Quale strategia di potenza per il Pakistan?
fonte www.infoguerre.com
Dopo la suddivisione del 15 agosto 1947, è stato costituito un paese totalmente nuovo: il Pakistan. Questa parola fu inventata da un giovane del Pendjabi negli anni ’30: ciascuna lettera che compone la parola Pakistan fa riferimento alle varie province che compongono il paese (P=Punjab, A=Afghania, K=Kashmir, S=Sindh e TAN=BelucisTAN). All’epoca il paese era formato da due entità geografiche distinte: Il Pakistan occidentale e quello orientale (l’attuale Bangladesh).
Sin dalla sua creazione il Pakistan ha cercato di accedere allo statuto di potenza egemone divenendo un modello per tutto il mondo mussulmano. Malgrado i mezzi ridotti e gli antagonismi etnici, religiosi e linguistici, che hanno condotto a divisioni interne molto forti, il Pakistan è riuscito a divenire un attore di primo piano nello scacchiere geopolitico, sia dal punto di vista regionale che da quello mondiale. Inoltre è uno dei principali alleati degli USA nella guerra al “terrore islamico”. Ci si deve interrogare sulla natura di questo paese che è riuscito ad assurgere al ruolo di potenza regionale, se non addirittura mondiale, e che fa parte del club delle 8 potenze nucleari. Qual è la strategia di potenza del Pakistan? E quali i fattori? Come si manifesta questa potenza? La sua alleanza con gli USA è tattica oppure solo opportunistica? (ed in quest’ultimo caso, deriva esclusivamente dal timore di non essere toccato dalla stessa sorte dei taliban in Afghanistan?).
Un paese in cerca della sua identità nazionale
Il padre fondatore del Pakistan, M. Alì Jinnah, sognava di creare uno stato forte che riposasse sul principio “una nazione, una cultura, una lingua”. Il Pakistan attuale è ancora molto lontano da tutto ciò ed è sottoposto a molte divisioni etniche, religiose e linguistiche. Queste fratture hanno reso complicato il processo di unificazione nazionale, impedendo al Pakistan di approntare una strategia di potenza duratura.
L’islam come vettore di unità nazionale
La lega mussulmana, costituita da mussulmani che erano emigrati dall’India chiamati “mohajirs”, ha sostenuto fortemente la nascita di questo paese. Il suo scopo era quello di proteggere i mussulmani indiani. Questi mohajirs, benché fossero una minoranza senza radicamento locale, a differenza dei pendjabi o dei bangladeshi, hanno permesso che lo Stato creato si cementasse sull’ideologia islamica. Era l’unico modo per superare tutti i contrasti etnici e culturali derivanti dal meltin pot pakistano. Tutti i presidenti succedutisi a Jinnah si sono, non a caso, richiamati all’islam. Sin dalla prima Costituzione del 1956 è stato stabilito che l’islam avrebbe dovuto essere il collante dell’unità nazionale. Il Generale Ayub Khan, il quale salì al potere nel 1958, fece scrivere nella Costituzione del 1962 che le leggi dello Stato non dovevano contraddire la sharia. Zulfukar Alì Bhutto pose i fondamenti di una vera politica d’islamizzazione nella Costituzione del 1973: venne sancita la corrispondenza tra ordine statale e ordine religioso a base islamica. Il Generale Zia, che rimpiazzò Bhutto nel ’77, mantenendo le redini del potere fino al 1988, mise in opera una politica d’islamizzazione ancora più forte. Nawaz Sharif,
l’ultimo civile ad aver governato il Pakistan, fece introdurre un emendamento nella Costituzione pakistana secondo il quale lo Stato federale era tenuto ad applicare la sharia. Lo scopo di questi uomini era quello di dare al paese, attraverso l’islam, un’unità che oltrepassasse le differenze regionali.
Il Pakistan è un paese dove la maggioranza della popolazione è mussulmana, ma è altresì caratterizzato da una divisione fortissima tra sciiti e sunniti, ed all’interno degli stessi sunniti tra deobandi (riformisti) bareviti (tradizionalisti) e wahhabiti. I sunniti si considerano come i soli veri mussulmani ed hanno spesso cercato di far passare gli sciiti come non mussulmani.
Diversità di popolazioni e tensioni etniche
Il Pakistan è una creazione dei mohajirs, letteralmente gli emigranti. Nel 1951 essi rappresentavano 1/5 della popolazione del Pakistan occidentale e circa il 2% di quello orientale, sono 7 milioni di persone in tutto. Già subito dopo la nascita del Pakistan, l’influenza dei mohajirs nella politica e nella società pakistane era superiore alla loro grandezza numerica. Forti della loro elite intellettuali e commerciali molti di loro si sono insediati nelle città del Sind, in particolare a Karachi. Questi hanno dominato lo Stato attraverso la lingua mussulmana, la funzione pubblica e le professioni liberali. Non da meno sono stati i pendjabi, per quanto quest’ultimi si fossero mostrati reticenti verso l’idea di costituire il Pakistan; i pendjabi hanno conservato il potere che già detenevano nelle province prima dell’indipendenza cercando di estenderlo al paese intero. Secondo il censimento del 1951 essi non rappresentavano che 1/4 della popolazione ma formavano l’80% degli effettivi dell’esercito e occupavano il 55% dei posti amministrativi. I pendjabi occupano, inoltre, le terre più fertili del paese. Questo spiega come, accanto al gruppo dei mohajirs che detiene posizioni importanti nell’amministrazione e nel potere esecutivo, i pendjabi abbiano potuto avere un posto determinante nel Pakistan degli anni ’50. Questi due gruppi non hanno la stessa cultura politica e nutrono divergenze politiche, con interessi soci-economici profondamente dirimenti. Per la loro difficoltà d’integrazione culturale e sociale i mohajirs furono poco a poco esclusi dal potere. Questo declassamento fu sancito con il colpo di stato del 1958, da parte di un generale pendjabi, tale Ayub Khan. Dopo la secessione del 1971 del Pakistan orientale, i pendjabi sono divenuti circa il 69% della popolazione e sono iperrappresentati anche nell’esercito dove occupano il 70% dei posti. Tuttavia, è un sindi, Z. Alì Bhutto, che succederà a capo dello Stato. Di fatto Bhutto concluderà con i pendjabi un accordo tacito per dividere la dominazione del paese tra pendjabi e sindi. Dopo la destituzione di Bhutto, con condanna a morte prontamente eseguita, il movimento nazionalista sindi conobbe una forte esacerbazione. Ma Zia, il successore di Bhutto, favorirà nuovamente i pendjabi a danno dei sindi. A questo seguirà una forte repressione del movimento sindi. Dopo una prima riappacificazione, i giochi politici porteranno al potere la figlia di Bhutto, la quale diverrà Primo Ministro. Questa alternanza incoraggerà i sindi a sottoporsi allo Stato pakistano abbandonando le velleità indipendentiste. Ma nel momento stesso in cui i sindi arretreranno, due altre minoranze, i beluci e i pashtun, attiveranno il loro nazionalismo. Nel Belucistan, il movimento fu sottoposto ad una dura repressione militare che fece 5300 vittime. Il generale Zia giunse, tuttavia, a pacificare una parte dei nazionalisti liberando migliaia di prigionieri e amnistiando quelli rifugiatisi in Afghanistan. Il
