un programma (di finanza americana fortemente collegata alla politica e alla ricerca e industria militari, ecc.).
La maggioranza della Telco spetta alla cordata detta italiana: Generali (28,1%), Mediobanca 10,7%), Intesa (10,7%; non ci si lasci ingannare dalle percentuali; questa banca è la vera vincitrice per il momento), Benetton (8,2%). Si lascia intendere che, nei prossimi anni, potrebbero essere ammessi nell’Olimpo dei controllori di Telecom Colaninno e magari perfino la Fininvest (Berlusconi). Questa è l’acciughina – non so se reale o sventolata per raggiro – che, assieme al più corposo affievolirsi delle manovre giudiziarie contro il leader dell’opposizione, fanno presagire il tentativo di ammorbidirlo sempre più (gli ultimi suoi “giri di valzer” non sono stati tanto leggeri e mascherati) in modo da lasciar infine spazio all’operazione di “raggruppamento al centro” (con qualche appendice di sinistra per controllare meglio l’opposizione sociale, in particolare sindacale), che la nostra GFeID insegue da quando Berlusconi le rovinò i piani entrando in politica dopo l’annientamento giudiziario del vecchio regime DC-PSI (“mani pulite”); e anche su questo si può scrivere molto, ma molto ne ho già scritto e comunque questa non è la sede adatta.
Nel gruppo italiano, la quota azionaria maggiore è quella delle Generali, ma solo nominalmente tale società deterrà nella Telco un potere superiore alle altre italiane. Interessanti, in effetti, le dichiarazioni di Bernheim – presidente francese della società assicurativa, recentemente nominato vicepresidente della Intesa-San Paolo (chiaro il gioco, no?) – che qualcuno ha paragonato ad una “pistola fumante”, quindi ad una quasi “flagranza di delitto”. Tale presidente transalpino ha rivelato di aver recentemente parlato con Padoa-Schioppa e di avergli assicurato la disponibilità dell’Istituto “se c’è un interesse nazionale, per tutelare l’italianità di Telecom. Spero anche che lei [il suddetto ministro] abbia lo stesso interesse perché le Generali restino italiane, se malauguratamente ci fosse da difendere anche la loro italianità”. Un francese così preoccupato dell’italianità sia di Telecom che di Generali è credibile tanto quanto ci avesse raccontato di aver partecipato ad un party di “extraterrestri”. E ha addirittura aggiunto di aver manifestato contrarietà al decreto Bersani – non a tutto, esclusivamente a quella parte che aveva liberalizzato i mandati agenziali – perché, secondo lui,
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favorirebbero le assicurazioni Axa (francesi). In serata sono arrivate le solite “puntuali smentite” di Padoa-Schioppa e le precisazioni di Bernheim (che non ha però smentito nulla di essenziale), alle quali può credere solo un imbecille. E’ in ogni caso del tutto evidente che il francese Presidente (Generali) e Vicepresidente (Intesa-San Paolo) si sta dimostrando una buona pedina del gioco di Bazoli-Passera (Intesa); e quindi “cinguetta” con l’attuale Governo servo di quella finanza.
Vogliamo, sia pure come semplici ipotesi iniziali, trarre qualche conclusione dall’affaire? Innanzitutto, la paventata e sbandierata vendita all’At&t (e all’American Movil) si rivela una pura manovra di Tronchetti per sfuggire alla morsa governativa, tesa a favorire Intesa & C. – intenzionata a comprargli per due soldi la Telecom – minacciando anche, con il famoso piano Rovati e le pressioni dell’Authority, di scorporare la rete fissa (e banda larga, TV via cavo ecc.) onde svalorizzare l’azienda. Certamente, Tronchetti non poteva pensare di recuperare quanto speso (4,2 euro ad azione nell’acquisto da Gnutti-Colaninno), ma comunque riceve il prezzo su cui non voleva più arretrare. Egli non aveva affatto il coraggio di opporsi recisamente ai piani di Intesa-Governo, ma voleva non essere proprio stracciato. Nulla esclude che l’At&t fosse a conoscenza di qualcosa, perché si è ritirata senza tante storie. Rilevo, di passaggio, che il suddetto scorporo della rete fissa è sempre in campo e servirà ancora per qualche nuova manovra cui assisteremo in futuro.
