LETTERE SUL “PARTITO”
Egregio prof. La Grassa,
vorrei con questo scritto illustrarle alcune personali riflessioni che mi sono venute leggendo il saggio del prof. Screpanti, persona che stimo dal punto di vista professionale ma che non mi trova d’accordo con lui per molti degli aspetti esposti nel saggio in questione. Condivido l’analisi storica sulle trasformazioni dell’organizzazione denominata partito dal 1700 ad oggi, non invece sulla forma che prenderanno i partiti in futuro. Il prof. Screpanti parla di “partito-nodo” indicandolo in questi termini: “Il modello di partito reso necessario dai nuovi media è quello del partito-nodo. È una comunità di ricerca, di condivisione delle informazioni, di elaborazione teorica, di decisione politica. È una comunità democratica, in quanto tutti i membri hanno le competenze e gli strumenti per partecipare ai dibattiti e ai processi decisionali. Viene meno la necessità di complessi corpi di quadri, viene meno il rapporto gerarchico tra dirigenti, quadri e militanti, viene meno la necessità di grossi finanziamenti. Gli organi direttivi non hanno alcun accesso privilegiato alla conoscenza e all’informazione, sono agilmente controllabili e potrebbero essere facilmente revocabili”.
Non ho ancora visto partiti organizzati in questo modo; o meglio, ho visto tentativi di farlo, che a mio avviso hanno raggiunto risultati molto modesti. Cito come esempio la “Rete del Grillo”(altre organizzazioni minori come il “Partito di Internet” ma si tratta di formazioni senza importanza); faccio notare che questo movimento ha raggiunto risultati abbastanza modesti considerato il clamore fatto; ed ora, che l’onda di “antipolitica” sta passando, anche il consenso inizia a declinare. Si può dire che nello specifico tale movimento è stato osteggiato da più parti, compresi molti media, ma personalmente ritengo che il motivo principale sia un altro. Il cyberspazio, nonostante possa dare infinite possibilità di creazione ed esposizione, rimane pur sempre un mondo virtuale, in cui tutto si può mettere in piedi e tutto si può disfare con estrema facilità.
Basta girare su qualche forum politico per vedere quanti partiti e movimenti nascono, magari costituiti da due o tre persone solamente che si sono incontrate casualmente su internet, aprono un sito e si dicono “partito” (a volte anche con nomi assurdi, tipo: “partito nazional-comunista”, “partito socialista nazionalitario”, ecc.); e tuttavia si nota come spariscono dopo pochi mesi. Tutto ciò proprio a causa di quell’insanabile distanza che separa il mondo reale dal mondo virtuale (internet).Questo perché, se su internet tutto è possibile fare e tutto è possibile dire, trasportare ciò che si è fatto virtualmente nella realtà, è impresa complessa, che richiede doti organizzative e strategiche che su internet non sono necessarie. Si pensi, ad esempio, al fatto che per mandare avanti un blog o un sito su internet basta avere un computer sotto mano, un accesso a qualsiasi ora e per qualche minuto al giorno, mentre per mandare avanti un’organizzazione nella realtà serve molto più tempo ed un luogo fisico in cui trovarsi tutti stabilmente.
Quando il prof. Screpanti afferma che: viene meno la necessità di grossi finanziamenti”, penso che, se non vi sono grossi finanziamenti, nella realtà vi saranno anche pochi mezzi e quindi pochi risultati; uno dei motivi per cui questi “partiti” figli di internet durano poco, credo derivi dal fatto che se non vi sono risultati (preferibilmente grossi) nel mondo reale, anche ciò che esiste su internet è destinato prima o dopo a spegnersi. Sostanzialmente io ritengo la rete più uno strumento d’aiuto a qualcosa che già esiste nella realtà e solo eccezionalmente una fonte per qualcosa che dovrà poi diventare reale.
Secondariamente sento di non trovarmi d’accordo con la posizione del prof. Screpanti in merito all’azione che dovrebbero svolgere i partiti comunisti in questa particolare fase storica. Dice quest’ultimo: “Bisogna uscire da questa logica. I comunisti oggi devono mostrarsi capaci di proporre alle masse oppresse e potenzialmente rivoluzionarie un’idea di come si può uscire dalla crisi avviando un processo di fuoriuscita dal capitalismo, e quindi devono lavorare alla chiarificazione teorica di un modello di società comunista che sia praticabile qui e ora, che sconti i fallimenti del comunismo novecentesco e faccia tesoro delle sue lezioni negative, e che possa essere tradotto in
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rivendicazioni e progetti comprensibili, realistici e convincenti”. Pur considerando valida in linea di principio quest’affermazione, sento di dover muovere alcune obiezioni.
