SEMPRE PIU’ DIFFICILE (di Giellegi, 9 dic. ’10)
E’ “divertente” (si fa per dire) quel che accade (o sembra accadere) ad Obama. E’ il diverso per eccellenza che è asceso ad una carica eccellente. E’stato il “Dio” dei “sinistri progressisti” che hanno eiaculato quando è stato eletto; perché per loro il diverso è ancora più diverso che per i razzisti, solo che lo è in senso buono, come summa di tutte le virtù (“teologali”, “cardinali”, e altre). Adesso, dopo la diffusione dei documenti Wikileaks (di second’ordine ma pur sempre significativi, come già messo in luce in un precedente articolo), appare che, tutto sommato, forse Obama appartiene agli ambienti statunitensi meno ostili (comunque non certo di più) al Cavaliere, che doveva invece essere appoggiato da quel cattivone di Bush, vergognosamente bianco (a dir la verità, c’era anche Condoleeza Rice, ma questa forse sì era veramente solo abbronzata per mettere in difficoltà i “progressisti”, salvo il famoso “rubacuori”che le sussurrava “Condy” alla cornetta).
Intervistato dall’Annunziata (un nome, un programma), Frattini ha affermato all’incirca: “noi ritenevamo che l’azione sostenuta dall’ex vicepresidente americano Dick Cheney [sì, proprio uno dei più duri e decisi neocon dell’Amministrazione Bush, “falco” tanto quanto Rumsfeld, promotore sia della prima che della seconda guerra del golfo, ecc.] non corrispondesse alla nostra, ritenevamo che isolare la Russia fosse un errore”. Capito? Chi sussurrava “Condy” ha mai avuto il coraggio di manifestarle il proprio dissenso come ha fatto il Governo Berlusconi con Cheney e quindi con Bush, che doveva essere il suo vero alleato a differenza del “buono” Obama, amico dei “progressisti” (i più infami reazionari e traditori del paese che si ricordino in tutta la storia d’Italia)? Posso ritenere di no o sono troppo malizioso?
Al recente vertice di Lisbona della Nato, i rapporti con la Russia sono stati al centro dei colloqui al pari dell’exit strategy dall’Afghanistan. Dopo le tensioni degli anni scorsi, la Russia ha trovato un accordo con gli Usa circa lo scudo antimissilistico, facendo pure concessioni in merito al sedicente terrorismo islamico, ivi compreso appunto quello talebano, che la Russia teme possa contagiare la zona centroasiatica, dove comunque non ha ripreso completamente il controllo, dovendo ancora vedersela con gli Usa (e anche con la Cina, in specie in Kazakistan). Sarebbe dir troppo affermare che l’Italia ha fatto da paciere tra Usa e Russia. Resta il fatto che la “tattica del serpente”, tipica della politica obamiana, non è in contrasto con la politica estera di Berlusconi nello stesso senso e forza di quella della “tigre” praticata precedentemente. Non a caso i documenti Wikileaks, chiaramente anti-obamiani, hanno attaccato in modo speciale membri dell’attuale governo italiano (in specie il premier) mentre hanno taciuto su tutti quelli del centro-sinistra; e solo faziosi e cretini possono pensare che ciò sia dovuto al fatto che questi sono onest’uomini (del tipo di Mackie Messer nell’Opera da tre soldi).
Naturalmente non siamo ingenui e quindi ci rendiamo conto benissimo di alcuni fatti evidenti (salvo che per i suddetti cretini e faziosi). Intanto, la Russia, oltre a suoi interessi antimusulmani nella zona interessata dall’influenza di ciò che avviene in Afghanistan, ha senza dubbio preso atto che gli attuali dirigenti Usa, dopo le crisi degli anni scorsi, accettano di fatto, mediante la suddetta nuova tattica più soft, un periodo di multipolarismo. Una volta visto riconosciuto il suo ruolo di potenza in crescita, la Russia ha forse accettato a sua volta di trascorrere un periodo di calma e assestamento delle posizioni per potersi ulteriormente rafforzare. E’ probabilmente questo che gli ambienti americani, all’origine di Wikileaks, non apprezzano; essi – come ad es. il gen. McChrystall, rimosso dal comando supremo in Afghanistan per recise critiche alla “mollezza” del Governo attuale – vorrebbero mantenere la pressione sulla Russia, ritenendola più pericolosa della Cina nel medio periodo, malgrado i più superficiali commentatori (anche di “sinistra”) si facciano influenzare dalla crescita economica di tale paese.
