CI SARA’ RESA DEI CONTI? (di Giellegi, 31 gennaio ‘11)



Voglio essere molto chiaro. Culturalmente sono nettamente più vicino all’americanismo che non all’islamismo, sia “radicale” che “moderato” (e nemmeno mi piace la cultura cinese; quella russa, certamente sì, ma perché è decisamente europea). Detto questo, resto nettamente contrario al tentativo degli Usa – forse, ma non ci credo molto, presi pur essi alla sprovvista dal movimento partito dalla Tunisia e allargatosi a tutto il mondo arabo, in specie a quello dei regimi “moderati” e alleati dell’occidente (cioè degli Usa), ferventi sostenitori del Quisling Abu Mazen, quindi più che “morbidi” verso Israele – per volgere ancora una volta a loro favore quanto sta accadendo.

    Si legga su La Repubblica (28 gennaio) l’intervista a El Baradei, che parla da “liberaldemocratico”; senz’altro critico verso Usa ed Europa, soprattutto però, almeno questa è al momento l’impressione, per il fatto che non hanno creduto per decenni in tipi come lui, hanno avuto eccessiva paura del fondamentalismo islamico, appoggiando quindi regimi “dittatoriali” e corrotti. Risulta tuttavia evidente che per il leader dell’opposizione egiziana (così almeno si dichiara) quelli “liberali” sono invece democratici e i migliori.

Non so le cause più profonde del sommovimento in atto; non penso comunque che tali cause risiedano semplicemente nella fame: o di pane o, più ridicolo, di “democrazia”. Nemmeno sono però convinto che tutto sia preordinato da manovre esterne, né degli Usa né del fondamentalismo islamico o altro. Adesso, i grandi conoscitori del mondo arabo, che non hanno previsto alcunché, si daranno un sacco d’arie sentenziando le solite sapienziali scemenze. Non ho dubbi che, a “babbo morto”, troveranno i “veri motivi” del disagio e rabbia dei “popoli” arabi. Ed è sicuro che sentiremo affermare il loro insaziabile desiderio di democrazia, cioè di questo regime abominevole che sta distruggendo ogni capacità nostra di intervenire realmente, unendo i nostri interessi ai loro, contro la prepotenza statunitense, che difende con i denti un ormai sbrindellato monocentrismo usando, come detto più volte, la tattica del “serpente” poiché la precedente è ormai chiaramente fuori gioco. Cioè, lo è fin quando gli Usa riusciranno a manovrare consentendo l’affermazione della “democrazia”, perché poi, se il gioco non riuscisse, non sarebbe nient’affatto improbabile il manifestarsi di eventi bellici cruenti.

Tutto sommato, è comunque positivo che tale movimento, quali che siano le sue cause, sia esploso. E’ meglio che la “morta gora” sia attraversata da simili “mulinelli”. In linea generale, credo che molti dei partecipanti a quel movimento siano più che giustificati nella loro rabbia, che ha comunque obiettivi, più o meno confusi, di rinnovamento dopo decenni di immobilismo torpido e ottuso; in ogni caso, gli scontri non si propongono, da quel po’ che si può capire, solo obiettivi negativi, di “no” a qualcosa, di scatenamento di furia semplicemente distruttiva e devastatrice, tesa alla pura distruzione anarcoide di oggetti e di simboli. In embrione, temo molto in embrione, traluce un’ansia diversa da quella di certe masse di forsennati e scervellati che vediamo muoversi nel nostro paese; o anche in certi sommovimenti no global di anni passati. Tuttavia, lo ripeto, qualcosa “non torna”. Troppo coordinamento, troppo rapido espandersi. Non ci si può raccontare che si tratta pur sempre di popoli arabi; le differenze sociali, politiche, e credo anche culturali, sono notevoli da paese a paese, da area ad area.

Dal 2001, a partire dalle “Torri gemelle” – e non intendo pronunciare un solo motto in merito ai dubbi circa l’organizzazione e provenienza di quell’evento – si è scatenato, ad arte, l’isterismo contro il nemico per eccellenza, il terrorismo islamico. La stessa Russia, in via di ritrovare la “sua strada” dopo lo sbandamento enorme del gorbaciovismo e soprattutto di Eltsin e compari, dovette partecipare alla lotta contro di esso che, nel suo territorio, è fomentato da quegli stessi che invitano a combatterlo. E ancor oggi, per mettere in difficoltà tale nuova (ritrovata) potenza, si tende a ricordarle, forse pure con mezzi “ruvidi”, che dovrebbe unirsi all’occidente (dominato dagli Usa) per sconfiggere un simile “morbo letale” per la “civiltà” (quella di chi opprime e reprime tutti i veri oppositori, tutti quelli che non si piegano al predominio incontrastato dell’unica superpotenza).

