CONSIDERAZIONI “DISINCANTATE” MA UTILI
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In effetti, desidero dire il minimo possibile sulla questione che scalda in questi giorni i cuori non solo dei destri ma anche dei sinistri, perfino di quelli che si ritengono “radicali”; poiché sono comunque tanto “buonisti”, sono cioè quei gran coglioni che ancora una volta, il 13 aprile, andranno a votare il Pd e, se proprio la loro idiozia toccherà livelli sublimi di “arte eccelsa”, la “sinistra arcobaleno”.
Scrivo perché ricevo mail da questi individui che mi fanno, in effetti, quasi rimpiangere il simbolo della “falce e martello”; non tanto per il significato di “operai e contadini”, ma di arnesi adatti a tenerli a bada e a impedire loro di nuocere. Questi fasulli di sinistra – la destra mi offende di meno perché è del tutto coerente con il suo forsennato filo-americanismo e filo-israelismo – sono un giorno si e l’altro pure a raccontare la favola della TV tutta berlusconiana (quando io vi vedo solo TG “sparati” dall’altra parte, comici più o meno scadenti o al massimo discreti, tutti rigorosamente “di sinistra”, faziosi come Fazio, Santoro o il tizio di Ballarò, e altri, sempre “da quella parte”). I “più colti” citano magari McLuhan; l’importante è sapere che siamo tutti condizionati dai media. Dopo di che, non si domandano nemmeno come mai si parla poco dei palestinesi (massacrati allegramente da sempre), delle vergognose azioni compiute dagli “occidentali” in Afghanistan, di Guantanamo e di altre torture (citate con molta parsimonia), e di non so quante porcherie combinate dalla “grande democrazia” statunitense; mentre siamo al contrario invasi dalle “terribili” notizie riguardanti la Birmania, adesso il Tibet, dove anche uno sprovveduto capisce che i movimenti “popolari” sono diretti da monaci finanziati dagli Usa. E poi c’è la “repressione” degli studenti iraniani (una infima minoranza filo-occidentale, cioè filo-statunitense). E poi ancora la “cattiva” Russia che minaccia Ucraina e Georgia (dove si sono svolte “correttissime” e “democratiche” elezioni), e si oppone alla penetrazione statunitense (via finanza e pagamento di gruppi politici) nelle repubbliche centroasiatiche. E il Pakistan, dove non si è smesso di foraggiare Musharraff, ma nel contempo si è appoggiata la Bhutto (cacciata molti anni fa perché a capo di un regime di ramificata corruzione) e, una volta eliminata quest’ultima (sono stati proprio i musulmani radicali a farla fuori?), si è pompato il suo partito per farlo prevalere (di poco) alle recenti elezioni, con una bassa percentuale di votanti, su cui non si sono fornite precise informazioni.
Vogliamo ricordare qualche altro fatterello? Ancora oggi, si straparla del genocidio in Kosovo alla fine del secolo scorso (anche il TG3 si unisce ai cialtroni che raccontano questa fandonia). Eppure, a sei mesi dalla fine della selvaggia aggressione alla Jugoslavia (cui partecipò pienamente il nostro governo di sinistra, votato dai suddetti coglioni) uscì sui principali giornali, anche italiani, il rapporto OCSE (organo ufficiale “occidentale”) in cui si rivelava che erano stati reperiti 2000 cadaveri; nemmeno l’ombra dei 100.000 kosovari uccisi poi ridotti a 50.000 poi – da Kouchner, allora al vertice di quell’altra “bella” organizzazione che è Medici senza frontiere – a 10.000. I cadaveri non portavano certo l’etichetta, erano i morti di una guerra civile scatenata dall’UCK, di cui era ben noto lo stretto legame con gli USA; e per null’affatto composta da partigiani, bensì da cosche mafiose dedite a traffici illeciti (a partire da quello degli stupefacenti), che continuano tutt’oggi. Non parliamo su quello che si è scoperto, ma poi messo a tacere, sulla “Missione arcobaleno”, organizzata per i soliti scopi umanitari (come quelli dei nostri militari in Irak prima, e oggi in Afghanistan) e risoltasi in malversazioni varie e loschi affari, su cui si è appunto stesa una coltre di silenzio; e quella missione era stata organizzata dalla sinistra.
