Stati Uniti -1944 – 1980 – Nascita delle Istituzioni internazionali – Di Angelo Cani
Gli Stati Uniti ancor prima della fine della seconda guerra pur rappresentando soltanto il 5% della popolazione mondiale, consumavano il 45% delle risorse prodotte nel pianeta. Con la stessa percentuale di popolazione ancora oggi controllano il 25% della produzione mondiale.
Già da questo dato si capisce come questa nazione, fin dal dopoguerra, sia diventata il Centro di un impero mondiale, mai prima esistito nella storia degli uomini, capace di utilizzare a proprio esclusivo vantaggio le risorse del resto del pianeta.
Il controllo capillare dei paesi, da essi dipendenti, è assicurato dai meccanismi che loro stessi hanno creato, il 22 luglio 1944, con l’accordo di Bretton Woods. Questo accordo ristabiliva i cambi fissi tra le monete, secondo il sistema del gold exchange standard (sistema monetario fondato sulla convertibilità della moneta in oro) e sostituiva, nel ruolo di moneta di riserva, il dollaro alla sterlina. Dando inizio a quell’epoca definita da Victor Perlo “l’economia di guerra in tempo di pace”.
Subito dopo la fine della guerra (dichiarata contro Germania e Giappone, occulta contro la Gran Bretagna), vinta su tutti i fronti, il dollaro, grazie alla sua convertibilità internazionale, consolida il suo monopolio sui mercati internazionali. Ciò permette agli Stati Uniti, unico paese al mondo, di finanziare il proprio disavanzo commerciale semplicemente stampando la propria moneta nazionale.
Sempre a Bretton Woods vengono istituite la Banca mondiale (Bm) e il Fondo monetario internazionale (Fmi) posti sotto l’effettiva direzione USA. Per quanto riguarda il Fondo monetario internazionale già nell’art. 1 troviamo enucleati gli scopi dell’accordo: promuovere la cooperazione internazionale, facilitare l’espansione del commercio internazionale e promuovere la stabilità e l’ordine dei rapporti di cambio, evitando svalutazioni competitive.
La finalità, insomma, era quella di supervisionare il sistema mondiale di pagamenti caratterizzati da parità fisse in rapporto con l’oro.
Gli scopi della Banca mondiale sono:
1)contribuire alla ricostruzione ed allo sviluppo dei territori dei paesi
membri favorendo l’investimento di capitali per scopi produttivi, ivi
compreso il ripristino delle economie distrutte o danneggiate dalla guerra,
la riconversione degli insediamenti produttivi alle necessità della pace e stimolando lo sviluppo delle strutture produttive nei paesi meno sviluppati.
promuovere l’investimento privato straniero per mezzo della fornitura di garanzie o mediante la partecipazione a prestiti ed altri investimenti effettuati da investitori privati; quando capitali privati non siano disponibili in termini ragionevoli, integrando, a condizioni ragionevoli, gli investimenti privati con la fornitura di finanziamenti a scopo produttivo e per mezzo di capitale proprio, di fondi raccolti e di altre risorse proprie.
promuovere lo sviluppo bilanciato ed a lungo termine del commercio internazionale ed il mantenimento dell’equilibrio nelle bilance dei pagamenti incoraggiando gli investimenti internazionali per lo sviluppo delle risorse produttive nei paesi membri, aiutando in tal modo l’aumento della produttività, degli standard di vita e delle condizioni lavorative nei territori degli stessi.
organizzare i prestiti effettuati o le garanzie concesse in relazione a prestiti internazionali attraverso altri canali in maniera tale che i progetti più utili ed urgenti, per grandi o piccoli che siano, vengano trattati per primi.
condurre le proprie operazioni con il dovuto riguardo agli effetti degli investimenti internazionali sulle condizioni degli affari nei territori dei paesi membri e, nell’immediato dopoguerra, favorire una transizione regolare da un’economia di guerra ad un’economia di pace.
La Banca sarà guidata in tutte le sue decisioni dagli obiettivi qui stabiliti.” Insomma la Banca mondiale assumeva il compito di finanziare obiettivi e progetti a lungo termine, quali quelli della ricostruzione delle economie e delle infrastrutture devastate dalla guerra.
Gli accordi di Bretton Woods prevedevano che, sulla base delle quote sottoscritte, uno Stato potesse esercitare il diritto di veto. Gli unici ad avere questo diritto erano, con il 18,31% delle quote, (ne bastavano il 15%), gli Usa.
La Banca mondiale in costante collaborazione col Fondo monetario, gestisce gran parte della politica economica internazionale, influendo negativamente sullo sviluppo dei paesi poveri. I loro interventi sono spesso decisivi per le sorti economiche di gran parte dei popoli del terzo mondo. La maggior parte delle volte i crediti concessi da queste istituzioni sono concepiti, da una parte per condizionare lo sviluppo attraverso il finanziamento dei progetti approvati dal Fmi e dalla Bm , dall’altra per
creare una dipendenza sempre maggiore dei paesi in via di sviluppo nei loro confronti.