In assenza di informazioni più adeguate (e come si possono avere in un mondo completamente intessuto di menzogne?), non mi metto a trarre conclusioni sul fatto che, in concomitanza con l’esplodere della rivolta in nord Africa, si sia realizzato un grave attentato a Mosca (coincidenza probabilmente casuale, comunque utile a promuovere nella popolazione russa un istinto di difesa dal fenomeno detto terrorista). Più strano ancora è che per il momento tale rivolta dilaghi nelle aree dei governi arabi cosiddetti moderati; dove la “moderazione” non era in uso nell’esercizio del potere dispotico sui sudditi, ma nell’aperta complicità di tali regimi con l’occidente (con gli Usa in realtà), nel loro più che morbido appoggio alla causa
palestinese (quella rappresentata dal fantoccio Abu Mazen) e, di conseguenza, nella sostanziale connivenza con Israele.

Quei regimi appartenevano tuttavia ad un’altra stagione, quella del crollo del “socialismo”, cioè in realtà del polo sovietico, poiché la Cina – già partita con il maoismo a trattare il socialimperialismo quale nemico principale rispetto all’imperialismo (errore in cui caddi “tranquillamente” anch’io come tutti i maoisti, gli “antirevisionisti”) – da lunga pezza rappresenta una “via diversa”, trasversale, che forse si scontrerà con la superpotenza fra qualche decennio, ma oggi si limita a preservare le sue prerogative, non si inchina certo di fronte alle “punzecchiature” statunitensi (in effetti, sussiste un antagonismo latente, però di futura accentuazione), senza al momento dover arrivare a contrasti netti (sembrava che ciò potesse accadere in Africa, forse ci si arriverà, comunque al momento pare sussistere un complessivo compromesso; ripeto che non sarà scevro, come sempre nella lotta tra potenze, di momenti di frizione e di sgambetti “sotto traccia”).

Nel mondo dell’inganno – in cui si è lasciato credere che la crisi toccava soprattutto gli Usa più ancora dell’Europa, che tale crisi fosse dovuta soprattutto ai finanzieri (banchieri) criminali e troppo esosi (per cui addosso al cattivone di turno: la finanza, con moltissimi cialtroni che insistono nel voler sostenere il suo presunto carattere transnazionale, nascondendo il suo fulcro negli Usa, mentre altri criticano la finanza americana senza tuttavia nulla capire dei centri strategici che la manovrano) – gran parte dei mentitori si è scagliata contro l’America di Bush. Molti hanno addirittura creduto alla “pulizia morale” di squallidi personaggi tipo Al Gore (150.000 dollari di cachet per ogni conferenza sull’ambientalismo), di quel saltimbanco di Michael Moore, ecc.

E pure in Italia, in molti hanno ingannato bande di poveri “alternativi”, privi di cervello e soprattutto affetti da “sinistrismo” morale, mancante di ogni fondamento marxista (non quello del Marx filosofo, distruzione di un grande pensiero compiuta da certi imbonitori pericolosi, non quello imbalsamato da miserabili “tolemaici” del determinismo dogmatico più bieco). La devastazione culturale di tre-quattro decenni è stata fondamentale per impedire qui in occidente di capire che cosa stava avvenendo. Sia chiaro: non pretendo di capirlo io, con poche forze, in mezzo a questa terra bruciata, opera di “narcisi intellettuali”: alcuni apertamente filo-occidentali, altri (iper)critici del tutto inadeguati (e taluni pure in mala fede) della nostra società, della nostra “modernità”. Dico solo che ci hanno ingannato e sarà necessaria una difficile opera di bonifica di un terreno ormai paludoso, dove “prendere la malaria” è il meno che possa capitare.