principale pomo della discordia esistente tra beluci e potere centrale concerneva i diritti di sfruttamento dei giacimenti del gas. Una volta ancora i conflitti economici precedono quelli identitari. Ma il prammatismo crescente dei beluci, con le divisioni tra gli stessi leader autoctoni, le alleanze stringenti con i partiti nazionali e l’erosione del loro militarismo, hanno portato allo spegnimento del loro “foco” autonomista. Quanto alla comunità dei pashtun, invece, principalmente situata nella zona tribale, essa rivendica la creazione di uno Stato pahstun indipendente e la riunificazione con l’etnia pashtun afghana. Per questo c’è stato un problema di frontiere con l’Afghanistan, anche se queste rivendicazioni sembrano non essere più attuali. Tutti questi gruppi etnici difendono esclusivamente i loro interessi. Ciò determina molte tensioni che sfociano inevitabilmente nell’instabilità politica dell’intero Pakistan.
problemi “etnolinguistici”
Sotto l’impulso dei mojahjirs, l’urdu è stato promosso al rango di lingua ufficiale, anche se l’inglese resta la lingua della elite dominante e quindi dello Stato. Sono stati, comunque, profusi molto sforzi per promuovere l’urdu a lingua principale di tutto il Pakistan. La Costituzione del 1973 stabilisce che la lingua ufficiale del Pakistan è l’urdu. Il Generale Zia, al potere dal ’77 al ’88, è stato, per sua parte, uno strenuo difensore dell’urdu imponendo il suo insegnamento fin dalle scuole materne. Questo ha creato forti tensioni linguistiche tra le diverse comunità che compongono il paese. L’identità culturale rivendicata dai Bengalesi illustra perfettamente la situazione nella quale si sono ritrovate tutte le etnie pakistane quando l’urdu fu proclamato lingua nazionale. Il Pakistan orientale aveva, ad esempio, proposto che la sua lingua, il bengalese, fosse scelta come lingua dell’insegnamento, della giustizia e dell’amministrazione per tutta la parte orientale. Del resto, guardando al peso che tale etnia ricopre (il 56,4% della popolazione dichiara che il bengalese è la sua lingua madre contro il 3,37% che dichiara di parlare l’urdu) tali rivendicazioni apparivano più che giustificate. Tuttavia, le istanze dei bengalesi furono presto rigettate in blocco dai dirigenti del nuovo Stato, con base a Karachi, per timore di perdere il potere. Queste diatribe linguistiche furono all’origine della nascita del movimento autonomista della lega di Awami e del suo leader S.M. Rehman. La Lega combatterà contro i poteri costituiti per i ben noti motivi di sottorappresentanza dell’etnia bengalese (nel governo, nelle forze armate, nella amministrazione) nonostante questa fosse accreditata tra le più numerose del Pakistan.. Nel 1971, dopo la repressione del movimento indipendentista bengalese sotto la spinta militare dell’esercito pakistano (in questo conflitto morirono da uno a tre milioni di persone), il Bangladesh riuscì ad acquisire l’indipendenza grazie all’intervento dell’India. Questa separazionetra le due anime del Pakistan è il simbolo del fallimento di un’unità nazionale basata sull’islam. I bengalesi, nonostante fossero anch’essi mussulmani, hanno voluto comunque affermare la loro appartenenza linguistica e culturale contro il potere centrale in mano ai pendjabi. L’idea originaria di un paese unito dalla religione ha fatto un vero e proprio buco nell’acqua perché le appartenenza etnolinguistiche hanno prevalso su quelle confessionali. Nel mosaico pakistano, dopo il 1971, i pendjabi rappresentavano il 56% della popolazione, i sindi il 17%, i pasthun il 16% e i beluci il 3%, senza contare le etnie dell’estremo nord tutte portatrici di altrettante lingue tribali. Tutte queste divisioni hanno fatto e continuano a fare del
Pakistan un paese percorso da tensioni interne multiple. Questi conflitti minano la coerenza interna dello Stato e impongono di trovare nuove soluzioni per l’avvio di una vera politica di potenza.
Il Pakistan sullo scacchiere internazionale
Questo paese, creato praticamente ex-novo, cerca di assicurarsi la sopravvivenza dovendo fronteggiare un vicino davvero ostile come l’India. Già nel 1948 i due paesi si sono affrontati nella guerra del Cachemire. Quest’ultima si è conclusa con una divisione in due parti dello stesso Cachemire e con il tracciamento di una linea di confine (fortemente instabile) tra i duellanti. Nel mezzo della Guerra Fredda, il Pakistan divenne alleato degli USA nella speranza di preservare la sicurezza del paese. L’avvicinamento agli Usa iniziò già prima della decolonizzazione, con Jinnah il quale si era recato al consolato di Bombay per offrire i suoi servigi al governo degli Stati Uniti. Quest’alleanza si concretizzò nel 1954 con la firma di un accordo di mutuo sostegno di difesa che per il Pakistan significò, soprattutto, poter importare massicciamente armi statunitensi. Tuttavia, si è trattato di un accordo piuttosto ambiguo a causa d’interessi dirimenti tra la potenza mondiale e la nascente potenza regionale. Mentre il Pakistan tentava di premunirsi contro l’invadenza indiana, l’altra, gli USA; nella logica dei blocchi contrapposti, cercava di porre sotto la propria egemonia una serie di paesi che avrebbero potuto finire sotto l’ala sovietica.
