La Francia di ritorno nell'ordine integrato della NATO? di Pierre Veriuise – 031101200~
‘ 11 settembre 2007, il ministro della difesa Hervé Morin ha cominciato pubblicamente a riflettere sul possibile ritorno della Francia nella struttura militare integrata della Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico (NATO). Presa di posizione che annullerebbe la decisione presa dal generale di Gaulle nel marzo 1966. Lasciando la struttura militare integrata della NATO, la Francia intendeva allora affermare il principio dell’ordine nazionale delle sue forze fino al loro inserimento eventuale sotto l’ordine NATO ma solo in caso di conflitto. Il generale Gaulle desiderava così impedire ogni possibilità d’impegno automatico delle forze francesi senza una preliminare decisione politica nazionale. Come sono arrivate le autorità francesi a rompere questo tabù? Creata nel 1949 per coinvolgere gli Stati Uniti nella difesa dell’Europa occidentale di fronte alla minaccia sovietica, la NATO è un puro prodotto della guerra fredda. Quaranta anni più tardi si verifica la caduta della cortina di ferro, nel 1989. Se, nel 1990, la fine della guerra fredda è stata un successo per la NATO, molti esperti si sono rapidamente interrogati sulla sua perennità. Per ragioni diverse, si trovano allora a Washington, ma anche a Parigi ed a Mosca, dei sostenitori della chiusura di questa esperienza. Mentre il Patto di Varsavia è scomparso, occorre constatare che la NATO è, non soltanto sopravvissuta alla guerra fredda ma ha saputo fare del dopo-guerra fredda un momento per estendersi considerevolmente in Europa. Per cominciare, la Germania è stata riunificata nel 1990 nel quadro della NATO, contrariamente a ciò che desiderava l’Unione della repubbliche socialiste sovietiche (URSS). Il gioco degli Stati Uniti consiste allora nel rompere l’ordine derivato dalla seconda guerra mondiale. Una Germania riunificata nella NATO firma la sconfitta dell’URSS come potenza vittoriosa del 1945. La scomparsa della repubblica democratica della Germania (RDT), finestra del comunismo in Europa, simbolizza la rovina di quest’ideologia. Senza parlare dell’implosione dell’URSS, l’8 dicembre 1991.
Le posizioni difese da Parigi all’inizio degli anni 1990
Solo Stato membro della NATO a non partecipare alla struttura militare integrata, dal 1966, la Francia considera, all’inizio degli anni ’90, che l’alleanza atlantica non è più giustificata, poiché il nemico potenziale ad Est è scomparso. François Géré spiega così la posizione difesa da Parigi: “La concezione francese del futuro dell’alleanza obbedisce innanzitutto ad una logica cartesiana: un’alleanza non sopravvive alle ragioni che la hanno fatta sorgere. Largo dunque alla messa in sicurezza dell’Europa da parte degli europei”. Esiste un progetto francese, relativamente ambizioso, quale la visione di un’Europa forte la cui estensione geografica sarebbe diversa da quella della NATO in corso d’allargamento. Ma sembra che nessuno ci senta da quest’orecchio. Né la volontà politica, né le risorse finanziarie, né i mezzi militari sono disponibili per quest’appuntamento con i tempi nuovi. Questo progetto francese è radicalmente opposto a quello degli Stati Uniti. Giorgio-Henri Soutou ha scritto: “( … ) la prima reazione di François Mitterrand fu di tentare di rallentare la riunificazione tedesca, che ai suoi occhi comprometteva lo statuto della Francia in Europa.” Contava per ciò in particolare sul processo detto “4+2” per il quale si designava un negoziato tra i quattro e le due “Germanie”. Nel febbraio 1990, pensava che con il 4+2 la riunificazione avrebbe
richiesto anni. D’altra parte, cercò inizialmente di inserire la riunificazione nella costruzione di una Grande Europa che includesse l’URSS: egli disse a Gorbatchev a Kiev il 6 dicembre 1989: “Ci deve essere riunificazione ma nel quadro di una grande Europa”. Da qui il 31 dicembre seguiva la sua proposta per una confederazione europea che comprendesse l’URSS; con lo stesso spirito, voleva sviluppare le strutture di sicurezza in Europa tra i due patti per definire la riunificazione, cosa che perveniva al concetto di Casa Comune di Gorbatchev, come già detto nel maggio 90 a Mosca. Questa grande Europa sarebbe stata facilitata, nello spirito del presidente della repubblica, dalla fine del comunismo sovietico di tipo