OHI CHE DOLOR!


Il “vuoto pneumatico” (pardon, “democratico”), altrimenti denominato anche “Walter” (o Uolter), aveva iniziato la sua campagna elettorale “rinnovellando” l’antico motivo conduttore del PCI: il patto tra produttori (di questo semmai parlerò in altra occasione, poiché è una questione seria pur essendo finita in bocca al suddetto “vuoto democratico”). La faccenda è durata un paio di giorni, massimo tre, poi Uolter è passato all’ecologia e ha proposto di superare definitivamente petrolio e gas sostituendoli con Sole e vento e simili (comunque energie “pulite” e “alternative”). Poi è passato ai disabili, poi a un reddito minimo garantito di un po’ più di 1000 euro (mi sembra 1100, ma non ho ascoltato con attenzione), poi …..a tante altre cose che è difficile raccapezzarcisi.
Qualche giorno fa, mentre stavo smanettando distratto per perdere un po’ di tempo, l’ho beccato che parlava della nuova sciagura emigratoria che ha colpito l’Italia; un tempo lontano se ne andavano contadini e manovali, adesso siamo in presenza di una calamità ben più grave: se ne vanno i cervelli (contadini e manovali, soprattutto di cent’anni fa, dovevano esserne privi, almeno ascoltando il “nostro”). Il quale si contorceva dal dolore perché lui riceve tante lettere di questi cervelli (cioè dei loro possessori) – che sono nei “migliori istituti di ricerca del mondo” (in specie in Usa) – i quali sembra siano pronti a ritornare se governasse il Pd. E, in conclusione del discorso, prendeva il solenne impegno, se avesse vinto le elezioni, di far rientrare “questi meravigliosi ragazzi calabresi” sparsi nel mondo. Ho avuto un momento di smarrimento, perché non capivo come mai questi “eccezionali cervelli” emigrati fossero proprio calabresi; eppure l’ha ripetuto 2-3 volte. Poi, ho capito (mi scuso per il ritardo, ma ero un po’ preso alla sprovvista) che il “bel tomo” stava parlando in Calabria; non chiedetemi dove di preciso perché pretendete troppo da chi già si vergognava di star ascoltando le sconclusionate frasi di un dissennato.
Mi sono sovvenuto dei primi anni duemila, quando conoscenti di “sinistra” (di quel ceto medio “colto” di cui parlo talvolta con scarso rispetto) mi rompevano le scatole esclamando, con occhi sgranati e una smorfietta di disgusto: ma come ci vergogniamo, quando andiamo all’estero, ad essere rappresentati da Berlusconi. Poveracci, quale nemesi si è abbattuta su di loro in poco più di due anni. Prima i farfugliamenti di “Romano”, poi l’infinita sequenza di 0 (zero) che escono dalla bocca di “Walter”. Ormai però stanno di gran lunga peggio i fan del Pdl. Fino a due anni fa o poco più, potevano contare sul primatista dell’ “insostenibile leggerezza”. Improvvisamente, complici soli 24.000 voti di maggioranza alla Camera, è balzato avanti a tutti un nuovo campione, e il “cavaliere” è stato melanconicamente sorpassato, conservando tuttavia un più che onorevole secondo posto. Adesso è diventato terzo, e con un bel po’ di incollature di distacco dagli altri due. Comunque, non è ancora un brocco: in fondo, i terzi salgono pur sempre sul podio. Ma se per caso perdesse le elezioni o anche pareggiasse? La vedo male per le sue prospettive di mantenere una decorosa posizione nella classifica del “peggio”. Ormai la sinistra si sta riempiendo di campioni della demenzialità.
Comunque per un po’ di tempo possiamo contare sul primato “d’er sindaco de Roma” (sia pure ex, ma un segno indelebile l’ha lasciato). Poiché tuttavia l’uomo è futile ma furbone, immagino gli sia costato molto in fine di campagna elettorale a Napoli ringraziare Bassolino (che però non è salito sul palco assieme a lui) “per tutto quello che ha fatto in questa città e in questa Regione” (sic!). Peggio gli è andata però a Bologna perché Prodi, si, è salito sul palco. Veltroni ha dovuto abbracciarlo, salutarlo “come un grande servitore dello Stato”, mentre l’ormai ex premier si è lanciato in un “vinciamo per continuare quello che abbiamo fatto” (di fronte a tutti, Uolter nemmeno ha potuto toccarsi gli “zebedei”).