Da quanto affermato si può comprendere come queste istituzioni giocano un ruolo determinante quale strumento di oppressione internazionale.
Le politiche che impongono sono: abolizione delle barriere protezionistiche, abbattimento delle garanzie sociali collettive, massiccio intervento del capitale privato internazionale, flessibilità della manodopera, privatizzazioni e produzione rivolta all’esportazione.
I paesi verso cui si indirizzano i maggiori prestiti sono quattro: Brasile, India, Indonesia, Messico (questi Paesi complessivamente rappresentano il 37% degli impegni della Banca). La durata del prestito a lungo termine va da 15 a 20 anni. Alla somma prestata si applicava il tasso d’interesse, fisso fino al 1982, invece ora è variabile (per esempio nel 1985 il tasso era dell’ 8,82% , nel 1989 il tasso era decresciuto fino al 7,86%).
Per ottenere finanziamenti i paesi interessati sono costretti a sottoscrivere accordi in cui si impegnano a prendere provvedimenti che risultano devastanti per le proprie popolazioni: tagli di indennità di disoccupazione, tagli alle pensioni, tagli agli stanziamenti per l’istruzione, sanità, scuola.
Per esempio la crisi argentina è stata voluta dal Fmi e la Bm che imposero al governo argentino la vendita di tutto il patrimonio pubblico. Naturalmente i compratori sono le multinazionali Usa.
L’azienda idrica di Buenos Aires e l’oleodotto che collega l’Argentina al Cile è stata comprata dalla Enron multinazionale in mano agli amici dell’ex presidente Bush senior. Altri hanno comprato sistemi idrici, petroliferi, ferrovie, telefoni. La crisi economica e politica creata ad arte dal Fmi e dalla Bm ha allontanato ulteriormente i capitali investiti, offrendo così l’opportunità a queste istituzioni di intervenire per controllare e stabilizzare la situazione, ponendo ulteriori e peggiori condizioni.
Sempre a B. Woods contemporaneamente alla istituzione della Banca mondiale e del Fondo monetario si parlò anche di far nascere una terza istituzione internazionale, che regolasse il commercio mondiale, da affiancare alla Banca Mondiale e al Fondo monetario, grazie a queste istituzione gli Stati Uniti avrebbero dominato il mondo. furono proprio gli Stati Uniti ( 30 ottobre 1947) a proporre un primo accordo, tra 23 nazioni, in materia di tariffe doganali e commerci. Qualche mese dopo, la conferenza
dell’Avana portò alla firma di una carta istitutiva di una Organizzazione internazionale del commercio di cui facevano parte 53 paesi.
L’Organizzazione internazionale del commercio non vide mai la luce a causa dell’opposizione del Senato USA il quale non ne ratificò il documento fondatore. Le ragioni di tale bocciatura sono dovute esclusivamente al timore che l’Organizzazione potesse essere utilizzata più per regolare che per liberalizzare il commercio mondiale e soprattutto perché non dava sufficienti garanzie di controllo da parte americana.
La necessità di controllare il commercio internazionale tramite una istituzione Internazionale fatta su misura dei propri interessi, dopo aver abbandonato l’ambizioso progetto di istituire un’organizzazione internazionale del commercio, non viene abbandonato dagli Stati Uniti. Ma fu soprattutto la posizione di vincitori della guerra che permise agli USA di prendere in mano l’iniziativa utilizzando la quarta parte della Carta dell’Avana; quella riguardante la gestione della politica commerciale per definire un nuovo organismo. L’accordo generale su tariffe doganali e commerci, come voluto dagli Usa, conosciuto con la sigla anglofana GATT, entrò in vigore il 1 genn. 1948.
Il GATT, egemonizzato fin dall’inizio dagli interessi politici ed economici Usa, è fondato su un trattato di 38 articoli. Questo accordo, che doveva essere provvisorio, durò fino al 1994. E solo dopo la caduta del muro di Berlino nel capitale Usa matura la necessità di trasformare gli accordi GATT, che non riguardavano l’insieme delle attività economiche internazionali in campi essenziali quali i servizi, gli investimenti legati al commercio e la proprietà intellettuale , in una organizzazione mondiale del commercio (WTO).
