BRANI DA “GLOSSE A WAGNER”
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I brani marxiani che riporto sono da Glosse marginali al “trattato di economia politica” di Adolg Wagner. Le pagine si riferiscono all’edizione Einaudi (1975) de Il Capitale, libro I, vol.II (Appendici). I semplici corsivi sono di Marx, i corsivi e grassetti sono miei. Le parti fra parentesi quadra sono i commenti del sottoscritto.
Ribadisco anche qui, come già altrove, che non si tratta di citazioni da me riportate come se le traessi da un “Libro Sacro”. Ho già dato sufficiente dimostrazione in tutti i miei lavori di trattare Marx come un pensatore, grande ma pur sempre limitato dalla cultura e conoscenze dell’epoca e dei “luoghi” in cui visse. Se lo cito è perché, su tali punti, aderisco in sostanza alla sua “visione delle cose”, alla sua stessa impostazione mentale, aliena da discorsi generici, sempre alla ricerca di “significati ultimi e definitivi” della vita umana; non in determinate società, ma proprio la vita dell’Uomo in generale, dell’Uomo portato allo stesso livello degli Dei che gli uomini – quelli concreti e limitati dalla loro storia specifica che è storia nell’ambito di date forme sociali – si sono inventati per poter vivere. Non disprezzo affatto questa invenzione, credo di comprenderla almeno in parte, ma ritengo non debba intralciare la conoscenza della società in cui siamo situati.
“Il nostro vir obscurus non si è nemmeno accorto che il mio metodo analitico, che non parte dall’‘uomo’ ma dal periodo sociale determinato dal punto di vista economico, non ha nulla a che vedere con il metodo dei professori tedeschi consistente nel riallacciare un concetto all’altro”; pagg. 1421-22.
“L’uomo? Se qui si intende l’ ‘uomo’ in quanto categoria, allora esso non ha ‘alcun’ bisogno; se invece s’intende l’uomo che, isolato, si trova di fronte alla natura, allora lo si deve considerare come un essere non gregario; se si tratta di un uomo che già vive in una qualunque forma di società allora si deve cominciare col presentare il carattere determinato di quest’uomo sociale, ossia il carattere determinato della comunità nella quale vive, giacché qui la produzione, e dunque il processo mediante il quale egli si guadagna da vivere, ha già un certo [cioè specifico] carattere sociale”; pag. 1410.
“Si sarebbe anche potuto dire: l’uomo che si riferisce agli oggetti del mondo esterno che soddisfano i suoi bisogni come a dei ‘beni’, li ‘apprezza’, ossia attribuisce loro un ‘prezzo’; ed ecco fornita su misura al nostro professor germanicus la deduzione del concetto di ‘prezzo puro e semplice’, grazie al procedimento dell’ ‘Uomo’. Tutto ciò che non è in grado di fare egli stesso, il professore lo fa fare all’‘Uomo’ il quale peraltro è ancora una volta semplicemente l’uomo professorale che ritiene di aver compreso il mondo una volta che lo ha classificato sotto rubriche astratte.”; pag. 1414.
“Anzitutto io non parto dai ‘concetti’, e quindi neppure dal ‘concetto di valore’, per cui non mi trovo neppure in alcun modo costretto a ‘suddividerlo’. Ciò da cui parto è la forma sociale più semplice in cui il prodotto del lavoro si configura nella società attuale [avete capito? Attuale, cioè quella capitalistica; nota mia] e questa è la ‘merce’. Io la analizzo, anzitutto, nella forma in cui essa si presenta”; pag. 1418.
[Marx fa qui notare con assoluta precisione che non analizza la merce in generale, tanto meno il valore, quale mero concetto partorito dal cervello dei “professori”, ma la merce capitalistica, nella cui forma universale – duplicatasi in quella di denaro (merce e denaro sono dunque forme di oggetti concreti, socialmente concreti) – si presenta ormai la ricchezza prodotta in questa storicamente determinata forma (capitalistica) dei rapporti sociali. Niente fantasie di “professori”, ma analisi di una situazione storico-sociale specifica, e concreta, pur se conosciuta tramite il pensiero, che
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però si sforza di applicarsi alla “realtà”, non alle proprie, più o meno colte ed erudite, elucubrazioni mentali].
