Ultime dalla “crisi”

(17 giugno)
L’articolo di Mauro (subito sotto) chiarisce alcune cose importanti sull’ultimo G8, che ha trattato i temi della crisi. Premettiamo che le opinioni sul fatto che questa scoppi o non scoppi sono contrastanti. Ci sono continuamente indici negativi – fra cui il ballare del prezzo del petrolio (detto volatilità) che comunque tende per il momento all’alto – e altri positivi. Difficile capire se i segnali peggiori provengano, almeno principalmente, dalla finanza o se invece ne sia ormai toccata pure l’economia reale, quanto meno con tendenze alla stagnazione, magari con brevi sussulti di crescita (ma minimali). D’altronde, assistiamo di fatto ad un balletto di cifre e dati ai quali non credo gran che, com’è ben noto a chi mi conosce, poiché sono largamente pilotati e comunque, anche quando non lo siano artatamente, danno adito a interpretazioni contraddittorie, tirate da tutte le parti, spesso del tutto ingannevoli nel giro di qualche mese (qualche volta forse un annetto).
Comunque, sulle cause della situazione critica, e dunque sulle possibili vie di uscita, le idee sono tante, ma forse si possono sintetizzare un po’ all’ingrosso. Vi sono quelli che, come ad esempio Tremonti, pensano fondamentalmente all’eccessiva speculazione mediante futures (su petrolio e commodities varie). Data la mia anglofobia, mi è consentito parlare di operazioni a termine (sia pure con varie complicazioni e arzigogolamenti, che d’altronde conosco poco non essendo portato alla “tecnica”, tanto meno finanziaria)? E di materie prime ed energetiche, standardizzate e facilmente stoccabili e conservabili senza deterioramento qualitativo e con mantenimento, dunque, del proprio valore intrinseco? Si propone non a caso che per operazioni siffatte si debbano depositare obbligatoriamente, in via preliminare, quote superiori (rispetto alle regole attuali) di capitali a garanzia delle stesse.
Gli americani, al contrario, sostengono che non di speculazione si tratta, bensì della normale “legge” della domanda e dell’offerta, tesi ovviamente del più puro liberismo (o mercatismo, termine che piace di più al suddetto Tremonti). Tuttavia, tali tesi non impediscono ai loro sostenitori di adeguarsi – secondo me ipocritamente o altrimenti obtorto collo (per non dare l’impressione di esagerare nel volere sfruttare i vantaggi di un dollaro debole ai fini di dare una sferzata all’economia reale anche a danno dei concorrenti, soprattutto degli “alleati”, cioè subordinati, europei) – alla proposta degli “oppositori” (diciamo così) di mettere in atto misure di rafforzamento del valore del dollaro, poiché essi le ritengono essenziali per contrastare la speculazione.
Anche il russo Kudrin si è allineato alla richiesta di un dollaro più forte in quanto mossa (sedicente) virtuosa di contenimento delle evidenti tensioni inflazionistiche, senza ricorrere a manovre monetarie (l’usuale, e stucchevole, rialzo dei tassi di interesse) che consentirebbero solo la consueta navigazione “tra Scilla e Cariddi”, cioè la stagflazione. Mi auguro che il russo abbia così parlato perché nel “salotto buono” del G8 non bisogna nominare cose sconvenienti, cioè la questione della potenza, della politica quale effettivo orientamento della sfera economica, contro tutte le tesi – non solo neoliberiste, ma anche del marxismo scolastico in quanto puro economicismo – che credono agli automatismi di mercato vigendo il capitalismo (e magari ripropongono, come fanno certi vetero-piciisti, la pianificazione o programmazione da parte del settore “pubblico”).
Intendiamoci bene: non sussiste la possibilità di un controllo completo ed esaustivo dell’economia, per il semplice motivo che non esistono gli andamenti deterministici di processi (non solo economici!) in cui forze contrapposte si scontrino fra loro per prevalere; in casi come questi, quanto più forte è il conflitto e quanto più si è vicini ad un certo equilibrio di potenza tra le forze in conflitto, l’aleatorietà diventa il carattere viepiù evidente dei processi in oggetto. Ho detto più volte che non siamo ancora in una fase policentrica, ne siamo anzi piuttosto lontani (pochi decenni, probabilmente). Tuttavia, nemmeno è presente una situazione di superimperialismo della potenza centrale, ancor oggi nation prédominante; esiste un “imperialismo imperfetto”, e con imperfezioni che sembrano (per favore, evitiamo di blaterare di tendenze ineluttabili e invincibili) in crescita. In ogni caso, la potenza pende al momento in favore gli Usa che, non a caso, mettono sempre “avanti le mani” (quelle della “mano invisibile” del mercato) per non essere disturbati nelle loro manovre politiche (con “qualche ritocco” militare), pur dando soddisfazione “verbale” circa la necessità di favorire la rivalutazione del dollaro, come ha fatto Paulson al G8.