classico e con la comparsa in URSS ed in Europa dell’Est di un comunismo riformato compatibile con il socialismo democratico dell’Europa occidentale. È con questo spirito che nel suo discorso di Valladolid, nell’ottobre 1989, esortava i popoli dell’Europa orientale a non respingere “i valori del socialismo”. Questa grande Europa avrebbe d’altra parte permesso alla Francia di inquadrare la riunificazione tedesca in un accordo discreto con l’URSS; Parigi avrebbe potuto così mantenere il suo ruolo internazionale nella nuova situazione, secondo la concezione globale ricordata più su, con l’URSS riformata che aiutava la Francia a controbilanciare il peso della Germania e degli Stati Uniti. Ovviamente, questo progetto non ha suscitato un entusiasmo nei vecchi satelliti dell’URSS. Occorre rilevare, d’altra parte, che il trattato di Maastricht (1992) non fonda soltanto la moneta unica ma anche la politica estera e di sicurezza comune. L’articolo 17 impedisce alla PESC di essere incompatibile con gli interessi della NATO. In altre parole, la speranza francese di condurre l’Europa comunitaria a liberarsi dal quadro della NATO incontra delle difficoltà.
La NATO attua due allargamenti
Nel 1999, la crisi del Kosovo vede la NATO intervenire tramite un’offensiva aerea che intende forzare le autorità di Belgrado a cessare la repressione degli Albanesi del Kosovo. Molte volte, gli Stati Uniti danno l’impressione – attraverso le operazioni della NATO – di cercare il terreno migliore per contrastare la Russia sul suo territorio. Quest’operazione aerea è controversa, in particolare sul piano giuridico. Tuttavia la NATO resta alla fine degli anni ‘90 un elemento determinante dell’architettura di sicurezza europea, mentre l’OSCE non è riuscita ad imporsi, contrariamente al volere di Parigi e Mosca. Ne è testimonianza l’allargamento della NATO a paesi usciti dal blocco dell’Est. Fin dal 12 marzo 1999, si verifica un evento inimmaginabile appena quindici anni prima. Nonostante l’opposizione virulenta della Russia post-sovietica, tre paesi rinvenienti dal blocco dell’Est s’integrano nell’alleanza militare ostile all’URSS: la NATO. Si tratta della Polonia, della Repubblica Ceca e dell’Ungheria. Che gli Stati Uniti possano imporlo a Mosca testimonia dei rapporti di forza post-guerra fredda appena dieci anni dopo la caduta del muro. E Washington non si ferma lì. Nel 2004 si verifica un vero big bang geopolitico. La NATO si apre, il 29 marzo 2004, a sette paesi precedentemente comunisti: l’Estonia, la Lettonia, la Lituania, la Slovacchia, la Romania, la Bulgaria e Slovenia. Così, non soltanto gli Stati Uniti si permettono di integrare nell’alleanza militare da loro dominata vecchi satelliti dell’URSS ma osano integrare tre vecchie repubbliche sovietiche. Sotto diversi aspetti, si tratta di una vera rivoluzione. La zona franca russa di Kaliningrad si trova così “circondata” da due stati membri della NATO, la Polonia a sud e la Lituania a nord. Catherine Durandin nota che: “L’integrazione nella NATO, secondo il calendario che va da Madrid nel 1997 a Praga
nel novembre 2002, ha seguito una logica pilotata, in ultima analisi, cioè in occasione del vertice di Praga del 2002, agli obiettivi principali della dottrina di sicurezza degli Stati Uniti.” Così Washington, che spazza via le sue riserve precedenti all’indirizzo di candidati giudicati ancora troppo poco avanzati nella loro ristrutturazione militare, decide un big bang d’integrazione, con sette nuovi membri, per il vertice della NATO di Praga. Il tempo della NATO va più veloce e spinge, per precederlo, il tempo dell’Europa (comunitaria – PV). La logica degli Stati Uniti risponde al bisogno di controllo dello spazio del Sud-Est europeo, con gli alleati bulgari e rumeni, in una strategia di conseguimento di spazi aerei e di basi per le future operazioni in Iraq, in Medio Oriente, e come ponte verso il Caspio e l’Asia centrale. Queste basi dovrebbero essere punti d’appoggio, relè di allerta, relè di proiezione di forze militari. I nuovi partner degli Stati Uniti hanno potuto “prendere questa possibilità storica”, quest’opportunità straordinaria di un’integrazione nella NATO, in un momento, durante l’anno 2002, quando le relazioni tra Mosca e Washington potevano essere considerate buone, se non interdipendenti nella guerra contro il terrorismo.