Il Pakistan s’integrerà velocemente in due sistemi d’alleanze militari:
– L’Organizzazione del Trattato dell’Asia del Sud-Est che con la firma del patto di Manila nel settembre 1954 tenderà a formare un arco di protezione dalle Filippine fino al Pakistan medesimo. Quest’alleanza promossa dagli Usa aveva lo scopo di porre un freno allo sviluppo della potenza cinese in queste regioni
– L’Organizzazione del Trattato Centrale che con la firma del patto di Bagdad va a raggruppare paesi mussulmani come la Turchia, l’Irak, l’Iran… quest’accordo permetteva agli USA di rafforzare una cintura di protezione contro l’avanzata sovietica verso il medioriente e l’Asia centrale.
Ma l’avvicinamento tra Pakistan e Usa è stato sempre mal visto dagli Stati arabi che non avevano voluto riconoscere il Pakistan. Questo paese, che aveva come ambizione quella di essere un grande rappresentante del mondo mussulmano, diverrà presto infrequentabile in virtù tali legami con gli Stati Uniti, nonostante fosse impegnato nel sostegno della causa palestinese. Nell’affare del Cachemire, i paesi arabi-mussulmani non sosteranno mai il Pakistan. Del resto l’India stessa, pur essendo esclusa dai trattati stipulati tra Pakistan e Usa, ha sempre mantenuto il suo statuto di “non allineata” non mostrando, nella sostanza, grande ostilità alla superpotenza statunitense. Nehru intrattenne rapporti privilegiati con Russia e Cina (riconoscendo immediatamente quest’ultimo paese dopo la rivoluzione comunista ed invitandolo alla conferenza di Bandung nel 1955). Ma la rapida disfatta dell’India contro la Cina, nell’ottobre 1962, segnò un’importante cambiamento di strategia. Il Pakistan ne approfittò per avvicinarsi alla Cina in funzione anti-indiana. Nel 1965 l’India e il Pakistan saranno di nuovo in guerra l’una contro l’altro ma la situazione del Cachemire non approderà a nessun cambiamento in seguito a tale conflitto. Nonostante il sostegno più volte proclamato
dagli USA nei confronti del Pakistan, la prima stabilirà un embargo sulle armi a danno del pesete mussulmano. La terza guerra indo-pakistana segnerà la disfatta dell’esercito pakistano contro l’insurrezione del Pakistan Orientale (appoggiato dall’India) con il Bangladesh che riuscirà ad ottenere la tanto agognata indipendenza. Il Pakistan, ovviamente, non riconoscerà il Bangladesh per molti anni. Solo con gli accordi di Shimla del 1972, verrà annunciato il regolamento di tutti i conflitti con l’India, attraverso una serie di discussioni bilaterali. Si parlerà dello “Spirito di Shimla”. Più della disfatta dell’esercito pakistano in questa guerra, quello che verrà considerato come una vera e propria umiliazione sarà il tradimento americano e la cessazione del sostegno USA alle aspirazioni di questo paese. La strategia pakistana di avvicinamento agli Usa non aveva soddisfatto, e questo già a partire dal 1954, i pakistani più attenti. Tale strategia aveva permesso il riconoscimento repentino del nuovo Stato ma, in termini di alleanze militari, non aveva garantito nessun reale vantaggio contro l’india, né alcuna pressione internazionale efficace sulla vicenda del Cachemire. Tutto ciò stava compromettendo la solidarietà panislamica sottesa al rafforzamento del paese. L’arrivo al potere del carismatico ZulfuKar Ali Bhutto aprirà la via al cambiamento della strategia pakistana che riprenderà a virare verso il mondo islamico.
Il Pakistan: una potenza islamica?
All’indomani della secessione del Bangladesh, il Pakistan di Bhutto aveva messo in pratica una strategia di espansione e d’influenza in Asia centrale al fine dell’acquisizione di una migliore “profondità” strategica con lo scopo di creare una vasta zona panislamica di fronte all’India e all’Impero Sovietico. L’islam, parte integrante dell’identità nazionalistica pakistana, dal 1971 rappresenta lo strumento più performativo di tale strategia di potenza e fa da controllo e da sostegno ai principali gruppi jihadisti, i quali costituiscono l’arma più efficace della politica estera pakistana. L’avvicinamento agli altri paesi mussulmani iniziò con la quarta conferenza islamica del febbraio 1974 a Lahore. In seguito a tale iniziativa il Pakistan diverrà un paese “frequentabile” e il riconoscimento del Bangladesh ne sarà l’ennesima conferma. La strategia d’espansione islamica si rafforzerà sotto il regime del generale Zia. Quest’ultimo dopo aver preso il potere, il 5 luglio 1977, ed imposto la legge marziale, sposerà in pieno la necessità di uno Stato islamico forte in contrasto all’idea della costituzione di un mero Stato-nazione. Egli applicherà una violenta politica d’islamizzazione per riformare il paese: applicazione della sharia, giustizia ispirata al corano, sviluppo delle madrasse. La rivoluzione islamica in Iran e l’invasione dell’Afghanistan, da parte delle truppe sovietiche nel 1979, faranno del Pakistan il maggiore alleato degli USA nella regione, con conseguenti aiuti militari ed economici sempre più copiosi da parte di Washington. Il generale Zia non sarà più considerato come un paria e gli americani dimenticheranno persino l’economia della droga con la quale il Pakistan si garantiva enormi entrate economiche.