D’altra parte, anche gli “oppositori” si guardano bene dal “prendere il toro per le corna”; parlano dell’aspetto, reale ma di superficie, della speculazione. Non vi è dubbio che, poiché anche la nation prédominante non è un “soggetto unitario e compatto” bensì un coacervo di gruppi dominanti in conflitto; poiché in situazioni simili, in un’economia capitalistica in cui la merce si “raddoppia” (detto alla buona) in denaro, il settore che tratta quest’ultimo si autonomizza, fa i suoi giochi, se ne serve per strategie varie di potere nello scontro tra dominanti, ecc.; a causa di tutto ciò è ovvio che si possa perdere la bussola e arrivare fino ai crack finanziari, e dunque a interruzione dei circuiti anche mercantili con sconquasso generale. Tuttavia, come perfino la grande crisi del 1929 (scoppiata con la maggior virulenza possibile proprio negli Usa) ha dimostrato, chi ha maggior potenza alla fine scarica su altri le conseguenze peggiori, che non sono quelle economiche, bensì la nuova subordinazione ad un centro “imperiale” pur imperfetto (come avvenne allora con la seconda guerra mondiale nei confronti di tutti i paesi europei e del Giappone; ma non è detto che gli eventi debbano ripetersi nelle stesse forme).
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Stiamo comunque “in campana”, per ogni evenienza. Dobbiamo portare avanti proprio un’analisi diversa da quella cui ci hanno abituato ormai da non so quanti decenni, con opposizioni a dir poco devianti e mistificatorie. Abbiamo avuto quella tra mercato e piano (e tra privato e pubblico) fatta passare per lotta tra capitalismo e socialismo (il “gradino inferiore” del comunismo). Fallito miseramente quest’ultimo nel 1989-91, sotto allora con la contraddizione tra neoliberismo e sedicente neokeynesismo riformistico; cioè tra “libero mercato” e forme di dirigismo e “intervento pubblico” decisamente più attenuate (rispetto a quelle del “socialismo” pianificato), che erano una obbligatoria concessione fatta al capitalismo vincente sull’antagonista ormai “affondato”. E ancora: l’interpretazione economicistica più bieca contro quella politicistica più sconfortante; prima con il potere statale quale Demiurgo, in una nuova versione delle vecchie tesi del “capitalismo organizzato” supercentralizzato; poi con la trovata della fine delle funzioni degli Stati nazionali e dunque l’affermarsi di un acefalo superimperialismo delle transnazionali, unite in compatta schiera contro la Moltitudine esistente nel cervello di ben noti personaggi ormai sragionanti (a meno che la spiegazione non debba essere più “maliziosa”).
Non se ne può più! Malgrado tutto, debbo ringraziare il solito Tremonti che, almeno, è uscito da simili giochetti contrappositivi, e ha cercato il “terzo” (evidentemente non escluso) tra mercatismo e statalismo; malgrado sia banalmente tacciato di colbertismo, il che a me non sembra proprio per nulla. Solo che anche lui fa il furbo; ma voglio sperare (per lui) che lo debba fare per non essere ancora una volta buttato fuori dal Governo. Nemmeno lui, se ama restarvi nell’attuale situazione geopolitica, può affrontare direttamente il problema della potenza, perché questo significherebbe nominare chi la possiede ancor oggi in maggior misura, significherebbe affrontare il problema dell’imperialismo imperfetto Usa e, di conseguenza, della necessità di una politica europea più autonoma, di cui l’Italia dovrebbe farsi promotrice; non certo però con la destra e la sinistra che ci ritroviamo! Tremonti non lo può certo fare, sempre che ami restare fra gli “eletti” nella situazione politica odierna. Allora ripiega sui valori di tipologia vagamente cristiana, sul solidarismo, su una certa identità culturale nostra (questo è il miglior “pezzo” che abbia tirato in ballo), sul terzo settore, il volontariato, ecc. Non cose disprezzabili in sé, ma solo se “condite” con altri mezzi del tutto indispensabili per la conquista di un potere effettivo, cioè che produca effetti reali.
E’ sempre quello che scrivevo l’altro giorno parlando di Gramsci in quanto superficialmente considerato da alcuni (di destra come di sinistra) il teorico della conquista del potere via egemonia culturale. No, Gramsci non cercava di andare al Governo e di starci; quindi si consentiva di capire a fondo il Machiavelli, che oggi tanti “sceeeemi” di sinistra (perfino ultra-ultra) vorrebbero mettere in soffitta. Bisogna opporsi a queste banalità, a queste meschine mistificazioni che provengono dagli ambienti più disparati, in un’orgia di cupio dissolvi. Non ha più alcun senso tornare oggi ad essere comunisti; tuttavia, da questi ultimi è necessario almeno apprendere, ancora una volta, a non essere né di destra né di sinistra. Ricominciamo con serietà a porci il problema di una realmente nuova critica che non può più essere quella “dell’economia politica”; siamo in una sorta di età di mezzo, sospesi tra il tramonto di un’epoca – durata molto più del troppo conclamato “secolo breve”; eccessivamente lungo è invece stato – e i primissimi tremolanti lucori della nuova che stenta a dispiegare le ali per prendere infine il volo.
Gaber parlava del vecchio comunismo come di “un gabbiano ideale che aveva perso persino l’intenzione del volo”. Con i “compagni” che ci siamo ritrovati fra i piedi in questi ultimi vent’anni, non poteva essere altrimenti. Adesso sgraviamoci di questi pesi morti e imbocchiamo nuovi sentieri; da qualche parte esiste “la radura”, e lì forse ci sono “gabbiani” meno ideali, bensì reali volatili.