La prova nel 2003
Fin dal 2003, il mercato alla guerra in Iraq è l’occasione di una nuova dimostrazione dell’attrattiva degli Stati Uniti. Gli stati membri o candidati alla NATO e/o all’Ue manifestano il loro sostegno alla strategia di Washington con “La lettera degli otto paesi dell’Europa per un fronte unito in Iraq”, il 30 gennaio 2003 e “La Dichiarazione dei paesi del gruppo di Vilnius”, il 5 febbraio 2003.” La Francia e la Germania, appoggiate alla Russia di V. Poutine, non suscitano l’entusiasmo degli stati membri o candidati all’Ue per la loro critica della strategia statunitense, tuttavia in gran parte fondata. Come immaginare, nondimeno, che i vecchi paesi satelliti diventati membri o candidati alla NATO possano vedere benevolmente una posizione sostenuta da Mosca? Un altro danno concomitante, il presidente J. Chirac “ferisce” i paesi candidati all’Ue, deteriorando l’immagine della Francia nell’Europa baltica, centrale ed orientale. Dopo la crisi diplomatica del 2003 e nella prospettiva dell’allargamento del 2004, Guy Millière scrive: “( … ) l’allargamento appare all’entourage di Bush (fils – PV) come una prospettiva eccellente.” Poiché si sa bene fra i candidati all’Ue che hanno subito il giogo sovietico, che se questo giogo è finito, non è certamente per merito della Germania e della Francia, ma grazie agli Stati Uniti e alla politica di riarmo materiale e morale degli anni Reagan. ( … ) l’allargamento dunque integrerà nella Ue, si pensa da parte americana, i paesi per i quali non c’è difesa credibile che in rapporto stretto con gli Stati Uniti. Si potrebbero suonare i rintocchi delle speranze francesi: fare dell’Europa un sostituto alla potenza che la Francia non ha più da decenni e pretendere con ciò di pesare sugli affari del mondo da una posizione di rivalità con gli americani ( … ) l’allargamento dell’Ue potrebbe servire, dal punto di vista dei partigiani della dottrina Bush, ad isolare e circoscrivere il pericolo che incarna, in Francia, l’ossessione anti-americana e le nostalgie di grandezza”. L’adesione dei paesi dell’Europa baltica, centrale ed orientale alla NATO nel 1999 o nel 2004 segna simbolicamente la predominanza degli Stati Uniti in Europa. Occorre ammettere con Ronald Hatto ed Odette Tomescu che “la penetrazione americana in Europa centrale ed orientale non dipende soltanto dalla sola volontà di Washington, ma che si basa anche sulle attese dei paesi ex sovietici”. L’allineamento relativo di molti di questi paesi deriva da una fascinazione per l’America e dal timore di un ritorno prepotente della Russia. La ricettività delle società interessate facilita il gioco di
Washington. Dagli anni ‘90, molti giovani diplomatici ed uomini di Stato est-europei si sono formati nelle università americane, e gli Usa danno il senso del loro impegno con le basi militari a vantaggio dei nuovi membri della NATO, in particolare in Polonia, Romania, Bulgaria e forse Ungheria. Ciò permette loro, allo stesso tempo, di avvicinare le truppe americane agli “archi di instabilità” e di consolidare il loro primato in uno spazio chiave del pianeta. Per Ronald Hatto ed Odette Tomescu: “( … ) la strategia del primato americano tende ad evitare un’integrazione troppo accurata dell’Ue.” Lo scopo non è di impedire l’integrazione come tale, ma piuttosto assicurarsi che un certo grado di divisione persista tra i suoi membri. Fino ad un certo punto, l’installazione di elementi di un sistema anti-missile in Polonia ed in Repubblica Ceca potrebbe iscriversi in questo processo.”