Il Pakistan riceverà 3,2 miliardi di dollari nel 1981 e più di 7,2 miliardi fino alla fine degli anni ’80. Nel 1981 esso riceverà, altresì, un prestito da 1,6 miliardi di dollari dal FMI e un sostegno finanziario dall’Arabia Saudita, la quale avvierà un vasto programma d’investimenti in tutto il Pakistan. In questo periodo si esacerberà anche la lotta d’influenza con l’Iran, quest’ultimo cercava di esportare la sua rivoluzione islamica
facendosi forte del 20% della popolazione pakistana di confessione sciita. Ancora, in questa fase, inizierà la grande emigrazione di lavoratori pakistani verso i paesi arabi. Tutti questi aiuti, in gran parte americani, favoriranno il potenziamento economico e militare del Pakistan. Con queste risorse verrà finanziata la guerriglia in Afghanistan ma verrà anche garantito il rafforzamento dell’esercito pakistano. Il Pakistan organizzerà, inoltre, l’esercito dei mujahidin, garantendosi il controllo di tutti i gruppi operanti in Afghanistan e favorendone, tra questi, i più radicali in assoluto (pashtun Hezbollah).
Durante la guerra afgana si formerà una rete islamica internazionale con sede in Arabia Saudita che parteciperà finanziariamente alla guerra santa (altri paesi fortemente coinvolti saranno la Giordania e lo Yemen). Dopo la morte del generale Zia (1988) e la caduta dell’impero sovietico, il Pakistan continuerà la sua politica afgana sostenendo anche i taliban, a partire dal 1994. Parallelamente tenterà di applicare la stessa strategia afgana nel Cachemire, sostenendo e finanziando i gruppi jiadisti lì presenti.
Adesso possiamo passare al ruolo specifico che l’ ISS (i Servizi Segreti pakistani) svolge nello sviluppo della politica estera di questo paese dalle mille contraddizioni.
L’ISI: strumento della strategia di potenza
E’ attraverso l’ISI (i servizi segreti pakistani creati nel 1948) che il Pakistan esercita la sua politica di strumentalizzazione del mondo islamico e quindi del sostegno e del controllo dato ai vari gruppi jihadisti impegnati contro l’occupazione sovietica ma anche nella guerra del Cachemire. In Pakistan, l’ISI agisce come uno Stato nello Stato costituendo l’arma più performativa della politica estera pakistana. Le sue funzioni sono molteplici: raccogliere informazioni, mettere in atto il controspionaggio e svolgere operazioni di polizia interna sorvegliando la società e gli uomini politici. La sua influenza sulla strategia militare e politica del Pakistan è enorme e diverrà fortissima sotto il regime del Generale Zia, lui stesso venuto da tali ambienti.
L’ISI ha avuto un ruolo politico e militare nella guerra in Afghanistan: ne ha definito la strategia, ha partecipato alle operazioni di terra, ha trascinato gli uomini e controllato la ripartizione dei finanziamenti (quelli internazionali, soprattutto americani) tra i differenti gruppi jihadisti. Dal 1983 al 1991, si stima che 83.000 uomini hanno combattuto sotto il Gruppo dei Servizi Speciali dell’esercito che dipende direttamente dall’ISI.
L’ISI è, altresì, intervenuto nel Cachemire attraverso gli aiuti militari e finanziari forniti a numerosi gruppi terroristi (in particolare, ai più radicali) nella lotta per l’annessione del Cachemire al Pakistan.
L’ISI ha ugualmente sostenuto i taliban (guidati dal mollah Omar) sin dal 1994 ed ha avuto un ruolo attivo nella presa di Kabul e dell’intero paese. Questo sostegno si arresta ufficialmente nel 2001, quando gli americani e i loro alleati invaderanno l’Afghanistan. Il Presidente pakistano ha dovuto rompere un’alleanza che durava da molti anni.
Questa strategia di strumentalizzazione e di sostegno ai gruppi islamici integralisti attraverso l’ISI s’inscrive pienamente nella strategia pakistana d’espansione indirizzata alla creazione di uno Stato panislamico in Asia Centrale in funzione antisovietica e antindiana.
Il Pakistan: una potenza nucleare
Il fattore militare resta, ancora oggi, uno di quelli più evidenti della potenza di un paese, soprattutto perché si tratta di un fattore ampiamente quantificabile. Inoltre, fornisce ad uno Stato la possibilità di mostrarsi come una potenza, regionale o internazionale, semplicemente basandosi sugli arsenali a disposizione. Sotto questo punto di vista, lo sviluppo del nucleare pakistano è una chiave di lettura interessante per cogliere la forza di una eventuale strategia di potenza.
Il nucleare viene generalmente sviluppato per due ragioni: è un mezzo di distinzione e un mezzo di contestazione. Innanzitutto, è un mezzo di distinzione perché permette alle potenze che lo detengono di appartenere ad un club ristretto. Questo club ha due funzioni: organizzare la dissuasione reciproca e impedire ad altri di appropriarsi di tecnologia nucleare (da qui gli accordi di non proliferazione). Ma il nucleare è anche un mezzo di contestazione perché permette di affermare la propria forza contro quella di altre potenze nucleari o di altri paesi che hanno armi di distruzioni simili. Così, raggiunto lo status di potenza nucleare il Pakistan ha potuto integrare queste due caratteristiche nella sua strategia di potenza.
In effetti, l’arma nucleare pakistana ha per scopo fondamentale quello di dissuadere il suo vicino indiano da piani bellicosi mai definitivamente deposti. La storia dello sviluppo nucleare pakistano indica, appunto, che si tratta del primo effetto ricercato da tale programma. Il nucleare civile fece la sua prima apparizione in Pakistan con la creazione della commissione dell’energia atomica nel 1957, 10 anni dopo lo sviluppo del piano atomico indiano per utilizzi civili. Ma contrariamente all’India, che progettò l’uso militare della tecnologia nucleare sin dagli inizi, il Pakistan si mostrò restio a tale opzione fin al 1971 (disfatta militare contro l’India) e solo dopo i primi test nucleari indiani si convinse della necessità di agire nello stesso modo. Il programma nucleare fu allora lanciato con l’aiuto della Francia che rimarcò il deterioramento dei rapporti con gli USA, quest’ultimi fecero di tutto per bloccare tali attività autonome. Il Pakistan avrà accesso al militare nucleare nel 1987, anno nel quale il padre della bomba pakistana, Abdul Qadeer Khan confermerà, in una intervista, il ruolo avuto dalla C.I.A. nell’ottenimento del nucleare militare da parte pakistana. Questa verità diverrà lapalissiana con i primi test nucleari che permetteranno al Pakistan di sedere in quel ristretto club di potenze nucleari del quale abbiamo già parlato, correva l’anno 1998. Si comprende come lo sviluppo del piano nucleare pakistano sia stato una risposta al medesimo indirizzo seguito dall’India. A questi test seguirono delle sanzioni da parte degli USA (nonostante l’iniziale appoggio della stessa C.I.A.) che aggraveranno la situazione economica pakistana.
