UN PAESE ALLA DERIVA…di Andrea Fais
Il patetico corteo denominato Se non ora quando(scimmiottando persino uno dei più conosciuti testi di Primo Levi), è il nuovo grottesco teatrino di piazza estratto da quel pentolone di idiozie croniche (e funzionali allo schema geopolitico-economico dominante) pensato per combattere Berlusconi.
Su eventi del genere, in altri tempi e in altre epoche, sarebbe stato steso un pietoso velo di dignità. Ma i nostri tempi sembrano ancora totalmente immersi nel vecchiume di quaranta anni fa: la mentalità imperante tra le odierne masse del nostro Paese sembra essere quella di una vecchia babbiona sui sessanta anni, cresciuta al suono di Woodstock, tra i romanzi di Jack Kerouac o di Garcia Marquez, sognando l’“America ribelle” e la “libertà”, che per decenni ha rubato allo Stato una pensione in qualche inutile pubblico ufficio di qualche comune o di qualche regione, e che oggi va a godersi la sua idea di “progresso” in qualche alberghetto di lusso o dall’estetista, cianciando di diritti umani e di battaglie civili, sotto la lampada del solarium.
Questa Italia popolata da intere generazioni con lo sguardo più o meno sempre rivolto ad Ovest, ha finito per specchiarsi in tutti quei terribili vizi proiettati dallo schermo estetico globale di una società – quella americana – in realtà assolutamente diversa e ben più complessa, che, alla prima occasione, ha salutato questa massa di idioti svoltando, appena una decade dopo, verso Reagan e verso l’esibizionismo capitalistico dell’era-yuppie.
Dopo i No-B day, dopo le proteste dell’“oceanico movimento universitario” (di cui non si ha più notizia negli Atenei o nelle piazze), dopo aver esibito il fantasma di un eroismo popolare totalmente assente e privo di alcuna seria consistenza politica, la folla, inutile e informe, dell’antiberlusconismo è l’indice di una società distorta, di cui lo squallido teatrino offerto dalla politica nazionale è solo il riflesso e la conseguenza. I politici, prima di essere quel che sono, sono infatti persone, italiani, uomini e donne, che vivono ed agiscono in società. Ognuno ha quel che merita, e gli italiani, presumibilmente, non meritano altro che questo: continuare a scendere in piazza con certi slogan e con certe iniziative popolari, non farà che confermarlo.
Malgrado la diffusione di ricostruzioni storiche assolutamente artefatte, il ventennio che ci siamo lasciati alle spalle non è stato caratterizzato da un fantomatico dominio di Berlusconi, ma da un perfetto equilibrio tra il centro-sinistra (Ciampi, Prodi, D’Alema, Amato, Prodi-2), artefice delle svendite del settore strategico pubblico, dell’aggressione alla Serbia, e della distruzione del contratto di lavoro, ed il centro-destra (Berlusconi, Berlusconi-2 e Berlusconi-3, Berlusconi-4), prosecutore delle politiche liberali e fiero alleato dei falchi neo-cons di George W. Bush nell’intero lasso di tempo tra il 2001 e il 2006. Allo stesso modo, sul piano sociale e “morale”, il declino della società italiana non è iniziato con il Drive In e le reti Fininvest-Mediaset, come qualche babbiona afferma oggi, per indottrinare le più giovani seguaci, ma ha radici ben diverse e molto più lontane.
I problemi dell’Italia, come sempre, nascono all’interno dell’insieme dei meccanismi economici e strategici, rispetto ai quali tutto il resto è esclusivamente una sovrastruttura sociale-culturale. Tuttavia personaggi dello spettacolo come Angela Finocchiaro o Sabina Guzzanti, convintissime pasionarie da cabaret, non possono certo saperne alcunché ma alle forze politiche dell’antiberlusconismo, ovviamente, questo non interessa, anzi, è loro primo intento quello di nascondere, se possibile, i temi stringenti, per non essere scoperti con le dita infilate nel barattolo di marmellata delle industrie pubbliche disossate, dei posti di lavoro precarizzati, delle banche “di partito”, delle imprese mascherate da cooperative, dei contatti con l’America liberal e “progressista”, con quelle Fondazioni Soros, “compagne di lotta” nella guerra al monopolio televisivo di Berlusconi, con quel Ruperth Murdoch (un pluralista dei mass media, evidentemente) che ospita nelle sue reti Rai per una notte di Santoro e Travaglio o con quella Fondazione Rockefeller che ha già incoronato Niki Vendola e le sue fabbriche di aria fritta.
Ah, quest’America, così “buona e generosa”, sempre pronta a “sacrificarsi per gli altri” ed a regalarci nuovi riferimenti “rivoluzionari”, come sostiene, sbavando, Veltroni nelle sue “preziose” opere. Dalla democrazia "sociale" alla democrazia "aperta", dalla resistenza "passiva" alle pagliacciate anti-cinesi o anti-russe di Amnesty International e di Human Rights Watch, dalle manifestazioni pacifiste alle rivoluzioni colorate, dal flower-power al soft-power, passando per il green-power, per l'economia verde clintoniana (e sorosiana), i benefattori delle foglioline e i paladini dell'ambientalismo ideologico, imposto a tutti quei Paesi "dispotici e illiberali" che si azzardino minimamente a costruirsi una centrale nucleare o qualche infrastrutturache li renda completamente autonomi e finalmente sovrani.
Questa flotta di personaggi, targata “sinistra”, non ha fatto molta strada dopo tutto, è sempre rimasta lì, sostanzialmente nei paraggi, e, cambiando il trucco magari, ha tolto la sciarpetta rossa (che, sul cappotto nero anni Settanta, fa così tanto radical) e si è messa la cravattina. E ora, questo carrozzone politico e movimentista, vorrebbe convincerci della sua irresistibile ascesa, della sua magnanima bontà intrinseca, sulle ali dell’entusiasmo di un “cambiamento”, in realtà già pianificato e ordinato, con ogni mezzo a disposizione, dall’altra sponda dell’Oceano Atlantico.
Se non ora quando? Mai.