Una nuova configurazione
Probabilmente più che mai, gli Stati Uniti dispongono dal 2004 di strumenti e di mezzi per avere sott’occhio il funzionamento delle istituzioni europee. In un certo modo, gli ultimi adeguamenti governativi realizzati nel secondo semestre 2004 sulle relazioni tra la politica estera e di sicurezza comune e la NATO nel progetto di trattato costituzionale ne sono un esempio. Gli ultimi arbitrati tra governi degli stati membri prevedevano di fare della NATO “la base” e “l’istanza” della messa in opera della difesa collettiva degli stati membri della NATO, cioè della grande maggioranza dei membri dell’Ue. Ciò palesa uno stato d’animo complessivo. Il risultato negativo del referendum francese del 29 maggio 2005 – ed il ritiro del testo – non toglie nulla a questo stato d’animo. Con tale arretramento, il rappresentante permanente della Francia alla NATO dal 2001 al 2005, Benoît di Aboville, deve convenire che: “Era una visione troppo lineare quella di pensare che dopo la fine della guerra fredda la NATO si sarebbe sciolta da sé”. La Francia si trova dunque forzata a riconsiderare completamente il suo approccio alla NATO. La ridefinizione delle relazioni tra la Francia e la NATO sono il risultato secondario dei cambiamenti geopolitici dell’Europa dal 1989. Come non immaginare la soddisfazione dei dirigenti americani dopo le parole del presidente della repubblica francese, Jacques Chirac, che dichiarava nel 2004 al vertice della NATO ad Istanbul: “La Francia concepisce i suoi impegni nell’Unione europea e nell’alleanza come perfettamente compatibili.” Non esiste, non può esistere, un’opposizione tra la NATO e l’Unione europea. Ecco un effetto collaterale della caduta della cortina di ferro. I dirigenti francesi – gradualmente e penosamente – sono stati obbligati a sanzionare il lutto del loro obiettivo iniziale… e ad avvicinarsi, abbastanza maldestramente, alla NATO a partire dal 1995. La Francia reintegra allora il Comitato militare, la più alta autorità militare dell’alleanza, che riunisce i capi di stato maggiore degli eserciti degli Stati membri. Nel 2004, la Francia partecipa in particolare alle istanze intergovernative seguenti all’alleanza: Consiglio Nord-Atlantico, Comitato militare e stato maggiore internazionale. Tuttavia, ancora a questa data, “la Francia non partecipa al funzionamento della struttura militare integrata ma dispone di compiti militari o di ufficiali di collegamento presso i principali stati maggiori (SACEUR, SACLANT, ordini regionali e locali…) per tenere conto delle necessità di coordinamento e d’interoperabilità necessarie ad un’eventuale implicazione delle forze francesi nelle operazioni di difesa collettiva o di gestione di crisi. Nel 2004, la Francia conta 170 persone nei posti di comando della NATO. Cifra che occorre comparare con i 2.805 americani, 2.212 tedeschi, 1.216 italiani, 632 Turchi, 405 spagnoli… Gli allargamenti della NATO e
dell’Unione europea non sono dunque giochi a somma zero. La natura di configurazione geopolitica è cambiata. L’integrazione di 12 nuovi Stati membri ha parzialmente modificato l’Unione europea e la sua relazione con la NATO. Poco dopo l’allargamento del 2004, C. Durandin pone pubblicamente i nuovi dati del problema: “Il dibattito è lanciato. Evitiamo almeno le contraddizioni; cessiamo da parte francese di porci come polo di costruzione di un’Europa potente avente come obiettivo quello di pesare contro gli Stati Uniti proseguendo in modo ambivalente affermando la complementarità e la non concorrenza tra la NATO e la difesa europea. Siamo coerenti e cessiamo di spingerci in avanti tanto come europei contro Washington tanto come europei/occidentali con gli Stati Uniti. Quest’ambivalenza può generare soltanto una distanza che indebolisce, mentre sfide e responsabilità comuni si pongono alle società sviluppate, alle nazioni conquistatrici che si affermeranno successivamente nel mondo”.
