COMUNITANOIDI ALLA RISCOSSA
“La Grassa va quindi distrutto assieme al corpuscolo tumorale che lo circonda, perché diffonde obnubilazione, difende questo capitalismo e, localmente, oscenità come il berlusconismo. Non si può in alcun modo far passere per una svista, per un semplice errore teorico, la smania di La Grassa & C. – Neostron locali – di veder scorrere il sangue nelle piazze di chi protesta contro le enormi ed intollerabili ingiustizie sociali dell’epoca, facendoli passare per agenti della CIA.
Lo ripeto ancora una volta: questi sono i grotteschi e ignobili effetti concreti di un impianto teorico del cazzo, imbastardito con una geopolitica folle, un impianto che non palesemente funziona, se non in menti ottenebrate con tendenze criminaloidi.Questo è il punto”.
Eh già, questo sarebbe, il punto d’onore dei veri anticapitalisti alla Eugenio Orso o quello dei suoi compagnucci di Comunismo e Comunità, veri socialisti, originali critico-utopisti, autentici cripto-francescani di fantomatiche comunità frugali, già messi alla berlina da Marx nei suoi numerosi scritti. Costoro sono l'espressione letteraria più evidente di quelle lotte nostalgiche, ad uso consolatorio, che servono ai semifilosofi dell'Uomo e dell'Ontologia per farsi belli nei loro ambienti intellettuali un po’ marginali ed ai loro adepti disturbati socialmente per mettere nel sacco chi è persino meno furbo di essi. Avete ragione voi, abbrevierete le sofferenze dei dominati, ne sono sicuro. Come farete? Semplicemente avviandoli, ancor prima del tempo, verso il precipizio e la tomba. Meno male che vi seguiranno solo in quattro, compresi gatti e cani spelacchiati. E di sicuro non basta nemmeno affermare, come fa il più misurato ed intelligente Pagliani, che tali “persone vivono ora, soffrono ora delle contraddizioni del capitalismo e del rapporto sociale capitalistico e hanno tutto il diritto di difendersi ora; quindi non ha nessun senso chiedere loro che si lascino impoverire, derubare o ammazzare per raggiungere un obiettivo vago in un processo dal quale sono per definizione escluse”. Non basta perché, pur riconoscendo i loro (e i nostri) sacrosanti diritti ad un’esistenza migliore, qualsiasi proiezione di tali legittime istanze in una condizione immaginaria di liberazione senza basi reali, servirà esclusivamente a rendere ancor più pesanti le sconfitte e le bastonate che immancabilmente pioveranno sulle nostre teste e su quelle di chi in piazza scenderà con la stessa vista lunga dei ciechi. Sognare ad occhi aperti per andare a sbattere col muso sul muro della realtà non è la soluzione, appunto perché i muri non si lasciano impietosire dagli idealisti e non si spostano di un millimetro per evitare loro l'impatto. E’ giusto combattere per il lavoro, per i servizi pubblici essenziali, i diritti sindacali (non però per quelli sostenuti dalle attuali mafie Confederali) ma ben sapendo che si tratta esclusivamente di preservare un certo standard di benessere sociale e non di fare la rivoluzione. Politicamente queste resistenze non producono nulla e possono anche configurarsi come battaglie di retroguardia, finanche sotto il profilo economico, laddove seguono i giochetti delle burocrazie parassitarie statali, parastatali o del peggiore privato assistito dal pubblico.
Quindi, non si capisce proprio da dove deriverebbe la maggiore elevatezza morale di questa perorazione illusionistica – di cui gli sciocchi sciamani della comunità conoscono alla perfezione la stanca ritualità per averla praticata a lungo – rispetto, per esempio, alla analisi geopolitica (forse più fredda ma oggettivamente più utilie, almeno in questa fase di multipolarismo, di certa filosofia umanistica da bancarella di mercato cittadino). Dal fatto, appunto, che ci sono di mezzo i poveri e gli sfruttati? Per quello c’è già la Chiesa che da millenni svolge un lavoro più capillare ed onesto dei comunitaristi. Prendete questo come un consiglio, cari comunitanoidi, convertitevi in massa ed abbandonate l'Italia per l'Africa dove potrete stabilire tutte le Icarie che volete e nella povertà che desiderate, evitando così anche di avvelenare col vostro settarismo i pozzi della scienza sociale.