Il Pakistan è il primo stato islamico a disporre di un arsenale nucleare e ciò, malgrado gli attuali buoni rapporti tra USA e Pakistan, tiene in costante allarme la potenza attualmente dominante (gli USA). Questa percepisce il nucleare pakistano come un nucleare “islamico” e pertanto fortemente pericoloso per gli equilibri mondiali.
Una moltitudine di paesi islamici si dimostrò entusiasta del programma pakistano e non tardò ad annunciare il suo appoggio a tale sviluppo: Iran, Egitto, Arabia Saudita. Lo stesso Afghanistan dichiarerà che qualsiasi aggressione contro il Pakistan sarebbe stata considerata un’aggressione contro l’Afghanistan medesimo, mentre il mufti d’Egitto chiederà di fare quadrato attorno al Pakistan ed ai suoi programmi nucleari. In pratica,
l’arma nucleare ha svolto un ruolo fondamentale nel riconoscimento del Pakistan quale potenza militare dello scacchiere internazionale.
E’ interessante notare che è la forza simbolica dell’arma nucleare islamica, e non la reale capacità distruttiva del Pakistan, ha permettere a questo paese di federare attorno a sé una serie di attori internazionali. Tanto più che né il Pakistan né l’India hanno comunicato informazioni ufficiali sulle dimensioni del loro arsenale nucleare; si stima che ne posseggano una cinquantina di testate ciascuno (vale dire meno di quanto possa trasportare un solo sottomarino americano). In termini di vettori, il Pakistan non dispone che di qualche F16-A e F16-B trasformati per trasportare queste testate e di missili balistici Ghauri. Poi ci sono i missili adattati come gli M-9 e M-11 cinesi che possono ugualmente trasportare testate nucleari. Ma questi vettori sono notoriamente poco efficaci (se comparati ad un sottomarino) per generare una forza dissuasiva perenne. Ciò dovrebbe dimostrare che si tratta, soprattutto, di una minaccia simbolica più che militare.
Nel 1998, quando scoppiò la quarta guerra indo-pakistana sull’affaire del Kargil, sia l’India che il Pakistan, disponevano delle armi nucleari. Sarà l’intervento americano a riportare la situazione sotto controllo. Da questo conflitto deriverà un nuovo colpo di Stato in Pakistan con il generale Musharraf che prenderà il potere nell’ottobre del 1999. Quest’utimo è stato considerato per molto tempo come infrequentabile ma dopo l’aggressione Usa dell’Afghanistan, nel 2001, l’atteggiamento statunitense nei confronti del generale è profondamente cambiato. Musharraf è divenuto in breve tempo un baluardo della lotta contro il terrorismo islamico che attenta alle libertà occidentali.
L’11 settembre 2001: la svolta della politica pakistana in materia di lotta al terrorismo
Il 13 gennaio 2002, il presidente pakistano Musharraf annunciò in un discorso televisivo che le organizzazioni terroriste estremiste non sarebbero state più tollerate nel suo paese e che il Pakistan, in quanto alleato degli USA, avrebbe condotto una lotta serrata contro il terrorismo internazionale. A questo discorso sono seguite azioni di breve termine contro due gruppi terroristici accusati di aver partecipato all’attacco del parlamento indiano a Nuova Dehli, il 13 dicembre 2002. Si trattava delle organizzazioni Laskhar-e-Taiba e Jaish-e-Mohammed entrambe prontamente smantellate. Durante il discorso di Musharraf verranno arrestate più di 2000 persone. Questo discorso è stato, invece, ben accolto dal governo americano, con il Segretario di Stato dell’epoca, Colin Powell, che si disse estremamente felice per le affermazioni del generale Musharraf. Molti analisti percepirono questo discorso come la prima fase di un avvicinamento tra Pakistan e USA. Lo scopo di Musharraf era quello di contrastare l’influenza indiana dando in cambio agli USA lo spostamento del paese da lui rappresentato nel campo dei paesi antiterroristi. Difatti, all’indomani della crisi dovuta ai fatti dell’ 11 settembre 2001, l’India aveva cercato di approfittare della situazione facendo pressione sugli USA contro i terroristi legati al Pakistan ed operanti sullo scenario del Cachemire. Quando gli americani hanno però accettato l’aiuto pakistano, l’India ha sentito lo sgarbo statunitense come un vero e proprio tradimento, tanto più che il nuovo ruolo antislamico del Pakistan rimetteva in discussione tutta la strategia fin lì adottata. In Cachemire Musharraf ha continuato a sostenere i ribelli dicendo che la liberazione del paese restava un obiettivo importante, tuttavia rimarcò che il Pakistan non avrebbe ammesso nessun atto
terroristico, né si sarebbe speso per sostenere alcun movimento ispirato all’intolleranza. Malgrado questo discorso, un attentato nel Cachemire indiano (maggio 2002) ha aggravato la tensione fra i due paesi portando ad una recrudescenza degli incidenti transfrontalieri e ad una serie di reciproche provocazioni. La violenza è comunque diminuita dopo il 2004.