E ancora un piccolo fatto. Credo sia inserita nei programmi di insegnamento – ad esempio, nella Facoltà di giornalismo a Urbino – la famosa bufala della “fossa di Timisoara” con 700 cadaveri, che dimostravano la ferocia del regime di Ceausescu, buttato giù dai servizi segreti russi di Gorbaciov, con la Romania consegnata poi (solo inconsapevolmente?) alla sfera di influenza statunitense. Si sa ormai da anni che in quella fossa vi erano 10-15 salme riesumate e fotografate appropriatamente per far “vedere” ai creduloni centinaia di massacrati dalla polizia di regime. Eppure, ancora oggi, si sente ripetere da ogni parte la bufala in questione. E sempre con i soliti “sapientoni”, i semicolti di sini-
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stra, a scuotere le loro testacce ripetendo quanto siamo condizionati dai media (i quali purtroppo, come già detto, sono tutti di Berlusconi!).
Adesso si sta bevendo tutto quello che dicono le fonti occidentali (e il “parlamento del Tibet” in esilio; pensa che fonte obiettiva!) circa le centinaia di morti nella “repressione” cinese. Bugiardi e malfattori come nel caso del Kosovo; solo che in questo caso non sono in grado di aggredire la Cina, e allora sbavano chiedendo di boicottare le Olimpiadi. E a queste richieste, come scritto all’inizio, si uniscono i “sinistri”.
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Manifestato il mio disprezzo per questi mentitori di professione e per chi crede loro, accenniamo ad alcune cosette serie. Una volta imploso il presunto socialismo, il paese predominante nel sistema mondiale, avvolto dalle reti del capitalismo (pur se questo si presenta in diverse forme, malamente conosciute al momento), sono gli Usa. Chiunque sia minimamente contrario a questo sistema sociale, non può che essere avversario di questa preminenza centrale. Non vi è alcuna certezza assoluta, ma sussistono molte probabilità circa il futuro avvento di una fase di policentrismo (“imperialistico”, pur se si deve usare tale termine con prudenza), che comunque non si instaurerà a breve; dovrebbero essere necessari almeno un paio di decenni. In questo momento, lo scontro – pur tra paesi con ancora un notevole divario di potenza – sembra comunque già iniziato. “Al Qaeda”, e in genere il “terrorismo” (di cui quello più propagandato è l’islamico), sono alimentati da questo scontro che, per il momento, vede in campo soprattutto i vari servizi segreti. Vi è inoltre il finanziamento di “moti popolari” in certi paesi, mentre in altri i soldini vanno ad organizzazioni filo-occidentali (espressione che significa filo-Usa) per vincere le “libere elezioni democratiche”. Ci sono poi le “dichiarazioni di indipendenza” (come quella recente del Kosovo), lo scoppio di “lotte tribali” (come in Africa), la corruzione di partiti o di gruppi politici in vari paesi; non manca la penetrazione culturale, l’elogio dell’american way of life (oggi, mi sembra, in netto calo di influenza): ecc. ecc.
Su quale sarà in futuro l’evolversi della lotta policentrica preferisco non fare profezie (perché tali sarebbero al momento). Non penso a forme simili alle guerre mondiali novecentesche, ma ribadisco che è inutile mollare le briglie alla propria fantasia. La scommessa che va fatta è semplicemente quella di una crescita di nuove potenze con il conseguente acutizzarsi – tendenziale, ma non lineare e continuo – del loro scontro reciproco. Appare più probabile, sempre nella congiuntura attuale, che le potenze in crescita siano quelle asiatiche (Cina e India) più la Russia (personalmente, ho anzi l’impressione che quest’ultima sarà per un buon periodo di tempo la più avanzata nel suo opporsi agli Usa). Noi però viviamo (e dunque agiamo politicamente e culturalmente) nell’area europea; e in un paese particolarmente in crisi (sociale e non solo economica) di quest’ultima. Dobbiamo, per quanto riguarda le posizioni da prendere sul piano internazionale, rifarci alle prospettive sommariamente qui richiamate.