Il nuovo organismo è dotato di un eccezionale potere esecutivo, mai contemplato fino a questo momento, estende il proprio raggio d’azione molto al di la delle tradizionali questioni commerciali. Le norme del Wto possono, per esempio, limitare l’efficacia delle leggi di un paese in merito alla sicurezza dei cibi o al rispetto delle norme di etichettatura dei prodotti. Inoltre gli Usa possono far ricorso all’art. 301 della loro legge sul commercio che prevede la possibilità di rappresaglia contro qualsiasi paese che rifiuti l’apertura del proprio mercato alle merci made in Usa. Esso prevede, in contrasto con i principi dell’ Omc, l’estensione del ricatto americano al mondo intero.
In conclusione possiamo affermare come queste istituzioni lavorano attivamente in nome delle società multinazionali e transnazionali, senza aver nessun contatto con le masse dei consumatori, dei lavoratori e degli elettori slegate da obblighi quindi più libere di servire al meglio le imprese multi e transnazionali.
L’età dell’oro
Al termine della seconda guerra mondiale l’apparato industriale Usa, che nel corso del conflitto, e grazie ad esso, aveva assunto proporzioni colossali, era, tra quelli delle nazioni industrializzate, l’unico rimasto completamente integro. I profitti e la produzione, grazie ai sessanta milioni di salariati, raggiunsero, nei tre anni postbellici, dei livelli straordinari. La domanda di merci da parte del proprio governo, della popolazione e delle altre nazioni superava in quegli anni continuamente l’offerta. In soli dieci anni le autovetture registrate negli Usa passarono da 27 milioni a 40 milioni.
Il capitale eccedente, che non poteva essere reinvestito nel proprio paese, veniva investito nei mercati europei, ma tali investimenti erano sempre vincolati all’acquisto di beni manifatturieri e alimentari americani. Furono gli anni in cui la General Eletricc invadeva l’Europa e il mondo con i propri frigoriferi e le proprie lavatrici. Erano made in Usa anche le televisioni, le radio, le armi, gli aerei civili e militari. Naturalmente la capacità dei mercati europei di assorbire le merci che provenivano dagli Stati Uniti non era illimitata. Bisognava, al fine di avere un mercato in grado di assorbire la grande massa di capitali e merci accelerando al massimo la rinascita economica dell’Europa e in particolar modo della Germania e del Giappone. Proprio a questo scopo nasce il Programma di ripresa europeo, conosciuto come Piano Marshall, che rappresenta un imponente impegno finanziario del governo americano, verso i paesi europei, destinato a ripristinare le loro capacità produttive. Tra i paesi dell’Europa emersi dalla distruzione della seconda guerra mondiale, in breve tempo, la Germania conquista rapidamente notevoli primati produttivi. Negli anni 1948 – 1963 il prodotto interno lordo, di questo paese, crebbe annualmente del 7,6%. L’Inghilterra nello stesso periodo non andò oltre il 2,5%. E’ sicuramente giustificata l’espressione “miracolo economico” in riferimento alla Germania negli anni Cinquanta. Sulla scena mondiale tornarono ad affermarsi grandi industrie: Krupp, Siemens, Aeg, Bayer, Thyssen. Le esportazioni sui mercati mondiali
balzarono dal 3,6% del 1950 all’ 11% del 1965 ponendosi subito dietro gli Stati Uniti.
Il ritorno sui mercati della Germania e del Giappone comportò, grazie al basso costo del lavoro e alla competitività delle proprie industrie, una diminuzione sostanziale del profitto delle industrie americane. Possiamo dire che negli anni Sessanta in molti settori, sul piano produttivo e competitivo, la Comunità europea, a guida tedesca, e il Giappone, tornano a far concorrenza alle produzioni made in Usa; ciò comportò, per questo paese, un forte calo dei saggi di profitto e la fine del suo incontrastato dominio industriale e commerciale.
Su alcuni settori, in primo luogo quello militare, gli Stati Uniti continueranno comunque a mantenere la propria supremazia.
Gli anni Settanta
Il sistema monetario internazionale, istituito a Bretton Wood, che ha regolato gli scambi nel mondo capitalistico, dopo 27 anni, entra definitivamente in crisi. Esiste una data precisa di inizio di tale crisi: 15 agosto 1971. Fu proprio in quel giorno che il presidente americano Nixon, nella speranza di recuperare competitività sui mercati internazionali, annunciò al mondo la fine della convertibilità aurea del dollaro. Tutte le banche centrali, dei paesi capitalistici, che avevano, negli anni, accumulato una grande quantità di dollari al posto dell’oro, come loro riserve valutarie, non potevano più richiedere l’oro corrispondente. Nixon, quando unilateralmente fece tale scelta non si preoccupò minimamente dei patti che erano stati sottoscritti con i propri alleati.
Tra le diverse cause della crisi un ruolo importante lo ha avuto lo sviluppo industriale dell’Europa occidentale e del Giappone. In un primo tempo il loro sviluppo industriale, complementare a quello degli Stati Uniti, è stato da loro stessi favorito. In seguito le merci tedesche e giapponesi hanno cominciato ad invadere i mercati americani provocando un saldo passivo nella loro bilancia commerciale.