“In primo luogo di fronte all’individuo non si situa la parola ‘valore d’uso’ ma dei valori d’uso concreti, e quali di essi si ‘situano di fronte a lui’…..dipende interamente dal livello raggiunto dal processo sociale di produzione e di conseguenza corrisponde anche a un’ ‘organizzazione sociale’”; p. 1425.
[Quindi anche i valori d’uso non dipendono da un mero “concetto”; il punto di partenza della loro analisi si situa nei concreti, socialmente e storicamente concreti, bisogni, non nel concetto di bisogno in generale, che ne deriva, che è semmai il punto d’arrivo].
Dall’Introduzione del ’57 (stesso libro citato, pag. 1151): “La fame è fame, ma la fame che si soddisfa con carne cotta, mangiata con coltello e forchetta, è una fame diversa [è diverso il socialmente concreto bisogno, da cui deve prendere le mosse il ragionamento prima di arrivare al “concetto”; nota mia] da quella che divora carne cruda, aiutandosi con mani, unghie e denti. La produzione non produce perciò solo l’oggetto del consumo ma anche il modo di consumo, essa produce non solo oggettivamente ma anche soggettivamente. La produzione crea quindi il consumatore”.
[Tuttavia, nemmeno questa produzione che produce il consumatore – ma solo perché produce un certo modo (sociale, storico-determinato) di consumare – può essere considerata nel suo aspetto generale].
A pag. 1143-44: “La produzione in generale è un’astrazione che ha un senso, in quanto mette effettivamente in rilievo l’elemento comune, lo fissa e ci risparmia una ripetizione. Tuttavia questo generale, ossia l’elemento comune astratto e isolato mediante comparazione, è esso stesso un qualcosa di complessamente articolato che si dirama in differenti determinazioni … Certe determinazioni saranno comuni all’epoca più moderna come alla più antica…Le determinazioni che valgono per la produzione in generale debbono venire isolate in modo che per l’unità – che deriva già dal fatto che il soggetto, l’umanità, e l’oggetto, la natura, sono gli stessi – non vada poi dimenticata la differenza essenziale [sottolineatura mia]. In questa dimenticanza consiste…. tutta la saggezza degli economisti moderni che dimostrano l’eternità e l’armonia dei rapporti sociali esistenti. Essi spiegano che … nessuna produzione è possibile senza uno strumento di produzione, non fosse altro che la mano; né senza lavoro passato e accumulato, non fosse altro che l’abilità riunita e concentrata per reiterato esercizio nella mano del selvaggio. Il capitale è tra l’altro anche uno strumento di produzione, anche lavoro passato, oggettivato. Quindi, il capitale è un rapporto naturale eterno, universale; a condizione che io tralasci proprio quell’elemento specifico che, solo [sottolineatura mia], fa di uno strumento di produzione, di un lavoro accumulato, un capitale”.
[Quell’elemento specifico, lo sappiamo ormai bene, è il sistema di rapporti sociali (di produzione) della tipologia esistente in epoca moderna, nell’epoca in cui Marx indagava soprattutto il capitalismo inglese. Come il capitale, così pure le varie altre categorie dell’indagine – produzione, merce, valor d’uso e di scambio, bisogni e consumo, ecc. – non sono punti di partenza concettuali, bensì punti di arrivo a partire dall’indagine della storicamente determinata struttura (forma) di rapporti nel cui ambito si producono e distribuiscono le merci, si manifestano certi bisogni e certi modi di soddisfarli che determinano pure lo specifico valor d’uso dei prodotti, ecc. Ovviamente, è aperta la discussione su che cos’è il concreto (reale) in Marx (mi sembra di averne discusso, pur secondo un certo punto di vista, nel par. 4 del mio Perdo tempo ma preciso), ma comunque non si tratta in nessun caso del mero concetto quale punto di partenza, bensì semmai delle ipotesi formulate ai fini dell’indagine di “reali” epoche storiche (passate o presenti).