Il cambiamento geopolitico dell’Europa conduce ad un nuovo approccio
Dopo il vertice di Riga del novembre 2006, François Géré dimostra che la Francia è diventata un membro importante della NATO. “Trasposizione del vertice di Praga del 2002, la Francia ed il Regno Unito ottengono nel 2005 l’etichetta di nazioni quadro della componente aerea (della NATO – PV). “A tale scopo, l’aviazione realizza una struttura di comando atta a condurre 250 uscite aeree quotidiane. Le alte autorità francesi danno mandato all’esercito di terra di realizzare uno stato maggiore multinazionale per la NATO che prenda quartiere nella fortezza Vauban di Lille. La marina nazionale mette in servizio bastimenti di proiezione e di comando, le BPC, che potranno essere destinate alle NRF(Risposte di forza). ( … ) notiamo che le nostre forze restano sotto ordine nazionale fino alla loro assegnazione ad una NRF; passano allora sotto ordine della NATO. Quanto ai soldati francesi inseriti nelle strutture della NATO, restano sotto la responsabilità diretta del capo di stato maggiore delle armate. Ma, la nostra politica di difesa ha saputo apprezzare ciò che è essenziale nella sua relazione alla NATO. Nel settore strategico della guerra elettronica, ed è poco conosciuto, il nostro paese accoglie a varie riprese le campagne Embow e Mace dedicate all’autoprotezione degli aeromobili. Nel marzo 2005 gli aerei di informazioni elettroniche francesi (in particolare Gabriel ed Awacs) hanno partecipato alle esercitazioni della Nato Trial Hammer (organizzate sui cieli della Francia e della Germania) quindi Spartan Hammer in Grecia nel novembre 2006. Oggi (dicembre 2006), le forze francesi sono impegnate in Kosovo, ma soprattutto in Afghanistan. Là, l’apparato francese comprende più di un migliaio di soldati e molti caccia-bombardieri Mirage 2000 D, ha ricevuto alla fine del 2006 l’appoggio di due elicotteri EC-725 Resco dell’aviazione, delle macchine molto recenti concepite per le missioni speciali in zone ostili. In breve, non è possibile dire che la Francia, membro dell’alleanza atlantica, non fa parte della NATO”. Dal 1 aprile al 31 luglio 2007 si è svolta una missione poco conosciuta ma significativa. L’aviazione francese ha garantito la protezione del cielo degli stati baltici, nel quadro della NATO. Per la prima volta dal 1966, non è più Parigi ma il comando della NATO che può dare direttamente ad un pilota francese un ordine di tiro contro un aeromobile. Tenuto conto di quello che è recentemente accaduto con i caccia russi che hanno violato lo spazio aereo degli stati baltici, ciascuno comprende che questa situazione poteva tradursi in un ordine dato dalla NATO ad un aeromobile francese contro tale incursione. Per chi conosce allo stesso tempo la cronistoria delle relazioni tra la Francia e la NATO dal 1966 e quella delle relazioni tra la Francia e la Russia, si tratta di un momento interessante. Alla fine di
quest’operazione e poco prima della presa di posizione pubblica del ministro della difesa citata in introduzione, una relazione della commissione degli affari esteri del senato dedicata alle sfide dell’evoluzione della NATO testimonia nel mese di luglio 2007 di un mutamento d’animo. “Le evoluzioni future della NATO interessano direttamente la Francia alla stregua di tutti gli altri alleati.” Quindi essa avrebbe interesse a definire più chiaramente il ruolo che intende svolgere nell’alleanza negli anni a venire. A questo titolo, il volontarismo francese al servizio del rafforzamento della politica europea di sicurezza e di difesa non deve essere esclusivamente di un realismo necessario, tenendo conto delle concezioni e del livello d’ambizione dei nostri partner della NATO nelle loro politiche di sicurezza. Per essere maggiormente inserita nella NATO, la Francia non deve dissipare le ambiguità di alcune delle sue posizioni e chiarire il suo progetto per un’organizzazione che funge da quadro ad una parte considerevole dei suoi impegni militari? ( … ) occorre dunque, per la Francia, definire chiaramente