La tattica statunitense è nel frattempo mutata, e non tornerà più a prima, perché il mondo monocentrico, che sembrava aprirsi dopo il crollo sovietico (e che è stato l’ispiratore sia dei Bush che di Clinton), è finito. L’unica certezza è che siamo in marcia verso il multipolarismo. Molti hanno tuttavia “venduto la pelle dell’orso prima di averlo ucciso”. La superpotenza resta soltanto una; le altre sono in crescita ma non ancora veramente attuali. Quella, fra le nuove, per cui tutti i critici anti-occidentali sbavano, cioè la Cina, segue una sua via che ho già detto trasversale; ma soprattutto non “è vicina” come si diceva tanto tempo fa. L’altra grande menzogna – sia di filo-capitalisti che di critici “ultrarivoluzionari” – è stata quella dello spostamento “della storia” verso oriente. I più fessi (o i più farabutti?) si sono sciacquati la bocca con il “socialismo del XXI secolo”, nato in Sud America (in Venezuela soprattutto). La nefandezza di questi infimi personaggi è oggi visibile.

Gli Usa sono in realtà all’offensiva, hanno comunque l’iniziativa. Quelli che non sanno staccarsi dalla politica fatta da questo o quell’individuo, hanno visto il “povero nero” Obama in difficoltà, contestato in patria e all’estero. Certamente è in difficoltà come tutti in un mondo caotico e senza più alcun perno, nemmeno imperfetto, come tra il 1989-91 e il 2001-3. Tuttavia, i centri strategici degli Usa, tra “prove ed errori”, con titubanze e sbandamenti, hanno in questo momento l’iniziativa. Essi comunque sanno che tutta l’area che va dal nord Africa fino al Centro Asia e Afghanistan (e dunque anche Pakistan come lembo estremo) è quella cruciale, in cui si giocherà la leadership del mondo in questo secolo (intanto per la prima metà, senza lanciarsi in troppa futurologia). Quindi l’Europa è area essenziale al predominio. Tutti a dire che gli Usa stavano per essere seppelliti dalla crisi, provocata appunto dalla “cattiva finanza”. Tutti ad accusarli di avere riempito di dollari le banche per “salvarle”, cosicché queste hanno ripreso le loro tipiche operazioni; il che è quanto accade sempre data l’autonomia di un simile settore in una società dove la sfera economica è mercantile, e dunque ha bisogno della parte monetaria e del sistema bancario.

Questa (relativa) autonomia della finanza sarà foriera di altri terremoti? Certo, fa parte della natura di questa società. Così come fa parte d’essa la lunga crisi di stagnazione sostanziale, con alti e bassi della crescita da non confondersi con lo sviluppo/trasformazione del mondo nelle sue più essenziali coordinate; nient’affatto prevalentemente economiche, bensì di rapporti di forza e di mutamenti sociali: prima gli internazionali e poi quelli interni ai vari paesi. Tutto ciò è ovviamente il contrario di quanto propagandano gli economicisti o i cultori della lotta dei “popoli”, delle “masse”. Da 150 anni si predica la fine del mondo
capitalistico, il suo crollo, il suo seppellimento da parte dei diseredati che si rivoltano. E certo il mondo è cambiato, certo il capitalismo odierno ha poco a che vedere con quello di un secolo fa, perfino con quello di mezzo secolo fa.

Però, sciocchi o consapevoli imbroglioni che siate poco importa, questo mondo non cambia come vorreste voi. Predicate le rivolte dei “sanculotti”, i quali fanno la fine di sempre, sono altri che prendono infine il potere. Questo mondo è cambiato in peggio? Sì, per chi invecchia, e non può più riconoscersi nelle coordinate di costume e mentalità corrente delle nuove generazioni. E perfino in queste, alcuni invecchiano precocemente. Il mondo cambia, e cambia tra crisi gravi. Ciò che avete visto finora è nulla in confronto a ciò che vi aspetta. Fra non molto, sarà finita la soap opera e tornerà Shakespeare (quello di Re Lear, Macbeth, Amleto).

Nei sommovimenti attuali, di un mondo senz’altro viepiù caotico e in crescente fermento, sarebbe assurdo pensare che una qualche mente, o anche pochi gruppi decisivi (magari in accordo, sia pure imperfetto, fra loro), guidino i processi in corso nel mondo. Cominciamo ad abituarci all’erraticità, alla casualità (e dunque provvisorietà) degli accadimenti dei tempi che verranno. Tuttavia, cerchiamo di capire quando uno o determinati gruppi sono all’offensiva o sulla difensiva, quando hanno l’iniziativa o meno.

