Caro Franco

Caro Franco,
poni molti problemi nel tuo intervento, ma non li analizzerò punto per punto. In genere, le mie risposte consistono nel lavoro che continuo, passin passino, a svolgere. In molti pensano che questo mio sia un modo d’agire troppo autoreferente; io sono invece convinto di tener conto delle obiezioni altrui. Più semplicemente, mi disperderei se mi limitassi a ribattere a quanto mi scrivono gli altri; mentre, seguendo con coerenza un certo percorso di ricerca, di fatto rispondo anche alle obiezioni o almeno alle questioni fondamentali da esse poste.
Di conseguenza, mi limiterò qui a poche considerazioni. Innanzitutto, però, vorrei chiedere a tutti, e quindi anche a te, di non strausare il termine dialettico (o dialettica), ecc. Anche perché si nota facilmente che la maggior parte di quelli che lo usano intende riferirsi alla semplice interazione tra oggetti o processi o fenomeni, ecc. Questo è l’uso invalso tra i marxisti – mi ricordo le polemiche con il mio Maestro Pesenti – in seguito alla cattiva lettura che fece Lenin della hegeliana Scienza della logica; ma lui era scusato, perché non ebbe il tempo di leggere il terzo libro di quest’opera. In ogni caso, non sono un esperto di Hegel, e tuttavia credo di aver almeno capito che dialettica non significa semplice interazione. Allora, per il principio del rasoio di Occam, semplifichiamo i nostri discorsi e parliamo direttamente di interazione. Alcuni possono voler riferirsi a quella “universale”, al fatto che ogni oggetto o processo o fenomeno è in una qualche relazione con ogni altro esistente nel Cosmo intero. Se pensiamo così, facciamo solo pasticci; per fare scienza è necessario afferrare ciò che – dell’universale – ci sembra più importante onde stabilire, via ipotesi e con semplice approssimazione (molto ampia), certe connessioni ed effettuare eventualmente certe previsioni.
Credo che ogni pensatore abbia criticato il dualismo tra oggetto e soggetto; in moltissimi hanno pensato di risolvere il problema, e poi, sempre, un successivo studioso ha criticato le soluzioni dei precedenti. Io, nemmeno mi sogno di risolverlo, così sto più tranquillo. Inviterei soltanto a prendere in considerazione il dualismo tra razionalità strumentale e razionalità strategica. La seconda non può fare a meno della prima; e non può quindi fare a meno di una valutazione, in qualche modo oggettivistica (anche se sempre in base a ipotesi poste dal ricercatore scientifico, che è un “soggetto”), dei dati che caratterizzano un certo campo in cui si svolge l’azione strategica, ivi compresa la valutazione delle “forze in campo”, ecc. Dopo, però, la strategia va oltre la semplice datità appurata e fissata (ovviamente anche in senso quantitativo); si può descrivere con mille frasi, e indicare con mille “segnali”, che cosa connota l’attività strategica, ma non la si stringerà mai in una definizione esaustiva e pienamente soddisfacente. Così come il critico d’arte, letterario, cinematografico, ecc. spenderà (e non inutilmente, sia chiaro) fiumi di parole per illustrare il perché una certa opera è un capolavoro, un’altra è un fallimento, un’altra il risultato di “onesto artigianato”, ma non riuscirà mai a fissare per generalizzazione – come nei settori della scientificità – che cosa precisamente fa di un’opera un capolavoro o un aborto.
Quindi, il soggettivismo che impregna parte della mia teorizzazione non desta in me molte preoccupazioni. Meno ancora il tema della circolarità, che è poi strettamente connesso a quello del rapporto soggetto/oggetto. Siamo alla solita domanda: “che cosa è nato prima: l’uovo o la gallina?”. Domanda di difficile risposta; meno difficile è forse rispondere a quest’altra domanda: “se ti portano un uovo e una gallina e ti dicono di scegliere uno dei due doni, quale scegli?”. Se hai una fame che non ci vedi, ben si sa che scegli l’uovo, ma con una fretta che ti preclude l’ottima probabilità di avere un uovo anche domani e dopodomani, ecc. Il problema della scelta è in ogni caso legato a date contingenze. Lo vedrai illustrato anche nel saggetto che sto preparando a partire “da Friedrich List”. Ogni scienziato pretende di realizzare i suoi obiettivi di ricerca con generalizzazioni teoriche che valgano per sempre; ed è convinto che le successive teorie, che correggono le precedenti, siano soltanto progressive approssimazioni alla “verità definitiva” (magari mai raggiungibile concretamente, ma sempre raggiungibile “in linea di principio”). Talvolta, però, uno sceglie consapevolmente ciò che è “utile” in quella data “contingenza”, che può
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essere una intera epoca storica o perfino una lunga era geologica o astronomica. Oppure, in dati casi, ha come scopo “l’analisi concreta della situazione concreta”.
