La rivalità Cina/India di Albrecht Rothacher
Se si addiziona la popolazione di questi due giganti asiatici, si ottiene la cifra impressionante di 2,5 miliardi di persone. Il tasso di crescita da qui all’anno 2020 è stimato per circa l’8% per l’India e per il 10% per la Cina. La “CinIndia”, come è stata ribattezzata da qualche giornalista occidentale, sarà l’ “officina” del 40% della popolazione mondiale, dove verrà fabbricato il 17% dei prodotti dell’economia globale. Se la “CinIndia” diventasse un solo blocco, valutano i giornalisti e gli osservatori occidentali, noi assisteremmo allo schiudersi di una nuova superpotenza, che potrebbe superare il primato degli USA, per non parlare dell’Europa, ormai area di questioni meschine dove pesa la sclerosi sociale.
Allorché il presidente cinese Hu Jintao è andato a nuova Dehli, nel novembre 2006, questa visione fantasmagorica della CinIndia ha repentinamente eccitato gli spiriti. Le conclusioni affrettate in merito al futuro destino dell’Asia hanno sovraccaricato le biblioteche e le colonne dei giornali. Allora, questa CinIndia diverrà presto una realtà? Gettando uno sguardo retrospettivo, si può ben dubitare…
Le cause attuali della rivalità India/Cina
Le rivalità regionali tra i due giganti demografici d’Asia, in piena crescita economica, sono troppo importanti: si fronteggiano per ottenere il massimo d’influenza sul Nepal, sulla Birmania (Myanmar) e nel sud-est asiatico. Il ricordo della guerra perduta dall’India nel 1962 resta vivace. La frontiera nell’Himalaya, lunga 1200 km, è fortemente contestata dalle due parti. Le rivendicazioni cinesi sulla provincia nord-est orientale indiana, l’Arunachal Pradesh, intorbidano ancor di più le relazioni tra i due paesi. L’India teme di essere accerchiata e di dover condurre una guerra su due fronti giacché la Cina è alleata del Pakistan, suo nemico storico mortale. D’altra parte la Cina teme l’alleanza possibile tra India e Usa che, se si dovesse concretizzare, sarebbe il solo successo diplomatico dell’era Bush junior. A tutti questi contenziosi si aggiunge la concorrenza crescente tra i due giganti per il controllo delle materie prime e per il petrolio della Birmania/Myanmar, del Medio-Vicino Oriente, dell’Asia Centrale e dell’Africa. I due paesi si fanno concorrenza per garantirsi gli sbocchi necessari ai loro prodotti a buon mercato che esigono manodopera a basso costo. In questa corsa agli sbocchi, l’India è stata sin qui sfavorita, a causa della debolezza delle sue infrastrutture e della sua burocrazia antieconomica. L’India, in questo contesto, è però più concentrata sull’esportazione dei prodotti finiti di alta qualità e ciò potrebbe essere maggiormente promettente sul lungo periodo.
Dopo l’indipendenza dell’India nel 1947 e la partenza degli inglesi, scoppiò la guerra con il Pakistan secessionista e mussulmano per il controllo della regione montagnosa del Cachemire. Il Pakistan mussulmano è divenuto rapidamente alleato degli USA e, a questo titolo, membro del CENTO. Per rispondere a questo colpo islamo-americano, l’India sotto la guida del Partito del Congresso, optò per il non allineamento del Terzo-Mondo e per una cooperazione stretta con l’URSS sul piano militare. Questa situazione è durata fino al dissolvimento dell’Unione Sovietica. In questo contesto di non
allineamento e di alleanza sovietica, l’India ha praticato, all’interno, una politica di socialismo burocratico, propria dei paesi in via di sviluppo e, all’esterno, un antiamericanismo manifesto. Con Jawarharlal Nehru capo del governo, tutti i piccoli paesi vicini, come il Bhoutan nel 1949, il Sekkim e il Nepal nel 1950, la Birmania nel 1951 e il Ceylan nel 1954, furono costretti a legarsi all’India con dei trattati che sanzionarono nettamente la preminenza indiana.