In questa fase, mi sembra (non lo affermo con certezza, ma con buona convinzione, almeno fino a quando non intervengano precisi fatti a farmi cambiare idea) che alcuni gruppi statunitensi abbiano ripreso appunto l’iniziativa, ma senz’altro con cautele varie, agendo per “prova ed errore”, ecc. Non hanno la visione del “Mago” che tutto legge nella sfera di cristallo. Credo avessero informazioni sull’instabilità di una zona da loro considerata rilevante, ma non penso abbiano promosso scientemente le rivolte né saputo con precisione quando sarebbe scoppiato il bubbone. Un po’, tanto per fare un altro esempio, come avevano sentore che il “socialismo reale” (l’Urss in particolare) era ormai in stallo e in prossimità di una implosione; e sono convinto che, anche con il Pci, fossero in contatto da anni per vedere cosa fare nel post epoca bipolare. Tuttavia, non sapevano con precisione le modalità né il momento dello scoppio (ma quando è avvenuto, esattamente come in nord Africa, si è espanso a macchia d’olio; esclusivamente casualità?); e nemmeno avevano già in testa i “giusti” collegamenti con gli ambienti confindustriali italiani, l’operazione “mani pulite”, l’uso dei rinnegati piciisti, ecc. La bravura dei centri strategici consiste proprio nell’essere pronti a cogliere l’occasione di precipitazioni improvvise pur se poste tra le possibilità ormai probabili.

L’intervento di Obama (e Hillary Clinton) in Tunisia ed Egitto non mi sembra quello di politici colti alla sprovvista, smarriti, che non sanno più che pesci pigliare. Stanno manovrando con una certa flessibilità. Anche El Baradei mantiene di fatto (l’abbia realmente oppure no, non è adesso decidibile) una sua “autonomia” o parvenza della stessa. Questo gli consente quella credibilità, in mancanza della quale farebbe la figura di un Abu Mazen qualsiasi (che infatti, ha difeso Mubarak, almeno come prima reazione, poi si vedrà). L’attuale leader dell’opposizione, tale almeno appare, si era conquistato fama di quasi anti-statunitense quando si schierò contro la menzogna delle armi di distruzione di massa in Irak, credo anche contro l’accusa all’Iran per l’arricchimento di uranio, ecc. Immagino fosse in buona fede, deciso ad opporsi a quella politica statunitense (della “tigre”, quella convinta di poter mantenere inalterato il monocentrismo “imperiale”). Semplicemente, è un liberaldemocratico, quindi di possibile uso, in sostanza, per una sorta di “rivoluzione colorata” (pur se credo non le affibbieranno alcun colore).

Non bisogna sempre pensare che tutti complottino consapevolmente al servizio degli Usa. Ancora una volta ricordo che efficienti centri strategici sanno come sfruttare chi si presenta con un certo “odore di pulizia”. Solo forsennati tipo Fiamma Nirenstein o un Micalessin – e questo dimostra la povertà culturale di gran parte del centro-destra che tollera, e magari apprezza, che questi scrivano sui suoi giornali – sostengono che El Baradei apre la strada all’Iran. Mi sembra di capire che i “Fratelli musulmani”, sanando un recente contrasto, abbiano deciso di appoggiarlo. Tuttavia, questo schieramento islamico è moderato; e, del resto, per il momento conviene a tutti restare uniti per mandare via il vecchio regime, che sembrerebbe avere le ore contate (ma sono sempre possibili compromessi con pressioni varie “esterne”).

Poco utile al momento arzigogolare troppo su quanto avverrà, e che non sarà definitivo in ogni caso. E’ piuttosto incerta la conclusione effettiva della rivolta pur se dovrebbe comunque rappresentare una svolta rispetto all’immobilismo di alcuni decenni in quell’area. Alcuni hanno voluto stabilire un non so quanto corretto parallelo con il 1848 europeo. In ogni caso, non si avrà sicuramente la vittoria di una sorta di borghesia (ormai superata dalla storia) né avverrà la decantazione all’interno di un qualcosa di simile al Terzo Stato, con crescita del movimento operaio o simile. Si tratta piuttosto di vedere se avremo una situazione gattopardesca: tutto deve mutare affinché tutto resti come prima (o simile a prima nei suoi connotati fondamentali). Oppure, se si innescheranno processi di trasformazione reale. Si possono trarre, dalle prime reazioni, alcune indicazioni soprattutto per ciò che concerne l’area in cui viviamo? Con estrema cautela comunque.