Se sono lecite analogie storiche di larga massima, Obama (personalizzo ma penso sempre ai gruppi strategici che in certi personaggi si esprimono) segue una politica più nixoniana. Il Presidente del Watergate approfittò della terzietà della Cina rispetto al mondo bipolare di allora e aprì ad essa per accentuare la sua conflittualità con l’Urss (il “socialimperialismo” indicato quale nemico principale rispetto all’imperialismo, castroneria in cui caddero tutti i maoisti, fra cui il sottoscritto). Nello stesso tempo, furbescamente, manteneva contatti “elastici” con l’Urss; e in fondo – sarebbe ora di smetterla con la retorica e di definire gli avvenimenti per quello che furono – consentì la vittoria della guerriglia vietnamita (non poteva vincere, ma rimanere ancora a lungo in zona facendo stagnare la situazione, alla faccia delle balle sul logoramento del morale statunitense, sull’opposizione popolare con le solite roboanti sparate) per impedire che il permanere della tensione favorisse la crescita della fazione filo-cinese nel partito comunista nordvietnamita. Invece sappiamo come andò a finire tra Cina e Vietnam (filosovietico), con sollievo per gli Usa e, in definitiva, pure per l’India, antagonista di fondo della grande potenza asiatica, malgrado tutte le giravolte che vedremo nei prossimi anni.
A differenza di Nixon, la cui funzione storica verrà un giorno rivalutata rispetto ai “santini” Kennedy o Reagan (del tutto sopravvalutati), i superficiali, perfino “a sinistra”, credono ancora che quest’ultimo sia il vero artefice del crollo dell’Urss avendola costretta allo stress da eccesso di spesa per armamenti. Decisivo è stato invece il cedimento interno dovuto alla nuova e ideologicamente ignorata struttura sociale; con il suo blocco di “ceto medio” fortemente cresciuto, come in ogni processo di sviluppo capitalistico, e non riconosciuto nella sua consistenza e decisiva funzione sociale. Semmai, come causa secondaria ma pur sempre rilevante, va ricordata appunto la conflittualità tra Urss e Cina, abilmente alimentata soprattutto con le mosse dell’era nixoniana, che continuarono a produrre effetti anche successivamente.
Oggi, sempre mutatis mutandis, sussiste una non troppo dissimile divisione tattico-strategica: i “falchi” (dominanti in precedenza) che insistono per premere sulla Russia e costringerla a nuovi supposti stress; e chi invece riconosce, ma non credo con la comprensione profonda del processo, che un certo multipolarismo va ormai tenuto presente, giocando sul conflitto tra le potenze in crescita. Probabilmente vi è un certo intuito nel puntare sul conflitto (ancora latente) proprio tra le due (Cina e Russia), che sono anche nuove formazioni sociali (in gestazione) in quanto uscite dal processo storico iniziat
o con la Rivoluzione d’ottobre. Sembra comunque siano questi i motivi per cui, almeno entro certi limiti, l’amministrazione Obama consente qualche spazio di manovra in più a chi ha rapporti non tesi (anzi) con la Russia.
Tuttavia, non ci si faccia illusioni. Ripeto che anche quest’amministrazione non ha capito a fondo l’irreversibilità della marcia in direzione del multipolarismo e, soprattutto, che quest’ultimo è semplice anticamera del policentrismo. Non sono in grado di sapere se questa incomprensione è favorita pure da una specifica congiuntura in cui vi è reale attrito tra Putin e Medvedev, cioè tra due tattiche, anch’esse differenziate, all’interno della politica russa. Forse è così, ma difficile è cogliere fino a che punto possa sussistere una reale contrapposizione tattica; e di quanto questa eventuale esistenza possa ritardare la progressione verso il multipolarismo. Certamente, negli Usa, il gruppo strategico Obama punta a questa differenziazione; l’altro (e sono convinto che sia almeno in parte responsabile della diffusione dei documenti sputtananti), come già detto, è più favorevole alla riedizione del reaganismo con la sua errata interpretazione del crollo dell’Urss per stress.
