A proposito dei 150 anni dei Grundrisse
A proposito dei 150 anni dei Grundrisse
L’arcano della pagina soppressa
Astratto e concreto da Hegel a Marx
Una risposta alla domanda di Reichelt: “Perché Marx ha occultato il proprio metodo dialettico?” (in Beiträge zur Marx-Engels Forschung, Neue Folge, 1996, pp. 73-110)
L’attuale crisi mondiale, in un mondo per la prima volta in reali condizioni di permeabilità universale, economica, sociale, politica, e financo militare, e con istituzioni, sempre a carattere mondiale, che accennano ad assumere un ruolo effettivo, pare far uscire Marx dall’oscuramento in cui era precipitato dopo la caduto del muro di Berlino ed il crollo dei paesi a “socialismo reale” dell’Europa dell’Est, dalla Germania Orientale all’URSS.
Questo crollo aveva portato velocemente a compimento un processo di riduzione del marxismo a pura corrente culturale, accademica, “teologica”, si potrebbe dire; ma il processo stesso era cominciato ben prima. Credo che un ruolo non indifferente, in questa sterilizzazione del marxismo, sia stato svolto, sul piano culturale, dalla “scoperta” e dalla pubblicazione dei Grundrisse.
L’inciso di cui sopra, che restringe le “responsabilità” dei Grundrisse al “piano culturale”, rimanda ad un radicamento marxiano, per cui non c’è tanto da chiedersi quanto essi abbiano inciso sul complesso della situazione, quanto invece sia stata la situazione a favorire la loro fortuna.
Già da queste poche battute è chiaro come io non condivida l’entusiasmo con cui essi sono stati accolti da una parte degli intellettuali “marxisti”, entusiasmo che può essere ben rappresentato dalle parole con cui li saluta il curatore e traduttore della classica edizione inglese, Martin Nicolaus, nella sua “Prefazione”, siglata con la dicitura “San Francisco 1 maggio 1972”: “Il manoscritto mostra gli elementi chiave dello sviluppo e del rovesciamento della filosofia hegeliana operati da Marx. Essi gettano nuova luce sulla logica interna del Capitale, e sono una sorgente di inestimabile valore per lo studio del metodo di indagine di Marx. “(pagina 7 dell’edizione inglese, di fatto la prima pagina della Prefazione). Ritengo al contrario che essi abbiano portato la confusione già esistente intorno al metodo “scientifico” ed al fondamento filosofico delle teorie di Marx al loro grado massimo. Voglio dire che, anche senza questo nuovo rompicapo, introdotto dalla scoperta dei Grundrisse, gli elementi problematici sul piano filosofico – perché questo è l’aspetto che, almeno nella ricerca di cui qui presento il risultato, mi interessa in modo pressoché esclusivo pullulavano già anche nelle altre opere.
Per amore di paradosso potrei invece dire che condivido l’affermazione di Martin Nicolaus che segue immediatamente quella citata in precedenza: “I Grundrisse sfidano e mettono alla prova ogni seria interpretazione di Marx finora concepita”. Intendo dire che lo studio che ho condotto – a cui sono stato indotto da stimoli esistenziali, e non da scelte puramente o prevalentemente “culturali”, come per ogni altra cosa da me fatta – mi ha consentito di cominciare a dipanare il groviglio, che tra dialettica, rovesciamento, Hegel, scienza, utopia, materialismo, Aristotele, strutturalismo, astratto, concreto, e chi più ne ha più ne metta, avvolge il procedere del percorso intellettuale di Marx.
Infatti è nel lasso di tempo in cui Marx è occupato nella scrittura di questa “bozza”, periodo che deve essere prolungato fino alla stesura della loro parte pubblicata col titolo di Per la critica dell’economia politica, compresa la Prefazione di quest’opera, che avviene la famosa “coupure” individuata da Althusser – si tratta cioè del periodo di circa un anno e mezzo che va dal luglio-agosto 1857 (così dicono concordemente tutte le fonti, anche se mi par di capire che si tratta, almeno in parte, di una datazione congetturale), fino al febbraio del 1859, quando Marx scrive la Prefazione appena ricordata, e la spedisce al libraio-editore Duncker, che ne sta curando la stampa.