Il candidato premier del Pd è talmente squallido e piatto, senza idee nella capoccia, che negli ultimi suoi comizi in Puglia (mi sembra sia stato in quel di Lecce) ha voluto convincere che bisogna votarlo a preferenza di Berlusconi – dopo avere sostenuto che ormai gli manca poco, solo “l’ultimo miglio” (forse quello della Telecom), per superarlo in voti – con il fondamentale ragionamento che quest’ultimo è stanco e che lui avrà la sua età nel 2026. Si scorda, mi sembra, che in Italia i vecchiottelli sono ormai tanti, e la ragione addotta per invitare a sceglierlo ora come premier potrebbe
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invece leggersi come un buon motivo per aspettare a dargli piena fiducia fra diciotto anni. Comunque, le posizioni sono ormai consolidate, anche gli indecisi avranno già deciso se andare o non andare alle urne. Aspettiamo l’esito con lo spirito di un’estrazione di una qualche lotteria (della sfortuna); tanto “questi qui” non risolveranno nulla di nulla, non hanno dato il benché minimo segnale di pensare a qualche misura programmatica realizzabile e dotata di incisività.
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Da anni ormai, in separata sede e a voce (com’è ovvio), andavo esprimendo giudizi precisi, e con termini appropriati e vivaci, circa le capacità di un Padoa Schioppa (incensato da colleghi ipocriti e da giornalisti leccaculo); la sua disastrosa esperienza di governo mi ha dato (in)felicemente ragione. Da anni rilevo la sostanziale mediocrità dei politologi del “Corrierone” (pur paludati, trattati sempre come geni, e con tanto di insegnamento in Università, magari anche americane), a parte l’eccezione di Sergio Romano che è di notevole intelligenza, anche se magari non si è d’accordo con quel che dice ma per posizioni “ideologiche” contrastanti. Ieri, ancora una soddisfazione in riferimento alla prova di ciò che andavo affermando: uno di questi “professoroni”, sul suddetto “Corrierone” (che, ricordando l’editoriale di Mieli nel marzo del 2006 a favore del voto a sinistra, non perde il vizio pur avendo perso lettori), invita a scegliere il Pd al Senato e magari il Pdl alla Camera.
La scusa (del tutto peregrina, ma non avanzata per stupidità bensì per “fare il furbo”) è che così si voterebbe contro “la Casta”. Si dà il caso che la principale Casta è rappresentata da quella quindicina di indecorosi “capitalisti” (finanzieri maneggioni e industriali scadenti) che sono i proprietari controllori della Rcs, e quindi dello squallido giornale su cui scrivono, ben remunerati, politologi (ed economisti) per i quali bisognerebbe ripristinare la sana abitudine della gogna (quella vera, non metaforica). Questi membri sfatti della GFeID – ricordo: grande finanza (imbrogliona, che ha sparso derivati e altra immondizia dappertutto ed è prona alla predominanza di quella americana) e industria decotta (che fa i miracoli con finanziamenti pubblici vari) – non possono perdere il controllo, via sinistra, della spesa statale (e “assimilata”) per ottenere di che sopravvivere (più che lautamente, sia chiaro, mica come ormai almeno l’80% della popolazione).
Queste mignatte sanno che i loro migliori servi (i sinistri) hanno scarse probabilità di ottenere la maggioranza (con il debito premio) alla Camera; si può però approfittare dei premi di maggioranza regionali al Senato [ricordo, per gli immemori, che in origine la legge elettorale, certamente proposta dal centrodestra, prevedeva quello nazionale; i regionali sono stati chiesti e ottenuti da Ciampi che, una volta divenuto senatore a vita dopo la sua presidenza, ha sempre votato per il governo Prodi; con il nazionale, anche nel 2006, avendo la destra ottenuto 250.000 voti in più al Senato, ci sarebbero state due Camere fra loro contrastanti, e ci saremmo così risparmiati due anni di prodismo e padoan-vischismo], per tentare il pareggio in quel ramo del Parlamento, impedendo perciò che governino coloro che rischiano di non essere perfettamente allineati rispetto alle loro esigenze.
Altro che “addosso alla Casta” (i politici, certo squallidi e impresentabili, lo so bene). Innanzitutto, invece, addosso a questi parassiti finanziari e industrial-decotti. Purtroppo, ed è il vero motivo per cui ci si deve astenere, nemmeno la destra – se andasse al governo – avrebbe il coraggio di approfittare della crisi prossima ventura almeno per sbaraccare questa GFeID; anzi, si piegherà e tenterà mille compromessi, facendo ancora una volta finta (come già sempre in passato) che si possa governare senza affondare il coltello in questa autentica piaga nazionale. Una “forza sana” (si fa per dire) dovrebbe, proprio come misura di “sopravvivenza nazionale”, prendere a calci (non metaforici) i vertici confindustriali, quelli dei principali istituti finanziari, cambiare dall’oggi al domani il governatore della Banca d’Italia (e anche ripulirne “gli angolini” delle “stanze alte”), sbattere fuori dai Ministeri tutti i pelandroni che la sinistra vi ha infilato fino a pochi giorni fa (e che saranno sempre zavorra per chi vuol cambiare il paese), dare poteri speciali invece ai vertici (e cambiarli se non sanno usarli) di aziende tipo Eni, Finmeccanica, Enel ecc. Bisogna mettere in riga le varie municipalizzate dell’energia, in mano alla sinistra tipo la Hera di Bologna e altre; non invece pensare
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di avvantaggiarle con la separazione di produzione e rete di distribuzione, mossa che creerebbe difficoltà all’Eni e ci metterebbe in frizione con la Gazprom, cosa che certo renderebbe felici gli Stati Uniti. Figuriamoci se un Tremonti (probabile Ministro dell’economia e che è comunque “er mejo”) saprebbe prendere simili misure, lui che vorrebbe “difenderci” dalla concorrenza dei prodotti cinesi (“rob de matt”).