Il tema forze produttive/rapporti di produzione non fa eccezione. Intanto lascerei perdere, come già detto, lo stucchevole aggettivo “dialettico” per denotare la loro relazione, che è una interazione. E per di più di perfetta circolarità, come si vede dal “meccanicismo deterministico” di cui è stata accusata, ad es., la marxiana Prefazione del ’59 (a Per la critica dell’economia politica) o, per converso, da certe teorizzazioni althusseriane che rovesciano, simmetricamente, la relazione rapporti/forze. Si può per la verità essere un po’ più raffinati, pensando i rapporti come strutturanti le forze dall’interno stesso di queste ultime, ma in definitiva si sostiene la predominanza dei primi rispetto alle seconde. La funzione “utile” (politica) delle due diverse impostazioni teoriche apparve in chiara luce nel dibattito tenuto in Critica marxista nel 1972-73 (cui partecipai anch’io come althusseriano); aperto da un articolo dello storicista Sereni e proseguito con la risposta di Luporini (nel suo periodo di maggior vicinanza ad Althusser) e poi da molti altri di opposte tendenze.
Sostenere il primato delle forze produttive – naturalmente ponendo avanti il problema della scienza, quindi della certezza quantitativa conseguibile nella dimostrazione di certi assunti – significava di fatto appoggiare la linea gradualista e opportunista del PCI, che si affidava appunto allo sviluppo delle forze produttive, reprimendo (e anche espellendo) chi voleva anticipare i tempi con “rivoluzioni affrettate”; il cavallo di battaglia dei gradualisti era la ben nota frase di Gramsci secondo cui una formazione sociale non perisce (e trapassa in altra) fino a quando non sviluppa tutte le forze produttive che è in grado di sviluppare (affermazione assai poco passibile di quantificazione, perché ogni volta che una formazione sociale, ad es. il capitalismo, non ristagna ma riprende invece slancio, allora vuol dire che non è ancora giunto il momento di superarla, è meglio adattarvisi per ottenere migliori condizioni di vita per “i lavoratori”, cioè, in realtà, per i tuoi elettori che ti fanno occupare tanti bei posti di potere).
Affermare il primato dei rapporti di produzione implicava un’aspra critica della concezione precedente e la volontà di “rivoluzionare” – anche con la forzatura della “violenza” se necessario – i rapporti in questione. Naturalmente una simile concezione, contrariamente a quanto certi superficiali hanno pensato, non significava d’emblée trascurare il problema dello sviluppo delle forze produttive, non significava avere predisposizione all’antimodernismo, al rifiuto del progresso tecnico-scientifico, alla decrescita e ad altre amenità odierne dei (finti) critici del capitalismo. Semplicemente si voleva mettere in luce come ogni gradualismo fosse complicità con il capitalismo, che non è affatto condannato alla stagnazione secondo quanto pensava l’ortodosso; in realtà l’opportunista. E qui permettimi una digressione.
Per troppo tempo, e per motivi spiegabilissimi in termini storici, si è creduto che Lenin fosse l’ortodosso e Kautsky il revisionista; tale termine è inoltre divenuto sinonimo di opportunista, di traditore, di connivente con i capitalisti. In realtà, era vero il contrario: il revisionista fu proprio Lenin (in quanto creativo come deve esserlo ogni vero “rivoluzionario”, poiché la rivoluzione è novità, è originalità) mentre Kautsky rimase un “grigio” ortodosso; e l’ortodossia, quando il tempo trascorre e le condizioni storico-economico-politiche mutano, conduce all’opportunismo e all’autentico tradimento, all’accoccolarsi tra le braccia dell’avversario per goderne tutti i privilegi possibili, quelli che le classi dominanti riservano ai loro fedeli “sudditi”. Non è un caso che oggi i peggiori opportunisti e veri “venduti” siano i post e gli ancora “comunisti”.
Ritornando al primato dei rapporti di produzione, nel tentativo di evitare la circolarità della relazione rapporti/forze (“l’uovo e la gallina”) si è voluto sostenere che i primi erano proprio intrinseci alle seconde, le informavano di sé, le strutturavano. In questo modo, si è criticata l’impostazione di Marx secondo cui era da combattere solo l’uso delle macchine e non queste ultime in se stesse considerate. Per molti, invece, la tecnologia diventò, intrinsecamente, portatrice dei rapporti capitalistici. Ad es., i ritrovati tecnici americani ed europei, esportati in Cina, potevano minare la “rivoluzione culturale proletaria” che laggiù si stava svolgendo. In questo modo, si è creato un bel disastro, si è “ingrippata” la Cina con fallimento di quella rivoluzione, e si è alla fine
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favorita l’ascesa di Teng con quello che ne è seguito; probabilmente inevitabile, ma comunque il tutto è stato facilitato da “cattive concezioni” rivoluzionarie. Le teorie – nella battaglia che si svolge fra loro – sono perciò portatrici di politiche contrapposte, cercano di conseguire obiettivi fra loro contrastanti, sono espressione di interessi antagonistici. Nel conflitto, che il teorico vive come costruzione di “corrette” generalizzazioni scientifiche tali da “riprodurre il concreto nel cammino del pensiero” (Marx), le teorie diventano in realtà veicolo di ideologie che supportano precise politiche atte a far prevalere gli interessi di gruppi sociali diversi; e chi vince, non vince solo teoricamente! E non vince per soli meriti “scientifici”, bensì per i rapporti di forza esistenti in quella fase storica.
Beh, mi accorgo di avere scritto anche troppo. Per adesso sospendo e riprendo l’altro lavoretto. Comunque, complimenti per lo scritto e un fraterno abbraccio (mi rifiuto di dire paterno, malgrado la differenza d’età). Ciao
glg
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