La posizione ambigua di Musharraf è rivolta ad affermare il ruolo del Pakistan a livello regionale, da questo lato il generale non ha alcuna intenzione di perdere la supremazia che il suo paese si è conquistata su altre potenze dell’area. Tuttavia, a livello mondiale, la scelta di appoggiare gli USA sta trascinando il Pakistan in contraddizioni troppo ampie (per un paese islamico) e difficilmente gestibili. Da qui deriva la debolezza di Musharraf, sempre più inviso ai gruppi di potere autoctoni e alla stessa popolazione pakistana che reputa intollerabile la lotta condotta contro altri popoli islamici.
L’avvento al potere, nel 1972, del Primo Ministro Ali Bhutto, diede luogo ad un vasto programma di nazionalizzazioni delle industrie di base (all’epoca nascenti), così come delle banche (1° gennaio 1974). E’ importante comprendere la tradizione interventista dello Stato in questo paese. Nel 1985, gli attori privati hanno ottenuto il diritto di svilupparsi nei settori prima controllati dallo Stato. Dal suo arrivo al potere, il Generale Musharaff si è trovato con una situazione di gravissimo indebitamento, accentuata dalle sanzioni finanziarie consequenziali allo sviluppo del piano nucleare del 1998. Il paese era allora sul bordo della bancarotta.
Dopo il 2001, il governo ha lanciato un programma ambizioso di riforme (accelerazione delle liberalizzazioni con privatizzazione dei monopoli statali più redditizi, riforme delle tariffe doganali, ristrutturazione del sistema bancario) incoraggiate dal FMI e da Washington, per modernizzare la sua economia.
Tutte queste riforme hanno permesso di attivare una dinamica positiva per l’integrazione del Pakistan nella mondializzazione. Pertanto, la potenza economica pakistana, ancora segnata da debolezze strutturali, non è un fattore chiave per comprendere la potenza complessiva che questo paese può mettere in atto. Ma sappiamo bene che la forza di un paese deriva da tanti altri fattori, a prescindere dalle incongruenze economiche.
Il dopo 11 settembre, boccata d’ossigeno per l’economia pakistana
Il Pakistan, altre volte accusato dagli USA d’essere un covo d’islamisti radicali, è stato uno dei beneficiari più inattesi dell’abbattimento delle Twin Towers. La brusca virata strategica di Musharaff ha portato la nazione a divenire un alleato del governo americano nella campagna contro i taleban, ricevendo, in cambio, laute ricompense. Le sanzioni in vigore dalla fine degli anni ’70, dopo i tragici eventi dell’ 11 settembre, sono state tolte nel giro di due settimane; con ciò gli americani hanno voluto evitare che il Pakistan divenisse un nuovo Iran, con una situazione interna ben più esplosiva. I debiti sono stati annullati, le restrizioni commerciali eliminate ed è stata garantita una preziosa assistenza militare (con la consegna, da parte americana, di diciotto F16). La Casa Bianca ha previsto di fornire un sostanzioso finanziamento al Pakistan per 6,1 miliardi di dollari, da qui al 2010. Si tratta di uno dei sostegni economici più consistenti mai forniti dal governo USA ad un altro paese. Vi è, inoltre, una formidabile mobilizzazione di fondi da parte della Banca Mondiale che arrotondano a circa 7 miliardi di dollari la cifra che, da
qui al 2009, sosterrà la nuova politica pakistana. A questi fondi si aggiungono, come se non fossero sufficienti quelli già ricevuti, 1,5 miliardi di dollari stanziati dal FMI e 2,5 miliardi concessi dalla Banca Asiatica per lo Sviluppo. D’altro canto, anche l’Unione Europea ha tolto ogni sanzione commerciale al Pakistan aprendo il mercato unico ai prodotti provenienti da questo paese. Inoltre, la UE ha concesso 165 milioni di euro di aiuti finanziari, tra il 2002 e il 2006.
Infine, i milioni di pakistani viventi nel mondo, irritati dall’ accresciuta vigilanza delle banche occidentali rispetto agli investimenti dei mussulmani, hanno rimpatriato il loro denaro nel paese. Tanto che, nel 2005, più di 4 miliardi di dollari sono stati iniettati nell’economia locale. L’impatto del denaro sull’economia è stato fenomenale determinando un boom economico senza precedenti, soprattutto nei consumi e nel mercato immobiliare.
Per un paese assetato di divisa, tutta questa affluenza di denaro è stata fortemente salutare, specialmente perché è intervenuta nel momento più propizio, cioè quando il governo aveva avviato il suo piano di modernizzazione dell’economia. Cinque anni dopo i fatti dell’ 11 settembre i risultati sono sotto gli occhi di tutti. Il Pakistan si è avvantaggiato di un aumento del PIL “alla cinese”, pari ad un 6,6% nel 2006 (7,5% nel 2007, dopo le stime ufficiali). Il debito estero è stato ridotto di 1/3 e la deriva dei conti pubblici si è arrestata di colpo. Infine, dal 2001, gli investimenti stranieri si sono decuplicati .
Il Pakistan ha, dunque, saputo cogliere le opportunità che gli si sono prospettate a causa della situazione internazionale, risollevando la propria economia attraverso il riannodamento una serie di alleanze che, solo pochi anni prima, sembravano impossibili. Sfortunatamente, questa chance inaspettata non è sufficiente, da sola, all’approntamento di una più lungimirantedi una strategia di potenza.
Degli indicatori economici molto inquietanti
I frutti della crescita economica pakistana si sono ripartiti in maniera fortemente diseguale (aggiungeremmo, come sempre accade in casi simili, quando la crescita economica dipende da fattori dirimenti e, per di più, in un paese che deve recuperare molte posizioni nell’economia mondiale!). La ricchezza pro-capite non raggiunge gli 800 dollari all’anno e la situazione sociale del paese resta problematica: un abitante su due è illetterato ed un terzo della popolazione vive sotto la soglia di povertà. Oggi, malgrado un prodotto interno lordo di 374 miliardi di dollari (25° paese), gli indicatori tradizionali sono deludenti. Per esempio, il 30% della popolazione vive sotto la soglia di povertà, le ineguaglianze d’istruzione tra città e campagna sono enormi, e solo 44 milioni di cittadini hanno un’occupazione (su 166 milioni, circa il 26%), questo si spiega anche col fatto che il 41 % della popolazione ha meno di 14 anni (ciò non giustifica ma spiega benissimmo perchè ci sono venti milioni di bambini costretti a lavorare in condizioni di schiavitù).