E’ evidente che non ci si difende da soli dalla crisi incipiente, e che viene adesso scoperta (e prevista per i prossimi due anni) anche dal FMI, fino a pochi mesi fa stupidamente ottimista [si tenga presente anche il recente documento OCSE che mette l’Italia all’ultimo posto, dopo Portogallo e Messico, per quanto concerne la produttività. Non è che mi impressionino i dati, mai “oggettivi ed esatti” come si pretende; che però siamo un paese in panne, lo si vede “a occhio nudo”]. Tuttavia, lo ripeto, le crisi sono anche momenti “buoni” per sistemare alcune “faccenduole” interne. Se siamo molto simili alla Repubblica di Weimar (altro parallelo che vado facendo da due-tre anni e cui, ultimamente, hanno accennato alcuni personaggi con facile accesso ai media), dobbiamo aspettare l’equivalente dei nazisti per uscirne? Non è possibile cercare qualcosa di diverso? C’è però una scelta che non può essere evitata: questa sinistra – e, malgrado l’attuale pantomima solo elettorale, sia chiaro che “moderata” e sedicente “radicale” vanno prese insieme – deve essere spazzata via, comunque scompaginata e dispersa. Ripeto ancora: dobbiamo aspettare che lo faccia qualche movimento anche soltanto un qualche po’ simile a quello del 1933 in Germania? Non si riesce ad “escogitare” un’altra soluzione?
Tuttavia, non si creda di sfuggire a certe scelte. Il cancro del paese è la GFeID; o la crisi (grave o meno che sia, non è questo l’aspetto decisivo se non per i “cervelli di cemento” che si aspettano da essa, per l’ennesima volta, la “fine del capitalismo”) serve a metterla infine in condizioni di non più nuocere, dopo almeno un quindicennio che imperversa nel paese portandolo sempre più in basso, oppure andremo incontro a tragiche avventure. Non dico domani, ma nemmeno fra secoli. Per sconfiggere le sanguisughe finanziario-industriali bisogna smantellare innanzitutto questa sinistra; questa destra però – con il suo forsennato filoamericanismo e il corollario rappresentato dalla falsa e servile democrazia “elettoralistica”; con la sua buona dose di sciocco razzismo; con la sua cronica debolezza e inettitudine ad affrontare i nodi essenziali dello scontro con la GFeID e i suoi servi di sinistra – è del tutto incapace di risolvere il problema che ormai da non so quanti anni è sul tappeto (e ci sta mettendo al tappeto).
Questa, a grandi linee, la “fotografia” della nostra situazione. Da solo non sono in grado di indicare – e nemmeno ho intenzione di pensarci (da solo) – quale potrebbe essere la via da intraprendere per uscire dall’impasse. Mi limito a indicare i dati del problema; ci pensino un po’ anche gli altri. Altrimenti, aspettiamo la precipitazione degli eventi: sicura nel se, incerta nel quando. Fate voi….
PS Il Pd ha adottato come motto: “yes, we can”. Nel suo inno, trovato in rete, si ripete ossessivamente “I’m Pd”. Questo è linguaggio da bassa provincia dell’Impero (americano); una provincia disgustosamente prona e strisciante. Chiunque vota Pd, deve sapere che vota per un’Italia serva degli Stati Uniti; con loro diritto di saccheggio riconosciuto e ben protetto da organi istituzionali e settori economici senza la benché minima autonomia decisionale. Almeno si abbia il coraggio di dire apertamente di voler essere dei puri leccapiedi, dei miserabili che chiedono l’elemosina al “più potente”, accontentandosi di qualche “pacca sulle spalle” (e di molte buone “pedate sulle palle”), sentendosi solo riconosciuti come i più stupidi imitatori della “splendida” democrazia made in Usa. Almeno che questo sia detto a chi vota a sinistra, credendo di differenziarsi dagli altrettanto disgustosi ammiratori di destra di quell’arrogante e prepotente paese. Non vi differenziate affatto: siete servi e particolarmente sciocchi, vi si compra con “du’ baiocchi”. Il “walterone” vo’ ffa’ l’amerikano. Gli si faccia attraversare l’Atlantico a suon di calci. Visto che non si decide a mantenere la sua promessa di andare in Africa, si domicili in una “linda” casetta di fronte alla residenza della coppia Clinton e passi le sue inutili giornate ad ammirare come vivono.
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