In consonanza con i lati del paradosso sopra indicato, secondo i risultati della mia ricerca, Althusser avrebbe avuto pienamente ragione di rifiutarsi di leggere i Grundrisse, ritenendoli puro cascame hegeliano, che non ha nulla a che vedere con il vero “metodo scientifico” di Marx, che trova solo nel Capitale il suo esordio, e si direbbe, per Althusser, il suo compimento: “Questa è l’opera sulla quale Marx deve essere ‘giudicato’. Solo su di essa. […]”(“Avvertenza” di Althusser, scritta nel 1969, per la edizione francese del Capitale). Quindi io credo che Nicolaus abbia torto marcio a ritenere che nei Grundrisse si possano trovare gli “elementi chiave dello sviluppo e del rovesciamento della filosofia hegeliana operati da Marx”, per il semplice motivo che, a partire proprio dalle ultimissime pagine del “corpus” dei Grundrisse, e precisamente dalle pagine intitolate da lui stesso Valore, e scritte certamente dopo il 15 maggio 1858, Marx abbandonerà progressivamente il parahegelismo dei Grundrisse, fino all’abbandono quasi totale di questa caricatura di Hegel che si può constatare nelle pagine del Capitale.
Nel contempo, Althusser, nel rimuovere, si direbbe, perfino l’esistenza dei Grundrisse, si sottrae colpevolmente all’altro lato del paradosso, cioè si rifiuta di accettare il fatto che invece essi esistono, e che con la loro esistenza “I Grundrisse sfidano e mettono alla prova ogni seria interpretazione di Marx finora concepita”. In questo modo Althusser si lascia sfuggire la possibilità anche solo di interrogarsi su questo enigma, e quindi si dirige verso una interpretazione che va inesorabilmente incontro all’autodissoluzione, secondo alcuni dei suoi più autorevoli seguaci: già la nascita del Capitale, dati questi presupposti, era un meteorite dalla origine aleatoria ed inesplicabile, si potrebbe aggiungere ironicamente, rifacendo il verso all’ultima, disperante evoluzione del pensiero di Althusser. In questo modo, rimuovendo cioè il passaggio periglioso percorso da Marx in quei diciotto mesi, Althusser può prima illudersi che la dialettica sia del tutto scomparsa dalle teorie di Marx, per poi inseguire sempre più in avanti , fino alla vigilia della sua morte nel 1883, il miraggio di un testo marxiano del tutto privo di dialettica. Impresa chiaramente impossibile, perché dopo il 1859 Marx è sì impegnato a liberarsi progressivamente della “caricatura” di Hegel; in particolare della ubriacatura che per un breve periodo gli aveva fatto credere che si potessero davvero “dedurre” i contenuti storico-sociali in base al “movimento dialettico” di “categorie astratte”, secondo il metodo di “salire dall’astratto al concreto” esposto nel celeberrimo passo della Introduzione dell’agosto-settembre del 1857 (ma, come argomento nel mio studio, ritengo sommamente improbabile tale datazione, se i riscontri sono solo quelli correntemente reperibili – e comunque tale datazione non potrebbe essere spostata più avanti del marzo 1858). Ma, d’altra parte, Marx non ripudierà mai l’utilizzo della dialettica hegeliana, se non altro come metodo espositivo, come risulta dalla sua introduzione alla edizione russa del 1972.
Ma un esame complessivo del rapporto tra la ricerca marxiana e la filosofia hegeliana esula a sua volta dai limiti della mia ricerca. Essa invece affronta un tema, si direbbe, subodorato da Reichelt quando si pone il quesito: “Perché Marx ha occultato il proprio metodo dialettico?”. Ebbene, la mia ricerca, credo, fornisce a questo quesito una risposta del tutto inaspettata, che ha suscitato innanzitutto la mia incredulità man mano che il procedere di essa mi metteva in fila in modo che io ritengo inequivocabile la serie di fatti, e di analisi teoretiche, che costituiscono il contenuto di questo lavoro.