Le contraddizioni del Pakistan sono rintracciabili lungo i differenziali di reddito tra le classi sociali e nella composizione della spesa pubblica. Circa 1/3 del budget dello Stato se ne va in spese militari, inoltre, il 45% del budget statale è risucchiato dal debito pubblico. Questa supremazia della spesa militare, aggiunta alla costante crescita demografica (3 milioni di nuovi nati all’anno), ha rallentato la modernizzazione del
paese. L’unità tra il popolo e la sua classe dirigente, sia nelle scelte politiche che in quelle sociali è davvero molto lontana.
Le condizioni politiche, sociali, storiche del Pakistan ne impediscono lo sviluppo armonico, sin dal 1947, anno di nascita della nazione. Divenire una potenza regionale, con capacità di esercitare l’influenza necessaria sui suoi vicini, senza legittimità né peso economico, è davvero un’operazione improba. Ancora, la forza economica senza il consenso della società civile, quest’ultima attraversata da mille conflitti, non consente al Pakistan di ergersi a potenza regionale indiscussa.
Il problema dell’economia criminale
Il Pakistan è uno dei paesi più corrotti al mondo e deve fare i conti con un’economia parallela stimolata dal mercato della droga. Ogni anno 100 tonnellate di eroina percorrono il paese da nord a sud per essere esportate. Questa economia sotterranea rappresenta 1/3 del PIL. L’oppio, trasformato in seguito in eroina, è principalmente prodotto nelle zone tribali del nord-est, controllate, non dallo Stato, ma da autorità locali compiacenti. La specializzazione del paese come produttore di oppio è dovuta a tre fattori storici concomitanti:
– La politica proibizionista del generale Zia determinò, indirettamente, che una parte del raccolto, tradizionalmente effettuato nelle zone tribali, fosse esportato clandestinamente in Iran, perle esigenze dei tossicomani piuttosto numerosi di questo paese
– La rivoluzione iraniana finirà poi per scombinare i circuiti del traffico della droga lasciando sulle spalle dei trafficanti stock considerevoli di droga
– Il denaro proveniente dal traffico della droga fece “marcire” il normale sistema economico pakistano. Innanzitutto, fu toccato il campo militare. Il denaro fu utilizzato per la ricerca nucleare e per finanziare segretamente l’equipaggiamento militare. Si assistette, inoltre, al formarsi di una borghesia del narcotraffico che investì anche il potere politico; quest’ultimo lasciò fare per colmare la penuria di divisa che affliggeva il paese.
Sola potenza islamica a detenere la bomba atomica, il Pakistan, è anche sospettato di aver favorito i programmi nucleari di altri paesi (Libia, Corea del sud, Iran), per l’intermediazione del Dott. Kahn. I ritorni economici di tali aiuti, difficili da quantificare, sono inseriti in circuiti simili a quelli della droga.
UN PERIMETRO COMMERCIALE RISTRETTO
Le analisi delle relazioni economiche sono molto istruttive per comprendere la capacità di un paese di svilupparsi velocemente. La potenza produttiva del Pakistan risiede soprattutto nell’agricoltura (44% della popolazione attiva, per il 22% del PIL) e nell’industria (25% del PIL). I beni prodotti sono quelli di un paese sottosviluppato come cereali (mais, riso, grano), cotone (4° produttore mondiale) per ciò che riguarda l’agricoltura; prodotti siderurgici, petrolchimici, derivati agricoli e prodotti artigianali per quel che concerne l’industria.
Si deduce subito la struttura del commercio estero di questo paese:
– Esportazione di prodotti tessili (cotone in primis), riso, tappeti e altri prodotti artigianali per 11,4 mld di dollari nel 2003.
– Importazione di petrolio (e derivati), di macchinari, di prodotti chimici, di ferro,
di acciaio, di prodotti alimentari e fertilizzanti, per 15,7 mld di dollari nel 2003.
Queste caratteristiche commerciali dimostrano una dipendenza reale e problematica del Pakistan rispetto ai suoi fornitori principali. Al contrario, il Pakistan non dispone di mezzi di pressione efficaci per il fatto che esporta soprattutto prodotti agricoli ed artigianali. La struttura economica pakistana non permette al paese di posizionarsi come potenza economica egemone. Inoltre, i suoi partners commerciali riflettono determinate alleanze esterne delle quali abbiamo già detto. I suoi principali clienti sono gli USA, gli Emirati Arabi Uniti e l’Afghanistan. I principali fornitori sono l’Arabia Saudita, gli Emirati Arabi Uniti e la Cina.
Malgrado una crescita esponenziale dell’economia pakistana lo scorso anno, l’ottimismo post-11 settembre non è più lo stesso. La filiera tessile (60% delle esportazioni pakistane), i cui sbocchi principali sono gli Usa e l’UE, si è vista ritirare le condizioni di preferenza per l’accesso a questi mercati (con l’aumento dei diritti di dogana). Gli aiuti internazionali si sono assottigliati giacché sono stati concentrati sul disastro causato dal terremoto dell’ottobre 2005.
Il miglioramento delle relazioni diplomatiche e commerciali con l’India, dopo il terremoto, è reale ma senza grandi conseguenze positive per l’economia pakistana. Il commercio bilaterale tra i due paesi ammonta a circa 800 milioni di euro, ma nei fatti, questa cifra è appannaggio, soprattutto, dell’India (la bilancia commerciale pakistana segna un deficit di 400 milioni di dollari).