In primo luogo, ritengo che non si possa proporre alcuna idea innovativa a chi non nutre fiducia in noi. Credo infatti che le masse (che definirei più tecnicamente campi organizzativi) vadano innanzitutto riavvicinate e, solo una volta che si sia ricreato un legame fra individuo e partito, si possa iniziare a riproporre loro una visione chiarificata dell’ideologia. Questa considerazione muove da una constatazione che può apparire banale e rozza ma fondamentale: con le idee non ci si sfama. Dico questo, perché nella crisi attuale, personalmente, non vedo molto potenziale rivoluzionario; piuttosto credo che in queste condizioni la gente più che a rovesciare il sistema pensi a riuscire a sbarcare il lunario. Questo, credo, spiegherebbe perché, in condizioni di crisi, ad avanzare siano quasi sempre forze di estrema destra; mentre le forze di sinistra propongono soluzioni astratte e di lungo respiro, quelle di destra “nazifascista” propongono soluzioni a breve termine, che intercettano le istanze immediate di sopravvivenza dei ceti popolari stritolati dalla crisi. Seppur con alcuni distinguo, tale ragionamento vale anche odiernamente per la “questione Lega Nord”.
L’ultima obiezione che muoverei al prof. Screpanti riguarda il seguente passaggio: “Questo soggetto non può essere un nuovo partito, perché ormai non si può più prescindere dalla diversità e dalla molteplicità dei gruppi organizzati. Ma non può neanche essere una semplice coalizione elettorale, perché deve produrre continuità dell’azione politica e quindi non può lasciarsi condizionare dai tempi istituzionali. Può essere una unione o una lega, una federazione di partiti che sia capace di produrre unità e stabilità d’azione pur nella diversità di visioni”. Penso, che una lega o una federazione sia quanto meno inefficace, molto meglio sul piano dell’efficienza un solo partito, eventualmente comunitarizzato. Credo infatti che in una federazione sia difficile, se non impossibile, stabilire dove comincino i poteri “particolari” e dove comincino i poteri “superiori”. Si verrebbe così a creare una situazione di perenne conflitto fra le parti che rischierebbe di fiaccare l’organizzazione. Sono quindi più propenso a credere che un unico partito sia paradossalmente più funzionale.
La stessa Lega Nord ci dimostra come anche un movimento nato dalla fusione di più organizzazioni autonomiste sia in sostanza diventato un’organizzazione unitaria (anche se tenuta insieme da un potere “carismatico”). Tuttavia credo che vada profondamente ripensata l’idea di “partito”. Da molti anni, si tende ormai a considerare il partito come un’organizzazione di propagazione ideologica, di plasmazione della società secondo l’ideologia portata avanti dal partito stesso; qui il prof. Screpanti ha perfettamente ragione quando parla di partito-troupe, e va da sé che i partiti che riescono ad ottenere maggiore consenso sono quelli che hanno accesso maggiormente ai mezzi di comunicazione e hanno maggiori possibilità finanziarie per mantenerli. Per fare una breve digressione, va da sé che anche su internet saranno comunque i partiti dominanti (sia di “destra” che di “sinistra”) maggiormente avvantaggiati, pur non avendo il monopolio assoluto.
Tuttavia nei momenti di crisi la gente cerca risorse concrete e non medianiche, ed è qui che noi possiamo ripensare al ruolo del partito. Riallacciandomi a quello che dicevo prima, ritengo che prima di passare alla proposta del pensiero bisogna guadagnarci la fiducia della massa. Io personalmente credo che i partiti della nuova generazione non dovranno quindi essere “partiti-nodo”, bensì “partiti Toyota”. Credo che i partiti dovrebbero essere tutti costruiti (pur con le opportune differenze) sul modello Hezbollah, ovvero sia un partito che, oltre a propagandare ideologia, si occupi delle condizioni materiali dei suoi iscritti e più in generale della popolazione (con lo scopo di guadagnare consenso).