Non si tratta del “mondo delle ombre proiettate sulla parete di una caverna”, bensì del mondo comunque esperito, in cui siamo immersi – con la nostra presenza o con la memoria del passato – e che esperiamo nel solo modo in cui siamo capaci: pensandolo mediante ipotesi, ma comunque sempre esperendolo, poiché in esso – anche in quello passato – ci “muoviamo”, sia pure con modalità
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particolari (poiché tutto ciò che facciamo oggi o che prevediamo di fare domani non può prescindere, salvo che per gli incoscienti “smemorati”, da ciò che interpretiamo del passato; in tal senso esperiamo pure quest’ultimo mediante i suggerimenti che da esso traiamo ai fini dell’azione presente). Qui si misura tutta la rilevanza del tutto torna ma diverso, poiché noi – in quanto singoli individui concreti e non “esemplari” di un Uomo in generale, esangue e anzi morta astrazione – possiamo esperire una sola “concretezza”, quella che si distende lungo l’intero arco di passato, presente e futuro, su cui si esercita non la nostra mera azione (sempre presente) ma nel contempo le nostre ipotesi interpretative (del passato) e previsive (del futuro). Comunque, non allunghiamo qui il discorso; l’importante è capire che, per Marx, il punto di partenza è sempre la concretezza (di un’epoca, di una fase storica), non il concetto in generale].
“Qui si ha a che fare con un’antitesi ‘logica’ solo in Rodbertus e nei maestri di scuola tedeschi con lui imparentati, i quali assumono come punto di partenza non l’‘oggetto sociale’ che è la ‘merce ’, ma il ‘concetto’ di valore che essi scindono [in valore d’uso e valore di scambio], disputandosi poi per sapere quale dei due fantasmi sia il vero Giacobbe! [l’uomo nel] suo concreto modo di procedere…..si riferisce sempre a certi oggetti esterni come a ‘valori d’uso’, li tratta cioè come oggetti destinati al suo uso; proprio per questo, per Rodbertus, il valore d’uso è un concetto ‘logico’; di conseguenza, visto che l’uomo deve anche respirare, il ‘respiro’ è un concetto ‘logico’, ma in nessun caso un concetto ‘fisiologico’”; pag. 1426.
[Bella l’ironia di Marx che sferza l’atteggiamento “professorale”. Il fisiologico è il concreto, contrapposto a quel respiro che volesse essere inteso quale mero concetto “logico”. Nello stesso senso, la merce è il concreto in quanto oggetto prodotto in una particolare forma storica di società, in uno storicamente determinato processo di produzione attuato nell’ambito di una specifica struttura di rapporti sociali. Marx contrappone questo concreto che è la merce al concetto di “valore”, ma solo nel senso che è la prima e non il secondo il punto di partenza di ogni analisi concreta, cioè storico-sociale; il valore, il concetto, viene dopo l’analisi della merce in quanto effettiva forma di presentazione del prodotto del lavoro in una determinata formazione sociale, quella capitalistica].
Si legga poi tutta la pag. 1427, che sarebbe troppo lungo riportare.
“Secondo il signor Wagner si tratta anzitutto di dedurre il valore d’uso e il valore di scambio dal concetto di valore, e non, come faccio io, a partire da un oggetto concreto, la merce” [corsivi di Marx, grassetti miei sovrapposti al corsivo marxiano]; pagg. 1409-10.
[Ancora una forte sottolineatura di come il vir obscurus deduca tutto dal proprio cervello, “sbattendosene” della “realtà” (fase storica e specifica forma sociale) in cui si trova a vivere e operare praticamente; sempre ricordando che anche l’analisi detta teorica è parte della pratica, quando però è in grado di almeno sforzarsi di comprendere quella specifica forma sociale e quella fase storica; altrimenti è “pura teoria” avulsa da una qualsiasi pratica, giacché lo è da ogni concretezza].
“Anzitutto io non parto dai ‘concetti’, e quindi neppure dal ‘concetto di valore’, per cui non mi trovo neppure in alcun modo costretto a ‘suddividerlo’. Ciò da cui parto è la forma sociale più semplice in cui il prodotto del lavoro si configura nella società attuale, e questa è la ‘merce’. Io la analizzo, anzitutto, nella forma in cui essa si presenta” [i semplici corsivi sono di Marx; non li ho caricati del grassetto, ma il lettore lo faccia]; pag. 1418. [Inutili altri commenti, brano di una chiarezza solare].
“Io quindi non dico che la ‘sostanza sociale comune del valore di scambio’ è il ‘lavoro’; poiché …. tratto diffusamente della forma di valore, ossia dello sviluppo del valore di scambio, sarebbe strano ridurre questa ‘forma’ a una ‘sostanza sociale comune’, al lavoro. Il sig. Wagner dimentica
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inoltre che da me né ‘il valore’ né il ‘valore di scambio’ sono soggetti; il soggetto è la merce”; pag. 1405 [il semplice corsivo, forma di valore, è di Marx, e in corsivo è anche l’ultima parola: la merce. I corsivi e grassetti ulteriori sono miei].
