IL CASHMERE DI D'ALEMA di G.P.
D’Alema va in vacanza a Saint Moritz e la canea mediatica lo assale con una veemenza tale che il mezzo sangue lazial-salentino deve pure giustificare le sue gitarelle alpine, quasi fosse un poveraccio qualsiasi beccato con le mani nelle sue basse incongruenze.
Nessuno gli perdona il passato da ex comunista e da agit-prop bolscevico nonostante ormai Dalemovic sia un uomo del suo tempo che vive conformemente all’etichetta della contemporaneità, ovvero secondo i dettami dell’era post-proletaria e post-borghese senza orpelli di idealità. Del resto lui, come tutti quelli che vengono dalla gavetta ma poi salgono troppo in alto, si è fatto prendere la mano ed ha cominciato a vivere alla grande tra barche a vela, vestiti alla moda e buone frequentazioni internazionali. Suvvia, il busillis però non sta nelle località chic e nemmeno nelle scarpe da qualche migliaia di euro di cui Dalemix è cultore-calzatore. Baffino è sicuramente più dandy che leader politico, più trendy che stratega di partito ma ha pagato a suon di coerenza la sua nuova vita nella noblesse qui oblige. Dunque è ancora un uomo di classe, ma non ovviamente nel senso politico del termine. Ha perso la classe come idea politica e teorica ed ha trovato la classe che più si addice alla sua aspirazione sociale e stilistica. Un bel balzo in avanti per uno che, “prepubescente”, aveva fatto il suo primo discorso davanti ad un mostro sacro come Togliatti il quale sbigottito ebbe ad esclamare: “questo non è un bambino è un nano”. E nano D’Alema è rimasto, almeno politicamente parlando. Sempre profetico il compagno Ercoli! Ma Spezzaferro tutto ciò che ha avuto se l'è appunto strameritato, pazientemente, solertemente, furbescamente, mettendo e perdendo la faccia in ogni occasione. Non si può dire che sia stato golpe e lione ma alla fine nemmeno tanto coglione. Ha fatto ciò che ha potuto. Inutile, dunque, cercare di vestirgli addosso un abito internazional-operaio così demodé che starebbe stretto persino a un Vendola o a un Bertinotti. Peraltro, in generale, mi pare ingiusto questo accanimento contro i capi di una sinistra ormai stracciata dalla storia che si tiene appesa ad un filo di stoffa pregiata. Maglioncini di cashmere e giacconi old fay firmati Della Valle hanno preso il posto di chefie ed eskimi dei tempi della FIGC. Lorsignori di guache caviar ne avranno forse perso in innocenza e credibilità ma ne hanno sicuramente guadagnato in guardaroba ed eleganza. Povero “Lider”, anche se i suoi per compiacerlo lo chiamano ancora capo non è di certo per quello che lui crede. D’Alema è un capo, sì ma d’abbigliamento. Ma l’abito non fa il monaco e se è per questo nemmeno lo statista. A nulla serve atteggiarsi a Machiavelli se si è più maldestri di uno Charlot. Massimo come individuo di Stato ha infatti collezionato solo cadute, ruzzoloni e fallimenti. Dalla bicamerale al Governo. Chi adesso gli ha messo in mano il Copasir deve essere un regista impenitente di remake comici che cerca di fare ancora divertire il pubblico alla vecchia maniera. Alla guida di un esecutivo però D’Alema ci è arrivato lo stesso (primo leader ex-comunista ad assurgere a tale incarico), con un bel colpo di mano alla sudamericana e nonostante si fosse da poco battezzato nella setta dominante dei democratici mondiali. Al calar del '98 gli statunitensi avevano deciso di annichilire la Serbia a forza di bombe intelligenti perché Milosevic proprio non voleva saperne di entrare nella sfera d’influenza di Washington. Costoro chiamarono Cossiga il quale disse agli yankees che per conseguire i loro interessi imperiali dovevano affidarsi ad uno di sinistra. Insomma, era la variante internazionale del pensiero che Agnelli applicava allo Stivale: “i miei interessi di destra sono meglio garantiti da un governo di sinistra”. Et voilà, nel '99 i bombardieri volarono su Belgrado per colpire un popolo sovrano e ridurlo a più miti consigli. Baffino di ferro con linguaggio orwelliano definì quell’aggressione unilaterale una guerra umanitaria a sfondo solidale. Un colpo di genio linguistico che solo ad un intellettuale della sua caratura sociale poteva balenare nella testa. Peccato però che l’OSCE lo abbia più volte smentito attestando l’inesistenza di qualsiasi genocidio in quelle terre balcaniche. Ma lui se ne frega di quello che dicono gli altri e puntualmente, ancora oggi, a chi gli rinfaccia di essersi comportato come un servo di lontani padroni risponde di essere stato un grande benefattore di popolazioni. Ovverosia, è fiero di aver contribuito a far nascere il Kosovo, cioè uno stato indipendente in mano a narcos e mafiosi nel cuore della civilissima Europa. Ma dopo la gloria, come tutti i grandi della storia sanno, viene sempre la polvere e Massimo per sopravvivere ha dovuto arrabattarsi con piccoli lavoretti nei ministeri o negli organismi parlamentari. Per arrotondare lo stipendio si è dato anche alla finanza ma con scarsi risultati e molte fregature rifilate agli altri (vedi il fallimento della banca 121 del suo amico De Bustis). Infine, a causa della sua incompetenza si è fatto beccare al telefono come un pivellino mentre tentava di accaparrarsi titoli azionari quasi fossero sogni. A Consorte disse infatti “dai facci sognare” ma qualcuno volle tirargli un brutto scherzo che equivalse ad un triste risveglio. Lo svaligiamento della BNL ad opera della banda Massimotti fu sventato e il trio “D’alema-Fassino-Latorre” restò con l’amaro in bocca e la tasca vuota. Quello che è successo l’altro ieri pertanto è solo una bazzecola rispetto a quanto qui raccontato, per cui è difficile comprendere perchè l’esponente democratico non ha taciuto come in altre occasioni sulle quali avremmo gradito saperne di più (non i magistrati che invece sono sempre troppo impegnati con Berlusconi per occuparsi del resto). Ma tant’è, con la caduta politica è arrivata pure quella di stile. Forse D’Alema è stanco ed è giunto all’ultima stazione, quella del pensionamento. E noi lo salutiamo all’americana, proprio come lui fece qualche anno fa col Segretario di Stato Condoleezza Rice: Bye Bye Max, non ci mancherai per niente.