POLITEISMO E OGGETTIVITA’ DEI VALORI di M. Tozzato
Sul Corriere della Sera di oggi (05.12.2010) si può leggere un articolo di Giuseppe De Rita che, al di là della risonanza mediatica che le esternazioni papali sembrano spesso provocare, pone l’accento sulla reale “irrilevanza” dei discorsi proposti dalla Chiesa cattolica sia nel confronto con le parti politiche che in riferimento al concreto modo di vivere della gente. Nel rapporto tra il mondo cattolico e i protagonisti degli ambiti correlati della comunicazione e della politica il ruolo centrale viene tenuto dal
<< rapporto fra dimensione ecclesiale e potere sociopolitico.
È chiaro che quest’ultimo è propenso, in nome della modernità, a favorire una crescente espulsione della dimensione religiosa dallo spazio pubblico, ma ciò alla fine crea certo una diminutio parallela: la Chiesa è costretta o si adatta a far politica ecclesiastica, di realistico adattamento al potere e quindi senz’anima ecclesiale; mentre lo spazio pubblico diventa sempre più troppo prigioniero delle dinamiche istituzionali (la laicità dello Stato, la esaltazione della legalità, il primato delle procedure decisionali, ecc.) con l’effetto che proprio lo spazio pubblico, quello di tutti, finisce per diventare privo di senso collettivo e di adesione partecipativa. Il secondo ambiguo campo di dialogo è quello del rapporto con la modernità e la post-modernità.>>
Sembra proprio che il sociologo del Censis paventi il pericolo che il relativismo etico e valoriale, il conflitto eccessivo tra prese di posizione ispirate a valori diversi e lo “svuotamento”, per gran parte dei cittadini, dei contenuti etico-politici tradizionali a favore del formalismo etico e legalistico dello stato laico di diritto possano produrre effetti disgreganti nel tessuto delle relazioni sociali alimentando devianza e “dis-integrazione”. Così continua infatti De Rita nel suo articolo:
<<La Chiesa certamente soffre la crescita della secolarizzazione e della riduzione della religione a fatto privato, residuale e premoderno, ma ancora più soffre la crescita del politeismo dei valori e del conseguente relativismo culturale ed etico. Va però notato che tale politeismo ha effetti devastanti anche sulle ambizioni di una modernità che, essendo sempre meno governata, lascia il campo valoriale alla mercé del primato della soggettività (culturale ed etica) con effetti di egoismo, particolarismo, cinismo, che all’occhio critico appaiono più guicciardiniani che moderni.>>
A tale proposito Max Weber, in un suo saggio del 1904, scriveva:
<<…che cosa implica e quali finalità persegue una critica scientifica degli ideali e dei giudizi di valore ?>> Per l’uomo che deve agire rispondeva Weber <<la scienza può essere di aiuto nel prendere consapevolezza del fatto che ogni agire – e naturalmente anche, a seconda delle circostanze, il non-agire – implica, nelle sue conseguenze, una presa di posizione a favore di determinati valori e quindi – ciò che oggi viene così spesso e volentieri misconosciuto – di regola contro altri. Compiere una scelta è però affare suo.>>
Anche Weber come De Rita tiene in considerazione il problema dell’”oggettività” dei valori: <<Ed è ben vero anche che proprio quegli elementi più intimi della “personalità”, ossia quei giudizi di valore supremi ed ultimi che determinano il nostro agire e danno senso e significato alla nostra vita, vengono da noi percepiti come qualche cosa “oggettivamente” dotato di valore.>>
E difatti la considerazione spesso ripetuta che probabilmente la vita umana e il cosmo sono privi di senso, ma ognuno di noi può costruirsi , inventarsi il suo, regge poco alla verifica esistenziale che possiamo sperimentare tutti noi. Anche chi considera in maniera disincantata che le cose per cui combatte – dal punto di vista della loro “verità” – non hanno in ultima analisi alcun valore, deve ammettere che la passione necessaria per lottare non può non derivare da un sentimento (emotivo, morale o altro) della validità cogente di ciò per cui si impegna. E’ comunque necessario accettare che dal punto di vista scientifico l’unico tipo di analisi “oggettiva” dei valori debba, per iniziare,
<<entrare in conflitto in merito ai criteri regolativi di valore stessi, dato che il problema si inoltra qui nella regione delle questioni generali legate alla cultura. E a confliggere tra loro non sono solo, come oggi spesso e volentieri si ritiene, “interessi di classe”, ma anche visioni del mondo – fatto naturalmente salvo che per scegliere a quale visione del mondo aderire permane decisivo, per il singolo [e per il gruppo sociale .N.d.r.], accanto ad altri fattori, e sicuramente in misura assai maggiore, il grado di affinità elettiva che lega quella visione al suo “interesse di classe” (dando qui comunque per buono questo concetto solo in apparenza univoco).>>
In altre parole il conflitto strategico tra gruppi dominanti per la supremazia ha bisogno di mettere in campo visioni del mondo in contrasto tra loro, che risulteranno tanto più efficaci quanto più riusciranno a strutturarsi come vere e proprie formazioni ideologiche; assieme ad esse compariranno in primo piano le lotte per i mezzi materiali necessari per arrivare al predominio, economici e politici in senso lato. Ogni gruppo dominante o formazione sociale-statuale particolare dovrà, perciò, organizzare al meglio tutte le risorse in suo possesso per far prevalere il suo interesse generale (nazionale o di gruppo) finalizzato all’aumento della propria potenza e/o al miglioramento della propria posizione nella scacchiera globale.