Tornando al presente, è più che probabile che Telefonica – dato che l’establishment italiano non ce l’avrebbe fatta a tirare fuori subito tanti soldi – funzioni soprattutto da supporto dell’operazione detta “di difesa dell’italianità”. A parte i possibili futuri vantaggi economici per l’azienda spagnola (uscire eventualmente entro tre anni con qualche plusvalenza), ci sono grandi probabilità, pur se non si è certo agito alla luce del Sole, di connivenze tra i governi italiano e spagnolo, con chissà quali partecipazioni agli utili per Telefonica e forse altre imprese (finanziarie) al momento non visibili (probabilmente non lo saranno mai). Certamente, non è credibile che una azienda – dopo che il governo italiano (per conto della grande finanza che lo indirizza) le ha impedito di stipulare direttamente con Tronchetti accordi più stringenti – accetti di partecipare alla Telecom in posizione subordinata (42% nella Telco, società di controllo della telefonica italiana, e 2-3 membri della governance su 15-19, a parte questa richiesta in merito all’ad, che vedremo come andrà a finire). Una cosa è chiarissima: non c’è alcun piano industriale dietro l’acquisizione di Telecom. La Telefonica, anche ammesso, come sembra, che sia una azienda “tecnologicamente sana e avanzata”, non apporterà un bel nulla. Quanto alla cordata italiana – banche, assicurazioni, Benetton (Autostrade e maglieria) che del resto è rimasta “dentro” per favorire Intesa e Governo, non far tirare loro fuori altri soldi per essere liquidata, nella speranza di ottenere in futuro maggiore indulgenza per le operazioni con la Abertis (spagnola non a caso) o altre – non ha alcuna esperienza né avanzamento tecnico-scientifico nello specifico campo delle telecomunicazioni. C’è all’orizzonte la Fininvest (cioè Mediaset), ma scommetto che si tratta di quegli orizzonti che restano sempre alla stessa distanza man mano che ci si incammina verso di loro; e poi, è veramente un’azienda tecnologicamente avanzata? Lasciamo perdere!
Da quanto detto fin qui, si capisce nettamente che tutto il discorso intorno al mercato è una vera, colossale, bufala. Il gioco è stato, com’è sempre, politico. Solo che alcuni dell’opposizione vorrebbero far credere che è stato condotto dal governo Prodi, che questi è il “grande manovratore”. Altra presa in giro. Il gioco è politico nel senso che le grandi concentrazioni finanziarie – o anche le industrie (del resto subordinate alla finanza) di settori dell’epoca che fu – non si attengono alle regole che gli economisti, scadenti guitti imbonitori vendutisi ai dominanti, raccontano sui giornali dell’establishment. E’ la GFeID a fare le regole, ma le fa mediante il “potere” politico che controlla al 100% (in quest’ambito non conta la proprietà azionaria, ci sono ben altri sistemi di controllo, più nascosti e più seri, persuasivi e pervasivi). Quando i politici ricoprono un complesso reticolo di posticini importanti e lucrosi in varie società, o possiedono essi stessi certe società mediante mogli, parenti, semplici “amici” e fiduciari, “consiglieri personali”, ecc., non possono non funzionare al
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servizio dei grandi interessi finanziari e/o di industrie decotte, altrimenti fanno una brutta fine (o impiccati sotto qualche ponte o “suicidati” in qualche desolata brughiera; o come minimo implicati in scandaletti vari, con una magistratura molto severa in certi casi).
Oltre al mercato, l’altra grande bufala è quella dell’italianità. Non a caso essa è stata tirata in ballo dai membri della GFeID, e dal loro personale di servizio politico (di sinistra), a fasi alterne. Il problema è che dietro l’Intesa (in quanto punta dell’iceberg di una galassia di altri poteri finanziari) funzionano pezzi importanti della finanza americana tipo la solita Goldman o la Carlyle, ecc. Ma non è che altri pezzi di quella stessa finanza stiano fermi; è tutto un movimento che, di volta in volta, vede aperte aggressioni e pesanti pressioni tra gruppi vari (anche per mettere i loro uomini in posti chiave delle istituzioni di dati paesi da controllare) e poi nuove trattative per giungere a compromessi, ma possibilmente da posizioni di maggior forza. Troppo spesso si fa l’errore di considerare certi paesi come qualcosa di unitario. Ad es. gli USA sono sempre trattati quale paese preminente e superpotenza imperialistica. Il che è vero in un certo senso, guardando all’“essenza” del problema. Tuttavia, anche gli “accidenti” sono di interesse altissimo, quasi quanto le “essenze”. La Goldman e la Carlyle sono ovviamente collegate agli USA, e la loro storia è intessuta di rapporti (di pressione lobbistica) bipartisan con amministrazioni democratiche e repubblicane di quel paese. Tuttavia, i loro interessi non si identificano con quelli USA; anche perché non si identificano nemmeno fra loro, che sono, di volta in volta, alleate o nemiche, sfruttando la potenza del loro paese e nel contempo intrallazzando con vari altri paesi per ottenere utili e cointeressenze non sempre apprezzate dal Governo in quel momento in carica nel loro paese; e soprattutto non apprezzate dai loro concorrenti che influenzano sia altri pezzi dell’establishment statunitense sia altri governi o partiti politici in varie parti del mondo, stabilendo le loro molteplici influenze mediante alleanze varie, intervallate però da scontri e lotte acute, con i gruppi dominanti finanziario-industriali di questi altri paesi, gruppi a loro volta in conflitto fra loro. Ecc. ecc.