Vorrei fosse definitivamente chiaro che non ho alcuna predisposizione a considerare le nuove potenze in fieri quali alfieri di una reale trasformazione (in meglio) delle varie forme capitalistiche oggi esistenti. Non appoggio minimamente Cina o India o Russia perché credo che questi paesi ci indichino le vie di un possibile miglioramento delle condizioni di vita o di libertà o di minore sfruttamento, e via dicendo. Semplicemente, ricordo bene quello che dissero (e praticarono) i due più grandi rivoluzionari del ‘900 (e forse di tutti i tempi): Lenin e Mao. I rivoluzionari non vincono per una loro particolare forza, ma principalmente perché si sono indeboliti gli avversari. Le rivoluzioni (lasciamo stare adesso la loro definizione di proletarie; indubbiamente sarebbe oggi un po’ “fuori tempo” e, visti gli sbocchi di certi processi storici, piuttosto imprecisa) scoppiano laddove i gruppi dominanti hanno “esagerato” nel loro reciproco conflitto, si sono scompaginati e hanno sollevato contro di loro l’indignazione delle maggioranze popolari.
Dobbiamo quindi favorire, in tutti i modi possibili, tale conflitto, che oggi – piaccia o non piaccia ma è così – si sviluppa soprattutto sul piano mondiale tra formazioni capitalistiche particolari
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che sono paesi: quello ancora predominante e alcuni altri in via di diventare potenze. E, piaccia o non piaccia, tali paesi fanno ancora appello a forme di nazionalismo, oppure a contrapposizioni religiose o etniche, ecc. Questo significa che non si è più interessati alle classi sociali? Intanto, dico subito che sul termine classe (almeno se lo si intende nel suo significato marxista; e sono stati i marxisti a parlare di “lotta di classe”) esiste una confusione terribile. La lotta degli operai di Mira-fiori o di Pomigliano d’Arco non è di classe, come pensano certi improvvisatori ormai a digiuno di teoria, ma semplicemente sindacale o, come diceva Lenin, tradunionistica (è la stessa cosa). La classe era definita da Marx nell’ambito di una teorizzazione, che presupponeva precise dinamiche interne al modo di produzione capitalistico, caratterizzate da un fondamentale indirizzo dicotomico: da una parte i capitalisti oppressori (in numero sempre minore e sempre più meri rentier) e, dall’altra, l’insieme lavorativo (“dall’ingegnere all’ultimo manovale o giornaliero”) [si leggano i pezzi di Marx che ho inserito nel sito]; in mezzo, “tra la gran massa dei lavoratori e i diecimila soprastanti” (come detto nelle Teorie sul plusvalore, vol. II) si sarebbe formato un vasto strato intermedio, che al massimo avrebbe disturbato la lotta tra le due vere classi, quelle il cui scontro era pensato decisivo per la trasformazione rivoluzionaria del capitalismo.
I processi non sono stati questi, quindi non esistono le due classi fondamentali (mentre il resto sarebbe semplice e provvisorio strato intermedio). E’ perciò meglio smetterla con il termine “classe”, che veicola un apparato concettuale da rivedere ormai ampiamente e con netta radicalità (così come il termine “imperialismo” fa sbagliare d’epoca, conducendo a valutazioni errate della situazione geopolitica attuale!). Al di là della questione terminologica, interessa però maggiormente quella sostanziale. Esistono diversi raggruppamenti sociali che, adottando criteri di larga approssimazione, possono essere “classificati” (non nel senso marxista di classe) in dominanti e dominati; entrambi però composti da segmenti e strati sociali, suddivisibili dunque in varie partizioni, fra le quali si sviluppano molteplici contrasti oltre che il formarsi di alleanze. Tutto però si può dire salvo che, nei paesi della nostra area (non solo geografica), abbia preso vigore un confronto accanito tra dominanti e dominati.
