LE MOLTE COSE CHE NON QUADRANO NELLA VICENDA FIAT di G. Germinario

La vicenda del referendum a Mirafiori non ha assunto l'impatto traumatico della marcia dei 40.000 di trenta anni fa, ma segnerà in maniera più profonda il futuro del paese. Ha una propria carica emotiva, ma l'importanza intrinseca dell'evento sarà ridimensionata in tempi brevi.

Più che altro è la certificazione, nemmeno fedele, in questo sta la sorpresa, almeno per quel che mi riguarda, di un rapporto di forze squilibrato. Marchionne, infatti, con sagacia ha chiosato confidando semplicemente nel fatto che un anno di chiusura della fabbrica, i nuovi impianti e la nuova organizzazione del lavoro, il nuovo contratto individuale di lavoro indurranno parecchi dei riottosi ad accettare le novità. Gli eventi realmente traumatici dovranno ancora maturare in uno scenario pieno di incognite ed imprevisti ma dove le strategie dei vari attori in campo cominciano a delinearsi più chiaramente. Intanto la FIAT: dal 2003, anno della drammatica crisi conclamata, al 2008 il gruppo dirigente avvia una azione di cessione di attività collaterali, di trasformazione del debito bancario in partecipazioni azionarie, di riorganizzazione parziale della struttura organizzativa e di avvio di collaborazioni paritarie in India e Cina. In posizione di debolezza, ha mantenuto i tradizionali legami, non più esclusivi, con gli apparati dello stato di riferimento e interloquito come da tradizione con sindacati e politici, soprattutto di centrosinistra; nel complesso, però, sembrava destinata a proseguire, con qualche sussulto, verso il declino. Nel 2008 la svolta: viene cooptata in Chrysler, in una azienda dove Governo e sindacato USA sono gli azionisti finanziatori, la FIAT è l'azionista di minoranza fornitrice di tecnologia, rete commerciale e management direttivo. L'accordo è dettagliato nei tempi e nei contenuti e prevede vie di uscita solo per gli americani. Da allora i tempi dell'azione, in Italia, ha cominciato a dettarli Marchionne, con una visione da stratega più che da mero tattico; sia verso il PDL ed il Governo da cui ha rivendicato la piena autonomia di azione, sia ignorando ostentatamente il centrosinistra. Quello che colpisce è la linearità dell'azione politica, in netto contrasto con la precedente scuola dell'Avvocato. Con la disdetta del contratto nazionale e l'accordo separato ha inferto un colpo energico all'attuale sistema concertativo, il più nefasto, tra sindacati, Confindustria e Governo più che a quello contrattuale, il primo già in crisi per motivi di contrapposizione politica tra CGIL e Governo e per una gestione della spesa pubblica meno “condivisa”, il secondo, quello contrattuale, perché dei tre ambiti ha quasi esaurito quello interconfederale, ha ulteriormente ridimensionato quello aziendale già praticamente sparito nelle piccole e medie aziende, trasformato nelle grandi. Va ricordato che il contratto aziendale, nella dinamica sindacale avviatasi negli anni '70, ha assunto la funzione di traino e sperimentazione dell'azione e del consenso sindacali i cui risultati venivano poi consolidati nel contratto nazionale di lavoro; solo ultimamente tendeva a prevalere una azione integrativa rigidamente subordinata alle direttive contrattuali nazionali. Si tratta, quella di Marchionne, di una azione tesa ad assumere il controllo interno all'azienda con meno intermediari; qui il bersaglio è distorto, forse volutamente, perché il problema della FIAT non è la visione verbalmente conflittuale della FIOM, ma la gestione interna delle proprie risorse e del tipo di relazioni tra il personale; trattandosi di gruppi significativi, della loro gestione politica. Marchionne e la FIAT tendono, soprattutto, a porsi come modello di quei ceti produttivi medio-piccoli che negli ultimi vent'anni l'hanno criticata per il suo parassitismo e ad assumere la leadership a scapito delle industrie strategiche. È questa la novità dinamica rispetto alla palude immobilista del blocco retrivo. Il silenzio della Lega e il disorientamento di Berlusconi e della sua componente ex-socialista sono eloquenti. Nel breve periodo il terreno sembra favorevole all'avvio del disegno perchè sia il federalismo della Lega che soprattutto l'attuazione del programma politico di Berlusconi sono chiaramente in stallo già dal precedente mandato; sia perché l'élite delle industrie strategiche pubbliche che i funzionari facenti parte dei gruppi decisori collegati non sembrano porsi organicamente il compito della realizzazione di un blocco sociale, tanto più in una situazione in cui inizialmente, con la Lega, i ceti produttivi medio-bassi hanno assunto un atteggiamento apertamente ostile verso tutte le grandi aziende, in particolare pubbliche.