Soprattutto, non ci si faccia influenzare da coloro che continuano a roteare gli occhi non appena vedono gente per strada a manifestare con estrema durezza e decisione. Subito si parla di popoli, di masse, che si ribellano, che riprendono in mano il loro destino. L’estetica della ribellione è quella verso cui tendono sempre gli annoiati o gli arrabbiati per principio, gli esaltati o gli ambiziosi che non vedono altro modo di ascendere nella scala del potere se non nel caos con la speranza di pescare nel torbido. I popoli e le masse non sono né eroi né orridi per principio; si devono vedere i risultati dei movimenti, e tali risultati dipendono dai numerosi gruppi che operano concretamente in mezzo all’apparente confusione e indistinzione. Come al solito, nei veri rivolgimenti, esiste un “vettore di composizione delle forze” che alla fine indica la direzione di marcia degli accadimenti.

Nel mondo arabo, anzi musulmano in genere (anche in Iran ad esempio), da tempo agiscono due forze assai differenti. Vi sono sedicenti “classi medie” – cioè di fatto strati che stanno sopra la media delle condizioni di vita della maggior parte della popolazione – che sono attratte dalle forme politiche e culturali occidentali. Le maggioranze popolari sono in genere invece influenzate dall’islamismo, in versione più o meno radicale. In genere, la quasi totalità degli “osservatori esterni” punta sulle differenze culturali. Cosicché è del tutto naturale che, nella nostra area, prevalgano simpatie per le prime e timori per le seconde, alimentati da una ossessiva regia circa le tendenze “terroristiche” degli islamici. Nel contempo, si istiga la diffidenza e perfino l’odio verso la loro cultura ritenuta poco meno che barbara. In occidente, le minoranze (veramente esili) che stanno con i “popoli” arabi si comportano in modo da rafforzare le posizioni di chi tuona contro l’islamismo, giocando sullo “scontro di civiltà”, dove il reale messaggio è che gli islamici sono semplicemente incivili. A meno, appunto, che non si occidentalizzino come fanno le loro “classi medie” (considerate al massimo grado della cultura, in particolare quei loro sottili strati “superiori” che hanno studiato in Università inglesi e americane).

Del resto, che il problema non sia l’islamismo lo si constata, ad esempio, in Georgia o Ucraina, dove sono stati appoggiati pur sempre gli strati della popolazione che si rivolgono all’occidente. In tal caso, poiché la cultura della vicina Russia, con la quale i due paesi costituivano un tempo l’Urss, è molto prossima alla nostra e la loro religione pure, il trucco è saltato prima. Si è dovuta alimentare nei georgiani e ucraini la paura del possibile ritorno del “comunismo sovietico” o comunque di una nuova predominanza russa. Il fatto reale è appunto politico e non culturale. Se si parla di “occidente”, ci si ricordi almeno che il retaggio del mondo bipolare, non superato ancora da noi, rende l’Europa succube degli Usa. Quando si dice “occidentale”, dunque, si intende in realtà “consono” agli interessi predominanti degli Stati Uniti. Nell’epoca in cui questi ultimi si formarono, i primi nuclei di popolazione erano soprattutto originari dell’Inghilterra; e furono i più decisi e decisivi nella lotta per l’affrancamento e indipendenza rispetto al paese d’origine e, quindi, di piena comunanza culturale e linguistica. Adesso, a parti invertite, si deve ripetere lo stesso processo. Tra noi e gli Usa non c’è vero contrasto culturale, chi punta su questo si condanna al minoritarismo e alla subordinazione per i secoli a venire. Siamo simili, possiamo godere della loro arte, letteratura, musica, cinema, ecc. Ciononostante, dobbiamo liberarci politicamente dagli Stati Uniti.

A parte gli avvenimenti singolari e concreti che si verificheranno nel prossimo futuro nell’area mediterranea (araba e musulmana), il problema decisivo è politico. Ed è politicamente che, purtroppo, in questi paesi (come appunto in quelli appena sopra citati e di religione prevalentemente cristiano-ortodossa) le sedicenti “classi medie” sono di “cultura” occidentalizzante e politicamente influenzabili dalla potenza statunitense; ma anche perché quest’ultima ha sempre maggiore iniziativa rispetto ad una Europa deficitaria, un’area che ha voluto considerarsi unitaria, creando solo una prigione monetaria comune e si è dotata di fasulle Istituzioni di semplice burocratismo parassitario, che quindi – per continuare a prosperare di questo parassitismo – sono alleati di ferro della nazione predominante.

