QUALCHE RIFLESSIONE SU “BEHEMOTH- STRUTTURA E PRATICA DEL NAZIONALSOCIALISMO” DI FRANZ NEUMANN

Il saggio “ Contro le Quattro Ideologie” di GLG, neoliberismo (destra), keynesismo-statalsociale (sinistra), trasformazione contro il capitale ( cosiddetti ‘rossi’), trasformazione dentro il capitale (cosiddetti ‘bruni’), mi riporta ad assonanze storiche trattate nell’importante libro di Franz Neumann dal titolo “Behemoth” e con sottotitolo “Struttura e pratica del Nazionalsocialismo.” L’autore, di origine ebrea nato in Polonia e vissuto in Germania, lavorò dapprima come ricercatore economista in Austria poi come importante consulente e docente presso La Scuola superiore di politica durante la Repubblica di Weimar e prima dell’avvento del nazismo,emigrò in Usa. Non a caso il titolo del libro è “Behemoth” che, nell’escatologia ebraica, (insieme al “Leviathan”), è il ‘mostro del caos’, simile al non-stato (del nazismo) dell’illegalità e dell’anarchia, che soffocano i diritti e la dignità dell’uomo. La direttrice della sua ricerca fu il carattere dell’imperialismo nazista e la sua incompatibilità con un regime democratico; un tentativo analitico quello di Neumann, che vada oltre la visione del regime nazismo come mera violenza terroristica ed oppressione delle classi lavoratrici, insieme alla teoria dell’imperialismo razziale proletario con il connotato del “capro espiatorio” che tanta fortuna ebbe anche nel periodo postbellico. Neumann sottolineò l’appropriazione che fece il nazismo di una fraseologia pseudo-marxista e di simboli socialisti, oltre ad una propaganda che tendeva a contrapporre i proletari ai plutocratici e con ciò indurre a credere che dominanti e dominati avessero gli stessi fini. L’autore cercò di andare oltre gli aspetti esterni delle rappresentazioni fenomeniche del regime nazista per interpretare nei movimenti più profondi del capitalismo, il cambiamento della società nel suo insieme. La pubblicazione del libro, nel dopoguerra, fu molto osteggiata in particolare in Germania ed in Italia, nei due paesi con governi a prevalenza socialdemocratica e piciista. Le motivazioni di fondo dell’autore (di formazione marxista), facevano riferimento al legame storico tra presente e passato, nella continuità dei Capitalismi Monopolistici di Stato che sopravvivono nei passaggi d’epoca; il problema della continuità è posta al di là delle responsabilità dei singoli gruppi politici facente parte del gruppo di comando, al governo dell’economia. Il modello del Capitalismo di Stato formatosi in Germania nel dopoguerra rinasceva in copia su quello precedente (nazista): una struttura industriale pesante da guerra, lasciata in eredità e da riciclare in industria civile assieme ad una “economia sociale di mercato,” abbastanza simile alle strutture sociali preesistenti: una continuità, tra passato (nazista) e dopoguerra tedesco composta quest’ultima, da industria competitiva e Stato Sociale in coabitazione tra sviluppo economico e coesione sociale; e da qui, si può partire per ‘uno sgombrare il campo’ dai detriti ideologici ed allargare lo spazio di ricerca a verità storiche sempre sottaciute e inconfessabili ( la storia la scrive il vincitore) e confermare, quello che del resto sottende l’opera di Neumann, verità scomode, soltanto enunciate ma chiare nelle sue implicazioni. Il testo scritto all’inizio della seconda guerra mondiale, rifletteva le ferite di un conflitto devastante e da concludere, ed al tempo stesso l’inizio di una fase ideologica del dopoguerra da contrapporre, nella “Guerra Fredda”.