La decisione del presidente Nixon di porre fine al sistema scaturito dagli accordi di Bretton Wood, oltre a scaricare i costi della crisi sui paesi europei e sul Giappone, crea panico in tutte le banche che possiedono dollari come moneta di riserva e quindi cercano di rivenderli in cambio delle loro monete nazionali, ma l’eccesso di offerta svaluta il dollaro rispetto alle altre monete.
Tale svalutazione rende sempre meno conveniente esportare merci dall’Europa verso gli S.U. e nello stesso tempo trasmette in Europa e nel Giappone l’inflazione generata negli Stati Uniti dalle eccessive emissioni di dollari.
Nel 1973 lo “shock petrolifero” dovuto alla decisione dei paesi produttori di petrolio di rincarare del 400% il suo prezzo porta ad una forte spinta inflazionistica. Le nazioni industrializzate, in primo luogo gli Stati Uniti, rispondono con una politica di adattamento alla crisi inflazionistica. Ma come è ovvio una politica inflazionistica oltre a vanificare il potere di acquisto dei salari a lungo andare si ripercuote sui prezzi di tutti i beni non solo di consumo, ma anche sulle materie prime e sui beni di investimento. Perché quelli che per alcuni industriali sono prezzi di vendita, contemporaneamente per altri industriali sono prezzi di acquisto e i loro aumenti fanno salire i prezzi di produzione.
Inoltre in questi anni diminuiscono gli investimenti interni, i capitalisti Usa trovano più conveniente spostare fuori dal proprio territorio tutte quelle lavorazioni che richiedono mano d’opera poco qualificata e ancor meno sindacalizzata. Ingenti capitali vengono riversati in America Latina, Europa e Asia. In dieci anni, dal 1970 al 1980, gli investimenti passano da 31 miliardi di dollari a circa 90 miliardi di dollari. Alla fine degli anni Settanta le imprese europee controllate da capitale statunitense producono l’80% dei computer, la quasi totalità dei circuiti integrati e la metà dei semiconduttori. La delocalizzazione permette al capitale Usa di trarre grandi profitti e di ridurre il potere contrattuale delle classi lavoratrici, grazie appunto all’aumento del numero di disoccupati nel proprio paese.
Sei anni dopo arriva il secondo “shock petrolifero”, ma di fronte ad un rincaro del 250% del prezzo del petrolio il governo del democratico Carter, eletto nel 1976, risponde in maniera opposta rispetto a sei anni prima. Egli cerca di contenere gli effetti inflazionistici, di bloccare il rialzo dei prezzi e di abbattere del tutto l’inflazione.
Come segretario del tesoro nomina il presidente della Federal Reseve Miller e al suo posto viene nominato Paul Volker.
Il nuovo presidente della Federal Riserve, spinto dall’oligarchia finanziaria, intraprende subito la lotta contro l’inflazione che in soli due anni scende dal 19% al 3%. La mancanza di liquidità monetaria da investire fa scendere di circa dieci punti la produzione. Milioni di lavoratori perdono il posto di lavoro, i disoccupati nel 1980 superano l’ 11 % e il numero delle persone costrette a vivere al di sotto della soglia di povertà raggiunge i 25 milioni.
Possiamo affermare in conclusione quanto segue:
alla fine degli anni Settanta l’industria statunitense perde rapidamente terreno nei confronti dei suoi principali concorrenti mondiali;
Le cause, come ho spiegato, sono riconducibili alla maggiore produttività del lavoro che gli industriali tedeschi e giapponesi riescono ad estorcere ai propri lavoratori;
La stessa inflazione perseguita dal governo Carter, su indicazione delle proprie oligarchie finanziarie, che miravano in primo luogo a far arretrare i salari e ad abbattere la rigidità del lavoro, si è rivelata nient’altro che un potente fattore di sconvolgimento economico;
La crisi recessiva che segue, la peggiore del dopoguerra, iniziò nel 1979 e terminò solo dopo tre anni, permise al capitale di raggiungere il suo scopo sociale: abbattere le rigidità, sul piano organizzativo del lavoro, dell’occupazione, delle pensioni e di tutte le conquiste fatte alla fine degli anni Sessanta e i primi anni Settanta.
In questa offensiva i diversi capitali, in lotta fra loro, come diceva Marx “Fratelli, ma nemici; nemici, ma fratelli”, ma sempre uniti, come un sol uomo, contro il comune nemico di classe, sono riusciti a raggiungere anche un altro obiettivo: la formazione di un numeroso esercito industriale di riserva costretto ad accettare qualsiasi forma di flessibilità come chiedevano le oligarchie dominanti.