E’ probabile che tale confronto possa acuirsi se scoppia una crisi piuttosto grave, evento da non escludere (anzi, ormai ammesso dalle principali istituzioni economico-finanziarie ufficiali mondiali!); tuttavia, non ci si illuda (per l’ennesima volta) che si tratterà di una lotta rivoluzionaria per la trasformazione del (dei) capitalismo(i); saremo in presenza di un più banale conflitto per la suddivisione della “torta” (in fase di restringimento). Inoltre, è assai facile che si sviluppi uno scontro più acuto tra i vari raggruppamenti di dominati (o non dominanti), con gravi pericoli di trasformazioni interne alla struttura di potere mediante assunzione di posizioni di vertice da parte di particolari gruppi abbastanza “tosti”. D’altra parte, se ci illudiamo sulla possibilità di un urto immediato e diretto tra dominanti e dominati, tra oppressori e oppressi, nelle nostre società a capitalismo avanzato (come predicano i “preti” della Moltitudine, alla cui buona fede non presto alcuna credibilità; sono invece ben pagati da chi di dovere per rincretinire i facinorosi giovanotti dei centri sociali, quelli che compiono azioni squadristiche contro i pretesi “rosso-bruni”), allora possiamo veramente attendere i secoli e i millenni; è più facile che arrivi prima un bel macrometeorite che ci fa fare la (supposta) fine dei dinosauri.
Dunque, il nostro orientamento politico attuale deve in larga parte fondarsi sulla configurazione che andrà assumendo la formazione capitalistica mondiale (pur con le ricordate diverse strutturazioni dei rapporti sociali), con il probabile accentuarsi dello scontro tra dominanti. E’ però necessario non essere asini, non parteggiare per alcuni paesi come se rappresentassero l’avanguardia della rivoluzione anticapitalistica, come se fossero gli alfieri della “giustizia” o altre fesserie simili. Russia e Cina sono governate da gruppi di oppressori e sfruttatori dei popoli come altri paesi pur caratterizzati da differenti forme capitalistiche. La loro volontà di crescere, che si scontra con l’intenzione statunitense di mantenere il predominio nel mondo intero, è semplicemente il desiderio delle nuove gang di farsi spazio a spese di quella che lo sta occupando attualmente. Cina e Russia (e India e altri paesi che seguissero la stessa strada) non hanno alcun modo di soddisfare la loro pretesa di crescita
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(di tipologia capitalistica) se non scontrandosi sempre più acutamente con gli Usa; questo ci deve interessare e deve guidare il nostro atteggiamento in campo internazionale. Non c’è alcuna possibilità per i dominati (pur in un futuro che non penso proprio prossimo, ma comunque non prevedibile in questo momento) di dare uno scossone allo stato di oppressione in cui vivono, se i “predoni” capitalistici non si azzannano fra loro.
Perché non provare pietà e indignazione, in certi casi, di fronte alla repressione russa o cinese, o di altro paese in ascesa, diretta contro (parti di) date popolazioni? Tuttavia, alla faccia delle “anime belle” – che sognano chissà quale mondo, tutto boschi e freschi ruscelli, erba verde e fiori nei campi, e non so quali altre “meraviglie” – non vi sarà nemmeno l’ 1% di probabilità di liberare i popoli dall’oppressione, in un futuro non precisato (e non certo definitivamente e perpetuamente), se non cresce la reciproca ostilità tra i gruppi dominanti, ostilità che oggi si presenta, quale suo aspetto nettamente principale (pur se non esclusivo), nella forma dell’urto tra dati paesi. Il principio guida delle nostre prese di posizione in politica internazionale deve essere questo. Quindi, per quanto mi riguarda, appoggio i palestinesi e gli Hezbollah, i talebani in Afghanistan e i musulmani radicali in Pakistan; appoggio i vertici iraniani, che pure sono gruppi di dominanti nel loro paese; appoggio Putin e il partito “comunista” cinese, altri begli esempi di dominanti (e ferrei). Per quanto concerne, ad esempio, i contadini indiani in rivolta in alcune regioni del grande paese asiatico, malgrado la simpatia per le loro ragioni, mantengo un atteggiamento prudente perché non so al momento se l’India, visti i suoi contrasti con la Cina e il Pakistan, si alleerà infine con gli Usa, oppure se creerà crescenti fastidi al predominio di tale paese in Asia.
Certo, se fosse possibile una “presa del potere” da parte di forze popolari, contrarie sia agli Usa che al capitalismo in genere, ne sarei più che lieto; “qualcosa” mi dice che simili speranze sono al momento tanto utopiche. Non vorrei trovarmi di fronte a poteri sedicenti “popolari”, che poi si alleano con gli Stati Uniti. No, al momento è meglio attenersi ai criteri qui sommariamente indicati. Si avrà modo di riparlarne spesso, in specie negli anni a venire. E occhio alla crisi che avanza!
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