Due necessità storiche si imposero al vinto (popolo tedesco) che andavano a collocarsi su spazi geopolitici aperti dalla contrapposizione monocentrica dell’area imperiale Usa (mondo Occidentale) rispetto all’altro monocentrismo dell’URSS. Una prima necessità storica nella formazione (continuazione) di una struttura industriale tedesca che potesse garantire il motore industriale dello sviluppo europeo, all’interno del Sistema Usa, in competizione regionale a quello socialista; l’altra necessità (storica), altrettanto visibile nella creazione in Europa di un Socialismo-simil-Statalismo che costituisse un sistema economico di riferimento ed al tempo stesso un cemento ideologico di coesione interna tra socialisti e comunisti (europei) in legame solidale, oltre che in competizione politica con i partiti comunisti dei paesi dell’Est. Mi sembra che queste due strategie d’oltre Atlantico abbiano avuto un loro effetto nel tempo e contribuito ( solo contribuito, perchè la ricerca storica in indagine ed analisi, nei confronti della formazione economica-sociale dell’Urss, è ancora sconosciuta) alla “caduta del muro di Berlino” e, come conseguenza, nell’implosione del sistema
economico-sociale dei paesi dell’Est con annessi partiti comunisti, ed a seguire, lo sfarinamento ed il degrado ideologico di tutti i partiti comunisti europei. Ben si comprende, l’ostracismo nei confronti di Neumann sull’aspetto più controverso espresso nella “natura privatistica” del Capitalismo Monopolistico di Stato, in chiara controtendenza alle tesi “terzointernazionaliste” dei partiti comunisti e (socialdemocratici) che al contrario, attraverso il Capitalismo di Stato intravedevano nella socializzazione dei fattori produttivi, l’occasione storica della classe operaia nel “farsi Stato” con il Socialismo. Il dirigismo Statale ha rappresentato l’ideologia del Capitalismo di Stato attraverso coabitazioni tra (neo)liberismo e simil-keynesismo, alternandosi, in estensioni o restringimenti (apparenti) della mano (spesa) pubblica, così da lasciare indenni gli involucri burocratici, nelle specificità dei Capitalismi Monopolistici di Stato onde sopravvivere ai cambiamenti di regime attraverso lo Statalismo che, come un’araba fenice, rinasce, sullo stesso vecchio ‘corpaccione’ immobile e stantio, in nuove vesti ideologiche ed in apparenti cambiamenti.
Su questa trama, Nueman dipanò lo sviluppo storico della Germania: dapprima nel 1917, con l’Impero ancora in piedi contro i due nemici, comunismo e wilsonismo (liberismo) e, successivamente alla sconfitta della prima guerra mondiale nel 1918, l’ingresso a pieno titolo di partiti in competizione, tra cattolici, democratici, socialdemocratici e comunisti. La nuova carta costituzionale era sostanzialmente scritta dai socialisti e sindacalisti dove però il perno della costituzione ‘della lotta di classe’ era solo enunciata; la potente macchina dello Stato dell’Impero non venne distrutta, la burocrazia deteneva ancora il potere, i grandi proprietari terrieri non furono espropriati. Rimanevano solo i propositi delle richieste della classe operaia che dovevano avere un maggior peso e che invece al contrario, il partito cattolico divenne di fatto, l’ideologia della repubblica di Weimar che, riuscì a trasformare armonizzando gli interessi politici antagonistici, ”attraverso una struttura pluralista, nascosta sotto la forma di una democrazia parlamentare.” Il pluralismo era la risposta del “liberalismo individualistico all’assolutismo dello stato;“ alla base del principio pluralista “vi era il disagio dell’individuo, inerme di fronte a una macchina statale prepotente…Lo Stato (secondo il pluralismo) è ridotto a una istituzione sociale tra le tante e privato del suo potere coercitivo supremo.” I pilastri del sistema pluralistico erano il partito socialdemocratico e i sindacati; soltanto essi nel periodo postbellico (prima guerra mondiale) avevano guadagnato le masse popolari (operai e classe media) alla causa democratica (e rivoluzionaria), altri gruppi reagirono in modo contrario: i grandi proprietari terrieri, il potere giudiziario, schierato con la destra e la burocrazia sostennero i movimenti controrivoluzionari, l’esercito usò ogni mezzo per rafforzare il nazional-sciovinismo al fine di assurgere alla precedente grandezza, i monopoli industriali lottarono accanitamente contro i sindacati ed il sistema politico che dava loro spazio. Quest’ultimo punto è il più controverso della storia di Weimar ed un po’ l’emblema di tutta la storia dei movimenti operai di tutto il Novecento: “ i comunisti consideravano il monopolio come uno stadio inevitabile nello sviluppo del capitalismo e quindi ritenevano futile lottare contro la concentrazione del capitale piuttosto che contro il sistema stesso. Cosa abbastanza ironica, la politica dell’ala riformista del movimento operaio non differiva, di fatto, in misura significativa. I socialdemocratici e i sindacati consideravano anch’essi inevitabile la concentrazione e la vedevano, per giunta, come una forma superiore di organizzazione capitalistica.”