Ho ritenuto molto interessante l’iniziativa di Rifondazione Comunista di vendere il pane scontato alle persone in difficoltà, pur conscio che “RipensareMarx” non l’ha condiviso. Dico questo perché, anche se è vero che questa era più un’azione da Caritas piuttosto che da partito comunista, il consenso si conquista oggigiorno molto di più dando un pezzo di pane ad un affamato oppure gestendo una scuola per le persone in difficoltà, piuttosto che limitarsi a fare propaganda ideologica; e credo che senza un minimo di consenso non si fanno né scioperi, né manifestazioni, né vittorie elet-
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torali, né tanto meno rivoluzioni. Con questo non significa che io sia per un partito verticistico e burocratico; anzi, io auspicherei un partito che fosse strutturato in cellule comunitarie dove fosse applicata una rotazione dei ruoli, in modo che non vi fossero iperspecializzazioni di ruoli; dove tutti abbiano le conoscenze fondamentali per fare tutto, venendosi così a creare una struttura molto più flessibile ed orizzontale.
Cordiali saluti
Roberto Biancotto, studente universitario
Caro Roberto,
personalmente, non ho una spasmodica voglia in questo momento di discutere sul partito; non mi sembra proprio il “tempo” giusto e adatto. Sono sempre stato contrario del resto ai discorsi sulla forma. Ricordo bene i tempi (anni ’70 e ’80) dei dibattiti sulla “forma Stato” e, anche allora, sulla “forma partito”. Discutere in astratto sulla forma di un organismo mi sembra poco utile. Finora, in concreto, l’unica organizzazione che ha fatto autentiche rivoluzioni è stata quella di struttura leninista. Anche il partito maoista era assai vicino a tale conformazione; quando ha tentato la “forma informe” (e caotica) durante la Rivoluzione culturale, è durato solo finché è rimasto in vita Mao, esclusivamente grazie al suo carisma. Poi alla sua morte, dopo un mese, tutto è crollato. L’organismo rivoluzionario deve essere duro, feroce, inflessibile, senza sfizi “democraticistici”, gerarchico, con grande capacità di movimento quando la “guerra” è di tal tipo, ma con un’unità di comando indiscussa e con la capacità di mantenere le linee di collegamento e di trasmissione degli ordini. Un vero esercito insomma. Poi ci possono essere esigenze di altro tipo – aggiuntive, non sostitutive – nei periodi di guerriglia e clandestinità.
Lascerei perdere gli esempi Hezbollah e Hamas, ecc. dove la religione è un potentissimo cemento; mentre il “marxismo-leninismo”, quando ha tentato di imitare quest’ultima, è stato patetico e del tutto fallimentare. Sono invece contrario, lo ammetto francamente, all’idea di organismi di tipo “francescano” che fanno pura e semplice elemosina. Altrimenti torniamo alle idee e pratiche di Servire il popolo: chi se li ricorda ancora quei ridicoli personaggi, alcuni, fra cui il “grande compagno” Brandirali, finiti non a caso in Comunione e Liberazione? Vogliamo metterci in testa che, nemmeno scoppiasse un nuovo 1929, si torna a situazioni da paese del terzo mondo? Se non si capisce questo, si rischia grosso.
Il nazifascismo ha vinto perché ha senz’altro saputo interpretare meglio l’epoca della “grande crisi”, ma in un momento in cui gli altri paesi capitalistici avanzati erano usciti dalla sua fase più acuta, mentre la Repubblica di Weimar, corrotta e sbriciolata, si dibatteva in convulsioni agoniche. Inoltre, c’era l’umiliazione subita da quindici anni ormai, dopo la fine della Grande Guerra, e una forte ideologia di rinascita impetuosa della potenza nazionale tedesca, nuovamente rispettata e temuta in tutto il mondo. Il nazismo non andava in giro a dare pane a basso prezzo! Dava legnate di santa ragione ai “disfattisti”, a chi non credeva nella Grande Germania. Questo infondeva orgoglio alle “masse”. Ci si ricordi, come “piccolo particolare”, che Hitler si decise a regolare i conti con le SA nel 1934 anche (non soprattutto) per le proteste di grandi industriali come Krupp, che si lamentavano dei propri operai (avete capito? Operai, non capitalisti), i quali facevano continue assenze lavorative per partecipare alle scorribande punitive (assassine) delle suddette SA contro comunisti e oppositori politici in genere. Si sarebbe stati in grado di resistere con un partito-rete o con un partito-elemosina? Non scherziamo, per favore.