Poiché quella obamiana è una semplice tattica – non una strategia di ampio respiro, di lungimirante previsione che ci si deve attrezzare alla lunga guerra (di prevalente posizione, con semmai brevi periodi di quella di movimento) tipica del multipolarismo in quanto prodromo del più acuto scontro policentrico – non ci si aspetti in ogni caso dagli Usa un’eccessiva tolleranza rispetto alla possibile maggiore autonomia dell’attuale Governo italiano in politica estera. I viaggi di quinte colonne finiane (e dello stesso Fini) negli Usa, quelli di cui parla con chiarezza Il Foglio (in un articolo da noi riportato nel blog) sembrano dimostrarlo. Per quanto anche altre spiegazioni sarebbero plausibili. All’interno della stessa amministrazione statunitense odierna, magari appunto come all’interno della dirigenza russa, potrebbero sussistere le già considerate due linee, in divergenza maggiore o minore. Ci si dovrà abituare, nella fase che s’apre, ad una complessa lettura della politica dei vari paesi, sia di quelli che si potranno definire potenze, sia delle subpotenze o di “media portata”. Ci si ristudi l’epoca a cavallo tra otto e novecento; malgrado le ovvie differenze, sarà ricca di insegnamenti e di addestramento a interpretazioni di politica internazionale meno rozze e superficiali di quelle attualmente in corso (anche da parte nostra, sia chiaro).
Comunque evolvano gli avvenimenti dal 14 dicembre in poi, gli intendimenti delle due fazioni italiane in scontro sono ormai chiari. E’ però altrettanto evidente che lo schieramento, da considerarsi relativamente “autonomista” in politica estera, è poco compatto e sensibile invece alle pressioni dei vari ambienti statunitensi e alle loro tattiche tutt’altro che coerenti ed univoche. I “traditori” degli interessi nazionali non sono tutti da una parte, quella del PAB (partitume o anche poltiglia antiberlusconiana). E lo stesso Berlusconi ha dimostrato di non essere capace di “tenere la barra dritta” con vero piglio da statista (che non è!). Per questo, a mio avviso, sarebbe stato augurabile che l’Italia fosse un paese con forze (veramente forti e di estrema durezza e decisione) in grado di dare un colpo definitivo a tutte le varie e disgustose mene in corso da molti mesi.
Per quanto mi concerne, ritengo che perfino un colpo di Stato militare sarebbe stato meno peggiore di questa melmosa putredine, costituita da gruppi (non) dirigenti economici (gli scandalosi vertici confindustriali e bancari) e da un ceto che ha usurpato il nome di “politico”. Qualcuno potrebbe obiettare, con indubbio realismo, che i corpi militari italiani sono molto legati alla Nato. Sembrerò forse un po’ capzioso, ma ricordo che, perfino in paesi come Irak e, ancor più, in Afghanistan – paesi dove vi è addirittura occupazione militare statunitense, governi sostenuti da questa, nel secondo una guerriglia in corso – i governi in questione, alla fin fine, hanno dimostrato di non dare sempre piena soddisfazione agli Usa. In Afghanistan si era perfino cercato di invalidare l’elezione di Karzai, perché non troppo fidato per gli occupanti (come non lo sono i vertici pakistani); poi si è soprasseduto perché il “rammendo sarebbe stato peggiore dello strappo”.