L’intervento nello Sri Lanka
Al momento della guerra di secessione del Bangladesh, nel 1971, le truppe indiane attaccarono l’esercito pakistano nell’est del Bengala, dopo tale vicenda il Pakistan orientale accederà all’indipendenza. Nel 1975, Indira Gandhi approfittando dello scompiglio causato dalla stessa India ingloberà il piccolo regno himalayano del Sikkim per farne così il 22° Stato della Federazione indiana. Nello Sri Lanka (ex-Ceylan) i servizi segreti indiani sostennero i Tamils induisti che dominavano un grande Stato della federazione srilankese, il Tamil Nadu, così come l’organizzazione ribelle delle “Tigri” tamil contro i Cingalesi buddisti i quali costituivano la nazione titolare dello stato dello Sri Lanka insulare.
Nel 1987, l’India imporrà allo Sri Lanka, torturato dalla guerra civile, un contingente militare indiano di 70.000 uomini. Rapidamente, questo esercito, suo malgrado, sarà trascinato in una guerra di guerriglia contro i Tamils che si considereranno aggrediti giacché i servizi indiani gli avevano in precedenza promesso l’indipendenza. Dopo due anni, il contingente indiano sarà costretto a ritirarsi senza gloria, con perdite di circa 1200 uomini. Nel 1991, il Primo Ministro Rajiv Gandhi cadde a sua volta, vittima tardiva della sua stessa politica srilankese, per mano di una donna kamikaze tamil.
Il nemico principale dell’India resta e permane il Pakistan. L’oggetto del contendere è la provincia del Cachemire, della quale il Pakistan rivendica l’annessione completa. Dopo la prima divisione del vecchio impero delle Indie nel 1948, una linea di demarcazione ha diviso il Cachemire in due; questa linea è contestata dai due antagonisti; quattro guerre di ampiezza diversa hanno insanguinato il suo tracciato, nel 1965, nel 1971, nel 1984 e nel 1999. L’esercito pakistano e i suoi servizi speciali, l’ISI, sostengono laggiù un movimento insurrezionale mussulmano molto virulento, sin dal 1989, che ha già fatto 40.000 morti, tra i quali numerosi uomini politici locali moderati che si sono fatti sistematicamente assassinare dai kamikaze fanatici.
Al momento dell’ultimo scontro indo-pakistano nel Cachemire, nel maggio del 1999, l’esercito pakistano lanciò un attacco sull’alta montagna, vicino Kargil, per fare fuori gli indiani dal valico di Karakorum, porta del Tibet. Quando i pakistani furono respinti dai cacciatori di montagna indiani e da un bombardamento a tappeto, minacciarono di utilizzare le loro armi nucleari. L’intervento personale di Bill Clinton e la minaccia di sanzioni economiche di grande rilevanza costrinsero il Premier pakistano Nawaz Sharif, nel 1999, a ritirare le truppe e venire a patti.
Il primo scontro sino-indiano
Inizialmente, data la loro retorica anti-colonialista ed anti-occidentale comune, l’India socialista e la Cina comunista hanno intrattenuto buoni rapporti.
L’Himalaya è un catenaccio di montagne senza vie d’attraversamento: dietro questa gigantesca muraglia, quasi impenetrabile, l’India si è sentita al riparo, anche dopo l’annessione forzata del Tibet da parte della Cina, nel 1950. Nessuno, in India, veniva disturbato dalla cosa; ma la retorica anticolonialista portava gli indiani a criticare la Cina per il non rispetto della linea McMahon, tracciata anteriormente dai dominatori inglesi al fine di delimitare il territorio dell’India, della Cina e del Tibet. Nell’autunno del 1959, una pattuglia militare indiana cadde in una imboscata tesa dai soldati cinesi in una regione frontaliera contestata; nove soldati indiani trovarono la morte nel corso di questo incidente. L’ “anima” indiana si ribellò e gridò vendetta per l’accaduto. Il primo Ministro Nehru ordinò apertamente a Kaul, il suo capo di stato maggiore, un generale che non aveva mai fatto al guerra, di cacciare i cinesi dalla regione. Il Generale Kaul aumenterà le truppe di guardia alla frontiera, ordinando loro di avviare vaste operazioni di pattugliamento, ma nulla di più.