Lo spunto di partenza di esso è stata la semplice curiosità “teoretica” – questo, come ho detto è il mio interesse prioritario – di capire come mai Marx, come ricordato qui sopra, nella Introduzione ai Grundrisse – che essa sia stata scritta nell’agosto del 1857, o, come io ritengo più probabile, nel marzo del 1858, fa poca differenza, dal punto di vista della stranezza della inversione dei termini che sto per segnalare – potesse scrivere che la giusta via della scienza economica è quella di “salire dall’astratto al concreto”; mentre pochi mesi dopo, nella Prefazione alla ridottissima parte dei Grundrisse pubblicata a stampa nel 1859, con il titolo di Per la critica dell’economia politica, dicesse l’esatto contrario: la giusta via è quella di “salire dall’individuale all’universale”. Temo che non sia da escludere che qualche bello spirito osi sostenere che si tratta di un tipico esempio di passaggio dialettico, eventualità remota, ma per la quale l’unica risposta adeguata sarebbe una allegra risata.
La risposta al quesito, individuata soprattutto tramite l’analisi della corrispondenza di Marx nel periodo intercorrente tra i due estremi temporali citati – dall’agosto 1857 al febbraio 1859 – è appunto sconvolgente:
Marx ha ricavato da altri – e precisamente da Ferdinand Lassalle – lo spunto teoretico di partenza, e nello sforzo di occultare questo debito, per lui intollerabile sia per la concezione di sè,
come noto piuttosto elevata, sia per motivi politici, ha finito per occultare anche la corretta chiave di lettura del suo capolavoro; lasciando sempre viva, d’altra parte, la realtà del fatto che nessuna opera è mai “definitiva”; e che anche dopo la “folgorazione esterna” – una specie di via di Damasco – il compito anche solo di adeguare a questa nuova prospettiva tutto l’immenso materiale accumulato nei Grundrisse – per non contare il nuovo materiale che le stesse vicende politiche, economiche e culturali non mancavano di apportare – è risultato di un peso tale da impedirgli di esaurirlo in vita. In via assolutamente indicativa si può dire che Marx, a partire dallo spunto lassalliano, torna in un certo senso alle origini di quando era studente, ed era stato attratto dalle teorie gnoseologiche di Aristotele. E difatti nel Capitale è esplicita l’affermazione di Marx di riprendere l’indagine sulla scienza economica esattamente dal punto in cui Aristotele l’aveva interrotta; senza che questo, contrariamente a quanto comunemente si crede, implicasse il rifiuto del reale contenuto della “Logica” di Hegel. Ed è del tutto esplicita l’identificazione concettuale della sua scoperta, del reale motore di tutta la sua elaborazione successiva, cioè della Arbeitskraft – della forza_lavoro, secondo la traduzione di Delio Cantimori – con la nozioni squisitamente aristotelica di “lavoro in potenza”. Forse è opportuno precisare subito che il “debito” di cui si parla qui non ha nulla a che vedere con la difesa che Engels fa contro le accuse di plagio provenienti da circoli lassalliani: Rodbertus, bersaglio degli strali di Engels, non c’entra proprio nulla con il “debito” di cui si parla. Si tratta di un debito squisitamente filosofico, che Marx ricava dalla lettura dell’opera di Lassalle “Eraclito, l’oscuro di Efeso”, da lui ricevuta – e letta, o per lo meno attentamente visionata – a cavallo dei mesi di gennaio e febbraio del 1859.
L’illustrazione di questa “folgorazione” e delle sue più immediate implicazioni filosofiche e concettuali è l’argomento del lavoro qui illustrato, presente su Internet nella sua versione (provvisoriamente) definitiva dal 6 maggio 2007 con la formula del copyleft all’indirizzo:
http://www.webalice.it/a.zinelli/tuttalastoria/filosofia/Marx%20ed%20Hegel%20astratto%20-%20concreto.html
Brescia, 21 novembre 2008
Attilio Zinelli