Il vero problema è che il partito è uno strumento e basta, nulla più che questo. Non ha una forma definita una volta per tutte; dipende dalle congiunture, dalle fasi storiche. Quanto ho scritto più sopra circa il partito leninista riguardava la congiuntura rivoluzionaria. Oggi non avrebbe senso un partito-“esercito”. Questo non significa però che si possa ripiegare sulla credenza di sfruttare semplici innovazioni tecnologiche. Ogni volta che ce n’è una, si ricreano le solite illusioni. Ci furono
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con la radio, poi con la TV; poi si credé alle “radio popolari” (1977, Déleuze-Guattari, ecc.) e alle TV locali, ecc. Adesso c’è internet. Non serve a nulla. L’innovazione tecnologica non sostituisce la politica (la famosa, inutilmente vituperata, linea). Solo che una linea non s’inventa nemmeno a “sognarla” 365 notti su 365; e nemmeno si costruisce lavorando “duramente” – e del tutto ciecamente come tanti agit-prop da “base” di partito – per 365 giorni su 365. Ci sono tempi ineliminabili, i tempi della fine della vecchia epoca, dello sbrindellamento continuo delle vecchie forze, della trasformazione della vecchia teoria in Talmud (senza nemmeno la Gemara), ecc.
Bisogna accumulare le forze; e si tratta di un processo non dissimile da quello dell’accumulazione originaria del capitale che, come questa, non implica solo incremento quantitativo di nozioni nuove – un incremento inizialmente lento e poi via via accelerato – ma un necessario mutamento di “rapporti sociali”, cioè la consapevolezza e conoscenza delle nuove epoche storiche in gestazione (la cui durata è molto più lunga di quella della vita umana!). Si crede forse sia una banalità l’affermazione secondo cui la “Nottola di Minerva si alza sul far del crepuscolo?” E’ una grande verità; e credere di accorciare i tempi con la mera volontà soggettiva conduce solo alla paralisi del pensiero. La teoria di un’epoca si chiarisce quando quest’ultima è ben installata e matura. D’altronde, la teoria è parte inscindibile di una qualsiasi pratica: “senza teoria rivoluzionaria, niente rivoluzione” (Lenin). Definizione da modificare appena un poco: senza pratica teorica adeguata, ben scarsa incidenza pratico-politica nella fase o congiuntura data.
I nostri blog e sito – ma certo non bastano, anzi rischiano in effetti di scomparire senza un salto di qualità – vorrebbero servire appunto all’accumulo di forze, alla pratica teorica con opera di sbaraccamento di tutto il vecchiume che ancora ci sta sommergendo. Spaliamo con sempre maggior vigore, pur se dobbiamo turarci il naso giacché si tratta di melma putrida e puzzolente. Cerchiamo inoltre di individuare alcuni spunti centrali della pratica politica attuale (solo come esempio ma assai rilevante: bisogna afferrare sempre meglio l’importanza della partita che si sta giocando attorno al nodo Eni-Gazprom, con addentellati “arabi”; quindi attenti ai rapporti Italia-Russia, attenti alle manovre a noi contrarie portate avanti da organismi europei che vogliono favorire il progetto filoamericano e antirusso Nabucco, ecc. ecc.).
Il partito, in quanto forma, non mi sembra adesso servire; rischia di essere un pensiero diversivo che ci allontana dall’obiettivo. Quanto più prenderemo coscienza che questo è lontano, tanto più lo avvicineremo; quanto più penseremo di averlo a portata di mano, tanto più lasceremo in campo la vecchia teoria/prassi e non arriveremo mai – né noi né i nostri successori – alla “meta”. La “Nottola di Minerva” potrebbe allora non levarsi nemmeno più al crepuscolo; potremmo arrivare addirittura alla nuova notte e ad un nuovo giorno ragionando ancora come nel secolo XX.
Cari saluti
Gianfranco La Grassa
PS Sia chiaro, a scanso di equivoci, che ho apprezzato molto gli interventi di Screpanti e il tuo. Sarei anzi molto contento se, un giorno, sia il professore che lo studente, pur magari a diverso titolo e impegno a seconda dei loro impegni e convinzione, diventassero nostri collaboratori. Egualmente, del resto, lo spererei per alcuni collaboratori finora occasionali (tipo Osvaldo e Pasquale) oppure addirittura solo commentatori (sia pure, spesso, in forma di lungo intervento). Sono inoltre convinto della necessità di arrivare fra qualche mese ad un incontro con almeno alcuni amici del blog, per tentare quel “salto di qualità” che sarebbe importante. Bisogna però prepararlo bene nei tempi e modalità (e luogo dove convenire). Speriamo si renda possibile organizzarlo. Dipende anche dagli “amici”.
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