Gli Usa si trovano assai più a loro agio a manovrare, e pescare nel torbido, dove una guerra per bande ha dissestato, come in Italia, il tessuto sociale e pure istituzionale. Essi hanno notevolissimi pensatori strategici, ma pessimi centri esecutori delle strategie, con servizi (Cia, Fbi, ecc.) in contrasto, poiché espressione di conflitti tra ambienti economici, politici, militari, che stanno dimostrando notevole incertezza e insipienza, dato che non si aspettavano minimamente la veloce involuzione della prospettiva imperiale succeduta al “crollo del muro” e il rapido avvio di un non ancora robustissimo, ma comunque già discretamente solido, multipolarismo. Ergo, meglio un colpo di Stato militare in paesi dissestati come il nostro piuttosto che l’attuale guerra per bande; e con due bande del genere che abbiamo, appoggiate da un ceto intellettuale di puri vermi e da “masse” popolari del tutto ignare del gioco condotto da furfanti corrotti e inetti.
Del resto, anche la “massa” legata alla (mantenuta dalla) spesa pubblica clientelare e assistenziale, promossa in specie dal PAB, è corrotta e inetta come i suoi “capi”. Impossibile uscirne con regolari “elezioni democratiche”, che funzionano in ben diversi contesti sociali, più assestati e ben strutturati. Bisognerebbe impartire una lezione definitiva ai corrotti e inetti, mettendoli a “regime duro” per almeno un decennio a dir poco, e disperdendo le loro “masse”, non più alimentate dallo spreco di “denaro pubblico”. Si risanerebbe così l’ambiente, disinfestandolo dai parassiti; poi si potrebbe riprendere il corso normale della “democrazia per lobbies”, con annessi blocchi sociali minimamente strutturati.
Comunque, per adesso siamo spettatori. Cerchiamo almeno di osservare bene quel che avviene. Intensifichiamo la nostra analisi: e teorica (per avere migliori categorie d’analisi) e di accertamento dei movimenti contingenti che provocano questo immane dissesto strutturale della società italiana, vero territorio di scorrerie da parte di bande avverse provenienti dall’estero (anche dalla ignobile Unione Europea e non solo dagli Stati Uniti). Formuliamo alcune linee guida di un possibile pensatoio.
PS Per favore, non mi si attribuisca, con la mentalità del lettore “medio”, una serie di sciocchezze che non ho detto. Non posso prevederle perché la fantasia di questo lettore è sfrenata. Comunque, dico solo che non faccio alcuna previsione sicura per i prossimi venti, trenta o perfino cinquant’anni. Non dico ad esempio che la Cina diverrà
la nuova superpotenza globale, che Russia, Cina e India risponderanno ai sogni di qualcuno e si metteranno insieme per schiacciare gli Usa; e altre banalità simili da profeti e indovini. Dico invece che siamo entrati in un’epoca in cui è finita – ma non per i secoli dei secoli, solo per la prossima fase storica – ogni idea di superpotenze che dominano il mondo. E questo vale non solo per questa o quella nazione, ma anche per quelle inesistenti (salvo che nelle fantasie giornalistiche) superpotenze che sarebbero le multinazionali o l’inesistente internazionale finanziaria, ecc. Le uniche previsioni di massima che formulo sono relative alla ripresa in grande della conflittualità interstatale – alla faccia di coloro che ancora predicano la fine degli Stati nazionali, la più grande aberrazione degli ultimi vent’anni – e allo sviluppo ineguale dei vari capitalismi, che non si riducono a quello borghese, l’unico che ancora la maggioranza riesce a vedere, a quanto constato. Detto questo, dovremo abituarci a considerare la nuova epoca come nuova in tutti i sensi. Gli unici insegnamenti che potremo utilizzare, ma con il solito grano salis, dovremo trarli da quella a cavallo tra otto e novecento; allargando il quadro all’estremo limite possibile, possiamo spingerci a considerare quella tra la guerra franco-prussiana (o anche la guerra civile americana, molto istruttiva) e la seconda guerra mondiale. Tuttavia, lo ripeto, senza fissarci su somiglianze del tutto improprie, aperti invece ad ogni “spirare di vento”. E solo un grande lavoro teorico, con capacità di astrazione che sono andate a farsi benedire da tempo immemorabile, può darci alcune linee direttrici di massima, utilissime a guidare la nostra considerazione “empirica” senza le banalità che si leggono ormai da tutte le parti, sfuggendo però anche alla tentazione di trarne impossibili strette deduzioni “logiche”.