Non c’entra quindi nulla chiedersi se tipi alla El Baradei sono o non sono in buona fede, se veramente sono critici nei confronti degli Usa. Di fronte all’inadeguatezza europea – le dichiarazioni di Sarkozy, Merkel, Frattini, ecc. sulla crisi egiziana sono alla coda di quelle Usa, pronunciate con minore convinzione, con una sciatteria ripetitiva a mo’ di bambini sordi dalla nascita che balbettano le frasi guardando i movimenti della bocca dei genitori – un qualsiasi uomo politico delle “classi medie” di quelle aree, esattamente però come in Georgia o Ucraina, non può che seguire alla fine i “consigli” americani. Ecco perché, oggettivamente, gli Usa hanno di nuovo, a mio avviso, l’iniziativa in mano. Non sono sicuri delle mosse che devono compiere; anche loro seguono passo passo, con ri-orientamenti quasi quotidiani. Sono però favoriti dall’insipienza e servilismo di chi è incapace di darsi una qualsiasi linea alternativa, di chi è succube per struttura economica, politica e mentale.

E allora un filo-occidentale culturale come me non può non augurarsi il rafforzamento politico delle correnti islamiche. Non sono tutte eguali, non hanno obiettivi perfettamente comuni ed omogenei. Si può certo giostrare fra di loro; escludendo però i Quisling alla Abu Mazen, filo-americani per eccellenza. Si deve tenere conto che in quell’area conteranno sempre più due subpotenze come Iran e Turchia. Quest’ultima ha appena cominciato a staccarsi dagli Usa e ha sempre la “spada di Damocle” rappresentata da un esercito integrato nella Nato e di sentimenti non sicuramente confacenti agli interessi nazionali. In Iran, le solite “classi medie” culturalmente occidentalizzanti sono politicamente manovrate al 100% (non 90 o 99, ma 100%) dagli Usa; gli europei giocano semmai la parte dei servi, che si accontentano delle briciole dei padroni. Non
si possono appoggiare le correnti politiche di queste “classi medie”, si deve giocare abilmente con quelle islamiche. Non tanto per vicinanze culturali quanto per l’influenza positiva sulla nostra lotta tesa all’indipendenza politica!

Mettiamoci ben in testa le coordinate fondamentali. Gli Usa, interessati in un primo momento al regolamento di conti con il Giappone nell’area del Pacifico, nella seconda guerra mondiale afferrarono l’occasione per far fuori nell’area europea, assieme all’Urss con cui accettarono di dividersela, oltre alla sconfitta Germania anche le “vincenti” Inghilterra e Francia. Quando Churchill cercò il cambio di alleanze per scagliarsi contro l’Urss – ed è ancora da chiarire perché la Germania non decise di finirla con l’Inghilterra (basta con l’enfasi posta sulla vittoria aerea inglese sulla Manica) e spostò un grande contingente in oriente per aggredire l’Unione Sovietica; gli storici non approfondiscono questo tema – non solo Roosevelt ma pure Truman non furono fedeli all’alleanza per lealtà (che favola per bambini scemi!), semplicemente colsero l’occasione suddetta. E quando le due ex potenze cercarono la rivincita a Suez nel 1956 (la Francia aveva appena due anni prima subito la batosta di Dien-Bien-Phu), approfittando della crisi ungherese, Usa e Urss insieme diedero l’alto là e le ridussero per sempre a paesi di secondo rango, malgrado l’abilità e il forte spirito indipendentista di De Gaulle.

Anche adesso, non è l’area del Pacifico, tanto meno dell’Oceano Indiano, quella in cui si giocherà la supremazia nei prossimi decenni. E’ invece tutta la zona che corre a sud di Europa e Russia. Gli Usa lasciano perfino la “briglia sciolta” in Sud America (malgrado i fessi, che cianciano di “socialismo del XXI secolo”, si illudano nei loro cervellini da infanti che qui si sgretolerà il predominio nordamericano) perché, da paese dotato di rilevanti centri strategici, sono consapevoli di dove si sta giocando la partita decisiva. Quindi l’Europa è cruciale per loro; non possono lasciare la presa su di essa e tanto meno sull’Italia, ventre molle di questo continente. Ed è invece qui che devono “mollare l’osso” se vogliamo riassurgere non a dominatori del mondo, solo a paesi ancora autonomi e dotati di energie per il futuro. Il cosmopolitismo – ignobile putrefazione del fallito “internazionalismo comunista”, ormai divenuto negli ultimi rancidi residui un ancor più infame supporto del cosmopolitismo – della sedicente “sinistra progressista” è oggi la più reazionaria delle politiche di subordinazione al padrone d’oltreatlantico. Un moderato nazionalismo – scevro di esasperazioni razzistiche, aggressive, senza intenti di predominio mondiale – è l’orizzonte possibile di forze realmente progressiste.