L’esercito cinese di liberazione popolare non aveva comunque alcuna intenzione di aspettare passivamente di essere ricacciato dagli indiani. Attaccherà massicciamente le truppe di frontiera indiane il 12 ottobre 1962, con un colpo di mano preventivo. L’esercito indiano verrà schiacciato perché a corto di munizioni sufficienti e di riserve adeguate. I soldati indiani si batterono caparbiamente, fino all’ultimo uomo. Dopo due settimane, la Cina proporrà a Nehru un armistizio. Il leader indiano rifiuterà. Ordinerà, invece, ad una seconda ondata di truppe indiane, raccolte e trasportate frettolosamente sul fronte, di passare al contrattacco. Nuovamente i cinesi passeranno vigorosamente all’attacco e sloggeranno gli indiani dalle loro postazioni. Dopo aver ottenuto i loro obiettivi territoriali, i cinesi dichiareranno, un armistizio unilaterale che l’India rispetterà. Ciascun esercito perderà almeno 500 uomini. Oggi, sugli stessi luoghi, lungo le due coste di una frontiera vasta 3400 km campeggiano 200.000 uomini che comprendono brigate di cacciatori di montagna, batterie d’artiglieria di montagna e milizie di controllo delle frontiere.
Effettivi ed armi dell’esercito indiano
L’India rivendica tutt’ora l’Askai Chin occupata dai cinesi e tutti i territori persi nel 1962. la Cina, dal canto suo, rivendica l’insieme del territorio dell’Arunanchal Pradesh, provincia indiana del nord-Est.
L’esercito indiano è organizzato, secondo un buon numero di osservatori, come un esercito tradizionale di tipo britannico stile anni ‘50, ma dispone di materiali sovietici. Esso annovera un corpo ufficiali apolitici, elitari, formati nelle accademie militari di tipo inglese. Questi ufficiali continuano a coltivare i sogni di gloria dell’esercito coloniale britannico. Le truppe blindate indiane dispongono di T72 e di T90 russi, ammassati a Ovest sulla piana del Punjab, occupata in gran parte dai pakistani. L’esercito indiano dispone, per altro, di truppe di montagna nel Nord del Cachemire e lungo la frontiera himalayana. L’India deve preservare delle truppe per fronteggiare i terroristi del Punjab che creano disordini interni, poi ci sono i ribelli maoisti, bande fuori casta e senza terre, moti interrazziali e i separatisti del Nagaland, a Est. In totale, 1,2 milioni d’indiani servono l’esercito. Il budget militare ammonta a 22 miliardi di dollari, circa il 2,3% del Pil, cifra enorme per un paese che si deve ancora sviluppare. Ma questa cifra è modesta rispetto al budget militare cinese.
Il buono stato della marina indiana
L’aviazione indiana, che ha buona esperienza di combattimento, dispone di 850 apparecchi: MIG, Mirage 2000 e cacciabombardieri Sukhoi S30, ma l’equipaggiamento lascia un po’ a desiderare, visto il numero elevato d’incidenti. La marina indiana è capace di affrontare l’alto mare: ha per missione quella di difendere il paese contro le manovre cinesi di accerchiamento. Essa dispone di otto incrociatori, di diciassette fregate, di ventotto corvette e di diciotto sottomarini d’assalto, equipaggiati al meglio. Acquistando l’Ammiraglia Gorchkov in Russia e la Hermes in Gran Bretagna, gli indiani si sono dotati di due portaerei. A Fort Blair, nelle isole Nicobar, l’India ha costruito un buon punto d’appoggio per la sua flotta, organizzata in uno stato maggiore marittimo orientale, parzialmente autonomo, che può intervenire, all’occorrenza, nello stretto di Malacca e controllare il Golfo del Bengala. Con questo dispiegamento, la marina indiana si è dotata di un solido “collare” di appoggio nell’Oceano Indiano, con lo scopo di controllare l’aggressività cinese in questo spazio oceanico: infatti, i cinesi hanno negoziato diritti d’attracco in alcuni porti birmani e srilankesi, a Chittagong nel Bangladesh e a Gwadar nel Pakistan. Altri accordi militari legano, invece, l’India all’Indonesia e al Vietnam. La lotta comune contro la pirateria dei mari offre un buon pretesto alla marina indiana per sorvegliare, al fianco dell’US Navy, lo stretto di Malacca e il Mar cinese meridionale.
(FONTE WWW.VOXNR.COM.)