Il Pakistan non è membro di alcun accordo di libero scambio ma è membro dell’Organizzazione Mondiale del Commercio. Il Pakistan partecipa ugualmente all’Associazione Sud-Asiatica di Cooperazione Regionale (ASACR), all’accorso di Commercio Preferenziale per l’Asia del Sud (ACPAS), con l’Afghanistan, il Bangladesh, il Bhoutan, l’India, le Maldive, il Nepal e lo Sri Lanka (la Cina e il Giappone ne sono parte come osservatori). L’ASARC incoraggia la cooperazione in agricoltura, nello sviluppo rurale, nello sviluppo scientifico e tecnologico, ma anche nella cultura, nella sanità, nel controllo delle nascite, nella lotta al narcotraffico e al terrorismo internazionale. Purtroppo, le tensioni tra i singoli Stati membri impediscono di dare coerenza e omogeneità alle politiche messe in atto da tale organismo, il che finisce col rallentare il raggiungimento degli obiettivi programmati. La strada verso lo sviluppo di una strategia di potenza nella regione è ancora molto lunga date le rivalità tra i paesi che ne fanno parte.
L’economia pakistana soffre, nei suoi scambi esterni, la dipendenza tecnologica da altri paesi, la complessità delle relazioni internazionali e la forte instabilità politica interna. Tutto questo non permette al Pakistan di esercitare l’influenza economica necessaria su qualsivoglia avversario internazionale.
DAL BISOGNO ENERGETICO AL PROBLEMA DELL’ACQUA
I problemi energetici del Pakistan sono ugualmente incipienti, poiché questo paese è poco dotato di materie prime (come ferro e carbone) e solo il 10% dei bisogni di petrolio
sono coperti dalla produzione nazionale. Come buona parte dei paesi dell’area, l’approvvigionamento di acqua potabile è un problema strategico per il Pakistan. I suoi bisogni di acqua sono considerevoli perché l’agricoltura è tra le attività più importanti (l’80% del nutrimento del Pakistan viene dalla terra). Così, nel 2000, il 98% delle risorse di acqua sono state utilizzate per l’agricoltura mentre la media dei paesi sviluppati è tra il 70 e l’80%. Un rapporto concluso nel 2000 dall’International Water Management Institute dimostra che il Pakistan avrà gravi problemi di siccità da qui al 2025. L’acqua è, quindi, una risorsa strategica per il paese mussulmano e le sue fonti di approvvigionamento sono ancora più preziose. La spartizione dell’acqua del fiume Indus, unica sorgente d’acqua della zona, è retta da un trattato tra L’india e il Pakistan sotto l’egida della banca Mondiale. Benché il trattato sia rispettato, il Pakistan resta dipendente dal buon volere dell’India che controlla il bacino del fiume dalla zona del Cachemire. Fatto ancor più paradossale è che l’acqua determina anche contenziosi interni che minano la coerenza del paese e i suoi progetti strategici. Così, l’annuncio fatto nel 1998 dal governo pakistano di costruire la diga di Kalabagh ha generato un numero considerevole di critiche. La posta in gioco aperta da tale diga è stata così alta che le parti politiche della Provincia di Frontiera del Nord-Ovest hanno cambiato posizione in virtù di questa questione.
ASSENZA D’INFLUENZA CULTURALE
Questa assenza si spiega principalmente per la mancanza di solidarietà, tra gli stessi mussulmani e tra le posizioni internazionali del potere e della popolazione, cosa davvero sorprendente per uno Stato nato con il fine di riunire i mussulmani della regione. L’unità del paese, necessaria per far intendere la voce pakistana sulla scena internazionale e presso gli altri paesi mussulmani è spesso malfunzionante. L’egemonia dei Penjabi è decisiva nell’esercito e nelle altre strutture di potere: la burocrazia permanente, l’aleatorietà del Parlamento, il dominio dell’acqua, essenziale all’economia del paese. Questa dominazione pendjabiana è particolarmente sentita dai Sindi e dai Beluchi, così come dai Mohajirs di Karachi. Tutto questo non può certo incoraggiare la nascita di uno spirito nazionale unitario.
Sul piano internazionale, la diffidenza occidentale nei confronti del Pakistan si è accresciuta con l’avvio dei test atomici. Le recenti rivelazioni di Musharaff, nella sua autobiografia, confermano i sospetti americani concernenti gli aiuti pakistani alla Corea del Nord. Le relazioni tra Washington e Islamabad rischiano diincrinarsi nuovamente come all’epoca del lancio del programma nucleare pakistano (1998). Gli Stati Uniti sembrano interessarsi al Pakistan solo quando ci sono interessi americani in ballo. Gli Usa dopo essersi “curati” del paese durante la guerra fredda e durante la guerra URSSAfghanistan, contribuendo al suo sviluppo militare, hanno dimenticato le sanzioni imposte a causa del nucleare per ottenere l’appoggio pakistano contro i Taleban in Afghanistan. Gli Stati Uniti non hanno lasciato alcuna scelta ai dirigenti pakistani, come ha più volte dichiarato Musharaff. Ma a parte questi “avvicinamenti” non c’è mai stata grande confidenza tra i due paesi. Del resto, il Pakistan si trova tra due fuochi e finché continuerà ad accostarsi agli Usa gli altri paesi mussulmani non gli riconosceranno mai alcuna leadership.
CONCLUSIONI
Nella ricerca di una maggior potenza il Pakistan di Musharaff è riuscito ad ottenere un forte sostegno internazionale, grazie agli eventi seguiti all’ 11 settembre 2001.
Tuttavia i pakistani non gradiscono l’avvicinamento della classe dirigente agli Usa; nel paese sta così montando un forte antiamericanismo che si fa vieppiù caustico a causa della difficile situazione interna, sia economica che sociale.
In più, le zone tribali si stanno talibanizzando, a fronte di una maggiore militarizzazione del governo centrale, e questo contribuisce a rendere incoerente l’avvio di qualsiasi politica di potenza la quale, come ben si sa, richiede una situazione interna di unità (ed omogeneità). I gruppi islamici stanno screditando Musharaff per la sua politica americanista e si propongono alla popolazione come la vera alternativa ad un governo codino degli USA.
Sul piano internazionale, il Pakistan gioca un ruolo strategico per la stabilità della regione (ed è per questo che gli americani sono abbastanza interventisti negli affari di questo paese) sia verso l’Asia Centrale che verso l’Asia del Sud. Per ora il paese sta giocando un ruolo opportunistico nella situazione internazionale ma appare evidente la sua incapacità di agire secondo interessi più vasti e più rispondenti al ruolo che questa nazione potrebbe avere in un prossimo futuro.