Il “ritorno delle nazioni” in questo secolo, di cui parla in Francia un Jacques Sapir, è il processo che può ridarci un ruolo. La zona decisiva è a sud, ai nostri confini. Ad est, dopo il crollo totale del gorbaciovismo e dell’eltsismo, la Russia ridiventa fattore centrale della battaglia decisiva per la supremazia e, dunque, per la (possibile?) rinascita europea. Una rinascita che non passa dal vergognoso europeismo, di cui ancora parlano i “porcaccioni” della “sinistra” italiana, quei lazzaroni in mala fede che ci hanno portato allo sfacelo nella UE e hanno accettato un cambio euro/lira circa doppio di quanto fosse quello corretto. Devono risorgere le nazioni; con particolare riferimento a Germania, Italia e Francia, il trio decisivo in questo momento storico. La “sinistra progressista” deve essere annientata in un grande lavacro che infine ci liberi di questo terribile cancro. Non rinasciamo più se ce lo portiamo dietro.

La battaglia in Italia diventa cruciale. Ma sarà lunga perché l’alternativa alla “sinistra” non ha nulla di nazionale, è solo una “immagine allo specchio” dell’altra parte, non è capace di autonomia politica ed è succube culturalmente. Gli infami di “sinistra”, guardandosi allo specchio, impazziscono perché vi vedono infine il loro vero volto ributtante, che nemmeno sanno di avere. Vogliono adesso rompere lo specchio. L’Italia cadrà nel più inverecondo dei caos. O l’ordine sarà riportato da forze troppo vicine alla Nato e quindi sappiamo a chi fedeli. Oppure, ci dovrà essere una rivolta con risvolti nazionali, ma terribile, perché i parassiti di “sinistra”, alimentati dalla pazzesca spesa dello Stato Assistenziale (e dal clientelismo elettorale di una “democrazia” ormai putrida), sono tanti e il “popolo di sinistra” si dimostra peggiore perfino dei capi (vedi reazioni al manifesto di Rondolino e Velardi) e segue dei forsennati che temono per i loro emolumenti centimilionari in TV e nei media in genere. Sono molti quelli per cui occorrerebbe il lavacro purificatore.

Ne riparleremo. Qui volevo solo cercare di capire (all’incirca per il momento) l’insegnamento generale da trarre dagli ultimi sommovimenti. Come evolveranno i fatti concreti, specifici, non è prevedibile se non dai cretini (ho già cominciato a vederli apparire sui giornali) che dicono: era prevedibile (ma non avevano previsto un c….). Seguiremo l’evolversi degli avvenimenti senza quella “eiaculazione precoce” che è caratteristica di tutti quelli i cui ormoni ribollono nel vedere “le masse in movimento”. Ne sapeva ben più Shakespeare di questi dementi che credono di avere una cultura raffinata. Si rileggano e rivedano il “Giulio Cesare”, si studino bene i discorsi di Bruto e Marco Antonio e seguano la descrizione della “coerenza” delle masse in fermento. Come non hanno significato alcuno, se non per i chiesastici e i dottrinari, singoli “versetti” estratti da un contesto, così non si capisce il significato dei movimenti collettivi (se sono Vandea o “presa della Bastiglia”) se non alla luce dell’insieme dei processi storici in cui sono inseriti. I nuovi rivolgimenti fanno parte, nella contingenza, della “cronaca”. Seguiamoli e intanto cerchiamo di definire, per schema (perché questo è ciò che un qualsiasi individuo sa fare), le coordinate più essenzi
ali e decisive dell’attuale epoca. E adattiamole al nostro paese, che è in una crisi paurosa per colpa di elementi cancerogeni non annientati con opportuna “chirurgia”.