[Per l’ennesima volta, ripeto che si può certo dissentire da Marx e seguire invece quelli che egli definisce, ripetutamente, “vir obscurus”, “professor germanicus”, “professori (o maestri di scuola) tedeschi”, ecc. Questo è lecito, ma non è lecito coinvolgere Marx in discorsi sull’Uomo. Se Marx può avere avuto delle incertezze (e bisognerebbe anche vedere quanto ciò sia vero; adesso non ho voglia di rileggermi tutta l’opera marxiana) fino al 1844, dopo tratta la questione in modo del tutto differente. Parla di uomo nella sua concretezza storico-sociale; non crede certo all’Uomo come non crede al Cavallo o all’Asino (al massimo crede al concreto “professor germanicus”).
Si guardino anche le poche ma nette righe della prefazione a Il Capitale, in cui afferma senza perifrasi che gli “uomini” di cui egli scrive sono precise figure sociali, dunque determinate dalla loro appartenenza ad una data forma storica di società, di rapporti sociali. Si può discutere sul carattere di questi rapporti, detti di produzione; non certo sull’Uomo avulso da essi. Qualsiasi discorso sull’umanesimo è più che consentito – per chi ha voglia di filosofare – ma non si coinvolga Marx nel ruolo di “maestro di scuola tedesco”, un ruolo da lui aborrito come risulta chiarissimo da quanto precede. E’ del tutto evidente che egli disprezza Wagner, Rodbertus, ecc. (e non ho citato tutti i passi, alcuni ancora più decisi nel trattarli in modo molto offensivo). Perché allora voler offendere Marx? Si dica che non si è d’accordo, punto e basta.
Certamente, dell’uomo concreto non è detto si debba parlare solo come portatore di rapporti, e dunque funzioni, sociali. Se ne può discutere in molti altri modi; basterebbe pensare, ad esempio, a quello psicologico, ecc. Non sono così semplicistico da considerare gli uomini solo dal punto di vista della loro funzione in una teoria della società. L’importante è “dare a Marx quel che è di Marx”. In ogni caso, da qualsiasi punto di vista se ne parli, penso che esistano uomini e non l’Uomo. Ritengo si possano amare od odiare concreti individui – anche in senso ideale, magari non conosciuti, vissuti in altre epoche – ma diffido di chi ama l’Umanità; ho riscontrato mille volte come costui odi gli individui concreti, poiché mai corrisponderanno alle sue elucubrazioni fantastiche, in cui l’Uomo ha solo la funzione di Dio. Perché vergognarsi di credere direttamente in quest’ultimo? In suo nome, come nel nome di qualsiasi altra ideologia, si sono compiute azioni orrende, ma anche opere eccelse, di altissima levatura. Credete a me, datevi a Dio oppure agli uomini concreti, a quei poveri “animali”, non so se fortunatamente o disgraziatamente dotati di quella cosa che si chiama pensiero, e che crea spesso tanti guai.
In ogni caso, si lasci per favore in pace Marx: lo si prenda in esame infine per quello che è, non per quello che credeva di essere: non comunque un filosofo umanista ma il preveggente conoscitore dell’imminente processo della rivoluzione mondiale compiuta dai produttori associati (“dall’ingegnere all’ultimo manovale”). Egli è stato invece un grande teorico della società capitalistica della sua epoca: il capitalismo borghese. E’ stato cioè il teorico della società in una specifica, determinata, epoca storica della formazione sociale (Marx dice anzi, nella Prefazione del ’59, “formazione economica della società”; ma su questo ho già scritto). Da qui si deve ripartire per meglio conoscere la fase storico-sociale attuale. I filosofi dell’Uomo abbiano la compiacenza di allontanarsi da Marx e di lasciar lavorare quelli che lo conoscono; altrimenti non si aspettino attenzione nemmeno per le loro elaborazioni, che invece potrebbero essere interessanti: in un contesto però del tutto diverso e chiudendo definitivamente con il preteso umanesimo marxiano. Quello marxista, non leninista, non m’interessa; chi vuole si rigiri la frittata come più gli aggrada; l’importante è che si lasci stare Marx e, ovviamente, Lenin, il più “antiumanista” di tutti, un vero “animale” da Rivoluzione].
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