Nel lungo periodo la situazione appare molto più problematica per la fragilità intrinseca della struttura della multinazionale e del contesto internazionale in cui opera, per la sua sempre più scoperta emanazione americana. Man mano che il processo di trasferimento delle tecnologie a Chrysler andrà avanti assieme all'integrazione societaria, sarà sempre più facile che le situazioni di crisi congiunturale se non il fallimento del progetto scatenino il contraccolpo diretto più duro in Italia direttamente in azienda ma anche nel settore bancario, particolarmente esposto e ancora legato a FIAT e alla finanza americana. Riguardo alla possibile mediazione del conflitto con Confindustria, probabilmente la maggiore vittima designata di questa strategia, il risultato sembra essere quello di un futuro contratto nazionale del settore auto; un esito che da una parte prende atto dell'eterogeneità della situazione sociale ed economica del paese, dall'altra, con il possibile prevalere delle componenti subordinate, lascia prefigurare un ulteriore salto nella frammentazione del paese e nella sua divisione in enclaves.

Una attenzione particolare merita il comportamento dei sindacati, in particolare di CGIL e FIOM, attualmente, con il collasso del PD, il baluardo politico residuo della sinistra-sinistrata.

Di queste ultime colpiscono:

• l'iniziale inesistenza e la debolezza successiva di tentativi di coinvolgimento del Governo nella vertenza; la strumentalità è legata al tentativo di escludere Berlusconi e delegittimarlo nella sua azione, in questo rivelandosi una pura protesi dell'antiberlusconismo del PD; non si è accorta che questo atteggiamento sta aprendo voragini all'iniziativa egemonica di Marchionne, in competizione con Lega e settori del PDL, verso i ceti produttivi e inducendo Berlusconi a restare ai margini con la tentazione di stringere un patto che accetti questa egemonia. Motivi per un intervento pesante del Governo ce ne sarebbero: oltre a quelli squisitamente politici e strategici, ci sarebbero i costi pubblici derivati dell'accordo (cassa integrazione, formazione, costi assicurativi, infrastrutture, se non finanziamenti diretti anche se per ora sdegnosamente reietti), vista la necessità di contenerli al minimo a favore di un settore non strategico. In passato il sindacato ha coinvolto per molto meno il Governo; tra l'altro sarebbe la via per conoscere con qualche dettaglio quel piano di investimenti propedeutico ad una trattativa seria su diritti e condizione di lavoro; quello stesso piano che Marchionne ha dovuto esplicitamente trattare negli Stati Uniti.

• L'approccio sempre più riduttivamente operaista della FIOM, che fa il paio con l'apertura acritica verso i centri sociali e movim
enti vari, sino a riconoscere la maggiore legittimità delle componenti operaie più dequalificate rispetto al resto, condannandole, con ciò, ad un isolamento sempre più disperato. Lo stesso discorso dello sfruttamento è affrontato in maniera del tutto statica, come se la realtà fosse immutata. Se è vero che una riorganizzazione e automazione dei processi possono portare anche ad un peggioramento di orari e pause, solitamente portano ad un alleggerimento della fatica fisica e del rischio assieme, purtroppo, ad una semplificazione delle mansioni e ad un maggior controllo verticale dei processi. In pratica il sindacato, FIOM e CGIL in particolare stanno perdendo sempre più la rappresentanza dei settori più professionalizzati. Un altro bel pezzo di patrimonio storico del sindacato che se ne va.

• Riguardo ai diritti, in realtà il diritto di rappresentanza riconosciuto ai sindacati, siamo all'apoteosi dell'equivoco; dopo che per quarant'anni ci si è rifiutati di codificare le procedure di elezione ed esercizio delle rappresentanze dei lavoratori dipendenti, confidando nel sempiterno riconoscimento e sostegno reciproco tra Confindustria ed i quattro sindacati confederali, ora si urla per una interpretazione forzata ma legittima che porta all'esclusione di una componente e si minaccia una rivoluzione colorata probabilmente per ottenere il rientro al tavolo di trattativa, piuttosto che una legge di effettiva rappresentanza democratica elettiva dei dipendenti. In ciò, la feroce competizione sindacale assume spesso un ruolo devastante.

In questo, il sindacato ha un ruolo fondamentale non strategico ma di supporto nell'azione di contenimento del paese in un ruolo subordinato; la condizione peggiore per garantire ai dominati condizioni decenti di vita.