Il pluralismo della repubblica di Weimar introdusse ulteriori elementi di novità in Germania: il crescente intervento dello Stato nel settore industriale ( i più grandi trust della storia tedesca, furono fatti in questo periodo), fece assumere alle vertenze sindacali lo sciopero contro lo Stato mentre al tempo stesso la “regolamentazione governativa” dei conflitti indusse molti operai a considerare inutile l’adesione ai sindacati. Il poderoso ed efficiente sistema industriale tedesco scaturito già dagli stimoli della prima guerra mondiale, attraverso la forte inflazione degli anni venti, permise ad imprenditori senza scrupoli di costruire imprese gigantesche, a spese delle classi medie e lavoratrici. I prestiti esteri concessi alle banche tedesche (e controllate della finanza Usa) dopo il 1924, fornirono all’industria la liquidità necessaria ad ampliare i suoi impianti industriali e permisero ai socialdemocratici un vasto programma di assistenza sociale che rafforzò indirettamente la centralizzazione e la concentrazione industriale ”in quanto le grande industrie potevano assumere
più facilmente gli oneri che comportava rispetto alle piccole e medie imprese. Trust, sindacati e cartelli coprirono così l’intera economia con una rete di organizzazioni autoritarie. Quelle dei datori di lavoro controllavano il mercato il mercato della manodopera e le lobby della grande industria tendevano a mettere il potere legislativo, amministrativo e giudiziario al servizio del capitalismo monopolistico.”
Una storia così controversa della repubblica di Weimar, fece dichiarare al primo ministro socialdemocratico Otto Braun, nel giugno del ’32 quando fu deposto dal colpo di Stato di Hindenburg e Papen, che il fallimento del partito socialdemocratico ed il successo della presa del potere di Hitler, era da attribuirsi ad una combinazione del trattato di Versailles (imposizione dei debiti di guerra) e Mosca (rivoluzione russa). Una interpretazione un po’ riduttiva della storia tedesca, in quanto i trattati internazionali, riguardavano non solo gli obblighi del disarmo e del pagamento delle spese di guerra come parte integrante del sistema legale tedesco, perchè rimase in ombra l’aspetto essenziale del sistema (legale), introdotto dal pluralismo democratico; attraverso il sistema legale, i socialdemocratici insieme agli altri partiti costruirono le loro fortune politiche grazie ai legami con il Capitale Finanziario internazionale (in prevalenza Usa) per il tramite concentrazioni bancarie formatesi ed imposte al sistema economico. Quando la produzione industriale tedesca calò improvvisamente nel 1932, a causa dell’inizio della Grande Depressione dovuta al crollo di Wall-Street, in conseguenza dei forti legami finanziari internazionali, la Germania ebbe ripercussioni dirompenti sull’occupazione, con un calo improvviso di 6 milioni di disoccupati ( a cui si aggiungevano altri 2 milioni di disoccupati invisibili); i contadini del Nord si ribellarono, i piccoli imprenditori si videro rovinati, le banche fallirono, il grande trust dell’acciaio era prossimo alla disintegrazione ed in questo contesto, le forze della reazione ebbero facile gioco. Il “partito operaio nazionalsocialista” tedesco, composto dagli strati sociali più svariati della popolazione coprì di ingiurie i “socialisti coniando l’epiteto di criminali.., e definendoli un partito di corrotti e di pacifisti responsabili della disfatta del 1918, del trattato di Versailles e dell’inflazione.