Se consideriamo che vi sono alcune centinaia di grandi imprese finanziarie e industriali statunitensi in alleanza-lotta fra loro – e le grandissime, enormi, concentrazioni finanziarie sono almeno 10-15, forse anche più – si capisce bene quanto è complicato seguire il loro gioco attorcigliato e cangiante. Ad es., “mani pulite”, in quanto manovra di ricambio del regime DC-PSI in Italia – dopo il crollo del muro e la dissoluzione dell’URSS (prima non ci si poteva nemmeno pensare) – è stata condotta da precisi gruppi finanziario-industriali italiani, ma dietro input di influenti “ambienti” sia finanziari che politici statunitensi (ma non per conto degli USA in quanto paese complessivo). Se Berlusconi ha potuto avere successo quale granello di sabbia nei disegni di coloro che volevano cambiare regime in Italia, ciò è stato solo in parte dovuto a condizioni interne: gruppi economico-politici scontenti dell’operazione ed elettorato DC-PSI disorientato e incazzato. E’ ovvio che qualche aiuto, e non dei minori, gli è venuto da “altri ambienti” americani. Questa è la politica strettamente intrecciata all’economia, alla faccia del “libero mercato”!
Con ogni probabilità, la questione Telecom non è chiusa, pur se Tronchetti ne esce definitivamente. Tuttavia, è stato compiuto un passo verso quella “dittatura finanziaria” di cui ho parlato spesso nel blog. Il gruppo più pericoloso per la sedicente “democrazia” italiana è quello che fa capo all’Intesa & C. con il suo referente politico nell’attuale Governo. Tutti i pasticci e pasticcetti che stanno combinando le sinistre “alternative”, in fase di scomposizione e ricomposizione a pezzi e bocconi, servono a disorientare i critici del capitalismo fissando la loro attenzione sul palcoscenico, dove si sta svolgendo una recita della peggior specie, mentre i veri giochi si fanno altrove. Questa la colpa di una simile sinistra: alcuni sono in buona fede, ma allora non capiscono più nulla di ciò che afferrava perfino un qualsiasi piciista marxistoide degli anni ’50 e ’60; altri sono semplicemente degli emeriti figli di puttana, solo interessati alla “melina” mediante cui conquistano minimi poteri e prebende anche le ultime ruote del carro di una politica gangsteristica come quella italiana (“siamo nella Chicago degli anni venti” ha detto recentemente l’ex presidente della Telecom, uomo che se ne intende!).
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I principali gruppi di “sinistra” sperano di poter ricostituire una sorta di centrosinistra – dopo l’ormai probabilissima “riclassificazione”, cioè sconquasso, del centrodestra – abbastanza simile a quello che ha guidato per tanti decenni il nostro paese. Torneremo sul problema. Qui ricordo solo che la situazione è del tutto differente. Negli anni ’60 vi fu il grande boom italiano e la trasformazione del paese da agrario-industriale a industriale-agrario fino a diventare una delle prime (sesta-settima) potenza economica mondiale. Si svilupparono i settori d’avanguardia della “rivoluzione fordista”, con l’auto in testa. Per di più, il sistema mondiale era bloccato in una situazione di equilibrio tra le due superpotenze; primo e secondo mondo conobbero un periodo di sostanziale pace – salvo l’Ungheria nel 1956 e la Cecoslovacchia nel 1968, sommovimenti schiacciati con relativa facilità – mentre tutto il caos si “riversò” nel terzo mondo, terreno di confronto/scontro tra le superpotenze e di grandi movimenti di liberazione nazionale.