ciò che attende dall’alleanza atlantica, proporre un’articolazione coerente e credibile tra questa e la difesa europea, e darsi i mezzi per promuovere le sue idee in un’organizzazione in cui il suo ruolo politico non sembra all’altezza del suo contributo militare. Durante l’esame nella commissione, Josselin De Rohan ha convenuto che “gli Stati Uniti detenevano le chiavi del futuro del PESD.” Tuttavia si è interrogato sull’interesse che avrebbe Washington a lasciare prendere corpo alla PESD, perchè un’Europa più autonoma rischia di essere meno predisposta a conciliarsi con i desiderata degli Stati Uniti. La situazione è, infatti, complessa. Benoît d’Aboville, rileva che: “( … ) il problema della relazione tra la NATO e l’Ue è anzitutto quello della cooperazione diretta tra l’Ue e gli Stati Uniti.” Ciò implica che questi riconoscano politicamente il suo ruolo internazionale autonomo, un passo che non hanno ancora osato fare finora perché pensano, a torto, che la NATO potrebbe essere indebolita. La rifondazione della relazione transatlantica passa necessariamente da ciò. I risultati per lo meno mitigati della strategia americana in Iraq porteranno forse il successore di G.W. Bush ad una migliore predisposizione. Ancora, occorrerebbe che gli europei avessero una posizione comune da far valere.
Una parte difficile per Parigi
Quanto ai francesi, rimane loro da negoziare meglio rispetto agli anni ‘90 il loro nuovo riavvicinamento con la NATO. Infatti, la Francia ha dichiarato sotto il governo di Alain Juppé (1995 – 1997) di avere l’intenzione di ritornare nell’ordine integrato della NATO. Poco dopo, Parigi ha posto una condizione al suo ritorno: ottenere un grande comando, ad esempio quello dell’Europa del Sud. Dinanzi al rifiuto degli Stati Uniti, Parigi ha cambiato di nuovo la sua posizione e ha chiesto un grande comando per un paese europeo, ad esempio l’Italia o la Spagna poiché la sfida è l’Europa del Sud. Ma Roma e Madrid si affrettate a dichiarare che non vogliono di tale onore. Concludendo, le aspirazioni francesi fanno un buco nell’acqua. L’ambasciatore Jacques Jessel ha formulato l’osservazione seguente: “Un diplomatico debuttante lo sa: se si avvia un negoziato avendo un’esigenza essenziale, occorre formularla prima di assumere un impegno di cui costituisce la condizione sine qua non! La domanda francese di un comando dovrebbe essere abbordata in occasione di negoziati discreti con gli Stati Uniti. Poiché la Francia ha avuto ruoli importanti nella NATO prima di lasciare l’ordine integrato, era logico che Parigi formulasse tale domanda. In compenso, era prevedibile che Washington rifiutasse il comando dell’Europa del Sud, perché include quello del VI flotta americana che gli Stati Uniti non possono ovviamente porre sotto un’autorità
straniera. Parigi avrebbe probabilmente potuto ottenere un altro posto, ma non in questo modo incoerente. Non si poteva farlo fallire meglio. Nel settembre 2007, Laurent Zecchini ha scritto: “Parigi pone fin d’ora due condizioni principali. Un ritorno della Francia nella struttura militare integrata dell’alleanza (Atlantica – PV) può prevedersi soltanto parallelamente a proiezioni sostanziali dell’Europa nella sua politica di difesa. E, in secondo luogo, la NATO deve intraprendere un rinnovamento profondo, che passa per un nuovo concetto strategico ( … ) il ragionamento è il seguente: se la Francia cessa di essere un partner difficile, i suoi partner europei dell’alleanza cesseranno forse di rallentare i progressi della difesa europea.” Quali saranno i fattori d’inerzia? Le rappresentazioni della Francia ereditate della sua posizione precedente saranno difficili da superare? Quale sarà il gioco della Russia? Come la prossima presidenza degli Stati Uniti concepirà le relazioni nella NATO? Nessuno può dire quali saranno i risultati della politica europea di sicurezza e di difesa nel 2025, ma si tratta senza alcuno dubbio di un affare da seguire.
Pierre Verluise, specialista di géopolitica (fonte diploweb.com, trad. di G.P.)