La storia italiana dei giorni nostri è abbastanza simile al periodo tedesco di Weimar in particolare per quello che riguarda l’aspetto politico del ‘pluralismo associato’ (destra-sinistra) e del pieno asservimento, ai monopoli finanziari delle concentrazioni finanziarie bancarie. La recente elezione di Veltroni a segretario del Partito Democratico è stata salutata dalla stampa di sinistra come la nascita di un nuovo modo di fare politica che avanza nella politica italiana, un ‘asso pigliatutto’ che sblocca ed allarga la democrazia italiana. Mani tese ad un bisogno di sopravvivenza della GF ed ID (Grande Finanza ed Industria Decotta) nel tentativo di allungare in un tempo storico la convivenza allegra della grande impresa assistita di Montezemolo con le grandi fusioni bancarie di Intesa e Unicredito (agenzie finanziarie Usa), insieme al grumo di interessi del gruppo editoriale Rcs in sintonia, con il Partito Democratico, vetrina quest’ultimo di una classe politica che vorrebbe proporsi come importante interlocutore politico degli interessi finanziari e bancari italiani; come dire, ad un decisionismo finanziario italiano che conta ed opera realmente nel senso di far man bassa e ‘spazzolando’ tutto il finanziario-economico residuale, si pone come interlocutore, un partito democratico che cerca di avvicinare quanto più possibile la politica agli italiani, nelle vesti del ‘buonismo-veltroniano’ con un modernismo ‘all’amatriciana.’ . Una sorta di demiurgo della politica (quello di Veltroni) in una versione insolita di ‘cesarismo’ casereccio’, un po’ alla buona, come è possibile soltanto nei confronti di un popolo della sinistra, dove alligna una consuetudine politica, che rasenta la denuncia alla procura per credulità popolare. Un partito ‘democratico’, a vocazione maggioritario fondato sul “primato del cittadino-elettore attivo,” senza tessere, simboli ed alleati e sulla ‘discontinuità,’ guidato dall’interno, da lobby e fondazioni finanziarie (si pensi alla recente concentrazione bancaria veltroniana di Mps-Antonveneta) in cerca di consensi. Se non fosse per il personaggio Veltroni, che conosciamo, osannato come una risorsa storica per l’Italia, una specie di “monarca salvatore,” in una recente dichiarazione di un giornalista di Rai-news (di cui non ricordo il nome) ed ospite in una trasmissione televisiva del “tg,7,” diremmo che la tragedia italiana sta scivolando in una grande farsa che richiama l’affresco storico di Neumann in “Bhemoth”.
La storia non si ripete, ma può trovare una certa (di)assonanza, in paesi come l’Italia, nella sua struttura politica-sociale simile alla repubblica di Weimar, prima dell’avvento del nazismo e nel dominio soprattutto, del Finanziario su tutta l’economia. E’ altrettanto vero che non si ripeterà il fascismo ed il nazismo nelle sue caratteristiche storiche, ma conciliare l’inconciliabile può diventare il grembo di importanti eventi sociali; sarà sempre più impossibile collegare il lato dell’economia a prevalenza finanziaria che tiene in vita un grande gruppo industriale decotto e fuori mercato ( vedi Fiat), all’altro lato della sfera sociale rappresentata, dai salariati, dipendenti ed autonomi, tenuti in vita da manovre finanziarie-fiscali e da una redistribuzione dei redditi, guidata da sindacati istituzionali, foraggiati dai prelievi sulle buste paghe dei dipendenti, simulacri di una rivendicazione salariale disperata e sempre più miserabile; il coacervo sociale prodottosi, quale immagine riflessa di interessi finanziari (ed extranazionali), potrebbe ritornare in vita ed assumere le sembianze della ‘Creatura, un nuovo “FranKestein,” a meno che…
G.D novembre 07