Oggi esiste una sola superpotenza, ma proprio tale fatto sta portando il mondo ad una situazione di disordine globale. In termini storici (che non sono quelli della nostra vita biologica) è sempre più vicina – questa non è soltanto una mia previsione – l’entrata in una nuova epoca policentrica, dove lo scontro (non necessariamente nelle stesse forme del ‘900) tra più paesi capitalistici, divenuti “grandi potenze”, sarà sempre più acuto e avvierà sconvolgimenti profondi anche nelle aree avanzate del sistema capitalistico. L’Italia, al di là delle “ripresine” (profetizzate ogni anno), cui spera ogni anno di agganciarsi, basa il suo sviluppo (stentato) sui tentativi di rilancio di vecchi settori della passata rivoluzione industriale (ancora l’auto, ecc.), mentre è sempre più in affanno in quelli nuovi e praticamente nullo nell’ambito della ricerca scientifico-tecnica d’avanguardia. Quanto al potere, necessario a mantenere un minimo di proprie sfere di influenza, grandi risate dovrebbero seppellire i nostri politici, in particolare i nostri ministri degli esteri. Si sta cercando di trovare – con tatticuzze diverse che cercano di annusare i cambiamenti possibili delle strategie imperiali del paese che ci comanda – un posto di aurea mediocrità (e di nicchia) nella sfera d’influenza di quest’ultimo.
E’ sicuro che l’oro diverrà argento poi alluminio e piombo e infine fango. Forse passerà ancora qualche anno poiché i processi storici sono vischiosi e le nuove potenze, in grado di instaurare un autentico policentrismo, sono ancora in gestazione faticosa. Tuttavia, il nostro declino sembra ben assicurato. Avremo ancora convulsioni politiche come quelle, ridicole, cui stiamo assistendo a sinistra e a destra. Nasceranno però infine, nei tempi dovuti, quelle forze che ho indicato come rivoluzionarie dentro e contro il capitale. Comunque, non anticipiamo; seguiamo il decorso dei processi passin passino.
30 aprile
PS Come altre volte, si pubblica qui sotto un articolo di Porro su Il Giornale, estremamente preciso nell’indicare la sintesi dell’affaire Telecom. In particolare, si comprende bene che se quest’ultimo fosse stato condotto secondo le regole del “libero mercato” (esistenti solo nell’ideologia dei liberisti, cui appartiene certo anche Porro), Alierta (capo della Telefonica) sarebbe un puro “pirla”. E’ ovvio che dietro ci stanno patti segreti (e scellerati) non conosciuti dai “poveri mortali” come noi. Tutto l’articolo, al di là della suddetta ideologia, è da leggere con attenzione. Ben sapendo che molti sono dei cattivi lettori, mi permetto di citare le ultime venti righe dell’articolo (che non lo riassumono, sia chiaro):
“Prodi non aveva la palla di vetro, poche settimane fa, quando in un’intervista sosteneva che c’era la possibilità di un socio europeo per Telecom. E Alierta non è un frescone che paga di più per contare di meno. Entrambi sanno che il film girato ieri è una farsa. I giochi veri partono ora. E in questo gioco di relazioni incrociate quel che conta non sono i quattrini del mercato ma gli ‘amici di’. Il presidente delle Generali, dall’alto della sua storia di grandi poteri, si è permesso nei giorni scorsi di codificare questo principio, dicendo: Generali (contro gli interessi immediati dei suoi azionisti, diciamo noi) farà la sua parte nel mantenere l’italianità di Telecom (soddisfare la volontà del Governo, diciamo noi) e si aspetta (dal governo, se no da chi?) che altrettanto venga fatto se la sua
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indipendenza venisse messa in discussione (una scalata da parte di uno straniero?). Bernheim sa bene da consumato politico e da abile assicuratore che la sua partecipazione in Telecom è il giusto premio per una polizza stipulata con il governo Prodi. Bel mercato”.
Come ho rilevato nel mio scritto, l’opposizione cerca di far credere che Prodi diriga le varie operazioni di cui è semplice esecutore (“maggiordomo”) per conto di Intesa e dintorni con, dietro, pezzi da novanta della finanza americana del tipo di quelli da me citati. A parte questa “timidezza” (da filoamericano), Porro scrive il suo articolo con estrema chiarezza (basta una piccola chiave di decodificazione, ma proprio piccola). Che dire del resto dei sinistri (se ne è avuto un assaggio nel dibattito, tenuto da Ferrara, tra Giavazzi e Brancaccio, uno dei tipici sinistri d’oggi). Non capiscono un accidenti di strategia e, non so se in buona fede, fanno finta di credere che questa “bella operazione” ha difeso l’italianità (e, naturalmente, i “posti di lavoro”). Che la Telecom sia in mano – e continuerà ad esserlo con “questi” acquirenti – di gente che non capisce nulla di telecomunicazioni, uno dei settori non certo irrilevanti della moderna rivoluzione industriale, non interessa nulla a simili sinistri del piffero. Veramente, la sinistra sta sempre più dimostrando, nelle sue varie anime, di essere una malattia mortale per questo paese. Andrebbe semplicemente annientata, non esiste ormai altra via di uscita. Per ricominciare, sarebbe indispensabile disinfestarla in modo integrale, senza residui.
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