Il destino incerto della FIAT: da vassallo autorevole a semplice protesi di Giuseppe G.

E così la lettera di intenti del febbraio 2010 che impegnava FIAT e Sollers, la società russa in possesso della più capillare rete distributiva di auto nel paese, in una joint venture per la costruzione di nuovi stabilimenti è stata cestinata. Ufficialmente di comune accordo; di fatto Sollers ha già individuato il nuovo partner: Ford.

Così la Fiat, da essere stata pioniera, negli anni '60, nella collaborazione ad est, rischia di essere tagliata fuori dal mercato russo.

Non è la prima volta che l'Italia, da essere pioniera nell'avvio di politiche “border line”, al momento del consolidamento delle iniziative, regredisce paurosamente a ruolo di paese vassallo.

È già accaduto negli anni '60 nei settori strategici con il nucleare e la politica energetica, dopo l'exploit di Mattei, si è verificato nell'informatica negli anni '70, rischia di verificarsi di nuovo, qualche indizio ha già allarmato questo blog, nel settore energetico, si sta verificando anche in un settore maturo, quindi meno soggetto alle scelte strategiche più impegnative.

Un fattore meno grave, vista l'importanza secondaria del settore, dal punto di vista del reale peso politico, ma, se si vuole, ancora più indicativo dal punto di vista della capacità di questo paese di mantenere con un minimo di coerenza un qualche ruolo significativo nel contesto multilaterale.

A questo si deve aggiungere il ridimensionamento di FIAT in Brasile, le grosse difficoltà riscontrate in Cina, con una buona dose di prevedibilità e, sorprendentemente, in India.

Affiorano, probabilmente, i gravi limiti di una operazione, quella di FIAT-Chrysler, in primo luogo e giustamente politica, poi finanziaria ma che dal punto di vista industriale poggia su basi estremamente fragili.

Alla lunga, queste ultime, se non rifondate, possono minare la solidità della stessa strategia politica alle spalle e ridimensionare ulteriormente e disastrosamente il peso della componente italica nella gestione strategica del gruppo sino all'annullamento in un ulteriore assorbimento in una delle due altre compagnie americane del settore e all'esproprio definitivo del know-how tecnologico, patrimonio dell'azienda italiana, finanziato prevalentemente con risorse pubbliche.

Del resto, la formazione quasi esclusivamente finanziaria di Marchionne non faciliterà certamente il gruppo a individuare le migliori soluzioni dal punto di vista operativo ed organizzativo, in un settore dove la competizione economica ha un ruolo maggiore rispetto agli ambiti strategici ed innovativi; i giudizi d'altronde espressi sul conto del personaggio dai cervelli del settore sono molto più severi di quelli espressi dai giornali d'opinione e dai politici d'accatto.

La decisione potrebbe essere interpretata anche come un segnale preciso del governo russo, prima che si arrivi a riconsiderare i rapporti su settori di ben altra rilevanza, riguardanti ENI e Finmeccanica e, quindi, geopolitici. Se accordi dovranno essere fatti, tanto vale realizzarli, in termini collaborativi o conflittuali, con le potenze dominanti o autonome, piuttosto che con i loro vassalli infidi.

In calce l'articolo di Andrea Malan sul Sole 24 ore di oggi:

Questo articolo è stato pubblicato il 19 febbraio 2011 alle ore 08:17

Fiat rompe i negoziati con Sollers in Russia. Con un breve comunicato congiunto, le due aziende hanno annunciato ieri di aver «interrotto le trattative per la creazione di una joint venture in Russia per la produzione di autovetture e Suv». Le due società avevano firmato una lettera di intenti esattamente un anno fa, nel febbraio del 2010, in una cerimonia alla presenza di Vladimir Putin. I piani prevedevano l'ampliamento della collaborazione già esistente e in particolare il rilancio dell'impianto Sollers a Naberezhnyje Chelny; l'investimento complessivo era stato quantificato in quell'occasione in 2,4 miliardi di euro, che avrebbero dovuto essere in gran parte finanziati dalle banche russe. «Automotive News Europe» cita una fonte Fiat secondo la quale i negoziati sono naufragati per disaccordi su «volumi produttivi e investimenti».

Quasi in contemporanea con il divorzio da Fiat, ieri Sollers ha annunciato un memorandum d'intesa con Ford per una joint venture 50-50. Le due aziende intendono utilizzare due unità di produzione: quella di cui Ford già dispone a Vsevolozhsk, nella regione di San Pietroburgo, e quella di Sollers in Tatarstan; i due stabilimenti produrranno auto e veicoli commerciali della gammaFord.

Torino ha confermato ieri dal canto suo «il forte impegno verso la Russia» dove intende continuare ad espandere le attività. In primo luogo resta in piedi l'intesa precedente tra Fiat e Sollers, di più basso profilo, che vede la produzione di Doblò, Ducato e Linea. L'anno scorso sono state vendute in Russia circa 22mila unità con il marchio Fiat contro le 18mila del 2009; per ironia della sorte l'auto di gran lunga più venduta in Russia – oltre 130mila unità nel 2010 – è ancora la Lada 2105/2107 erede della Zhigulì basata sulla vecchia Fiat 124 degli anni 60.

L'obiettivo di Fiat per il 2014 è di arrivare a 280mila unità con i veicoli commerciali (230mila per le sole auto, Jeep comprese). La cancellazione della nuova joint venture con Sollers potrebbe comportare per il Lingotto un aggravio finanziario: a meno di non trovare un altro partner dovrà infatti coprire da sola gli investimenti per la creazione dello stabilimento e lo sviluppo della gamma

Un anno fa – all'annuncio del memorandum d'intesa – il progetto prevedeva la produzione di nove nuovi modelli dei segmenti C, D e Suv, sei dei quali basati su una nuova piattaforma globale Fiat-Chrysler. «La rottura dei negoziati è una cattiva notizia per la Fiat» commenta Marco Santino, della A.T. Kearney, il quale aggiunge che «Chry
sler e Jeep sono marchi che hanno appeal in Russia».

La nuova battuta d'arresto nella strategia Fiat per i grandi paesi emergenti rende un po' più difficile il raggiungimento degli obiettivi di vendite 2014, tanto più che anche in India le cose non vanno troppo bene: le vendite sono scese di circa 1.000 unità nel 2010 a poco meno di 22mila, a fronte di un target 2014 di 130mila; l'intesa con il partner Tata non funziona come sperato, e Sergio Marchionne ha espresso questo mese a San Francisco la sua insoddisfazione: «Dobbiamo rivedere le dimensioni dell'intesa; abbiamo dato loro i diritti di distribuzione e in alcune aree non funziona. Tutti i punti sono sul tavolo». A fronte di un target di 660mila unità annue (senza i veicoli commerciali) tra Russia, India e Cina nel 2014, le unità vendute l'anno scorso sono state meno di 50mila. In Cina, dopo i passi falsi con Nanjing e Chery la joint con Gac (Guangzhou automotive) dovrebbe partire nella seconda metà dell'anno prossimo.

Ieri il consiglio d'amministrazione della Fiat ha esaminato il bilancio 2010, l'ultimo prima della scissione da Fiat Industrial. I numeri principali erano stati resi noti a fine gennaio: utile della gestione ordinaria a 2,2 miliardi di euro, utile netto consolidato a 600 milioni contro il passivo di 848 del 2009, utile netto della capogruppo Fiat spa a 442 milioni di euro (erano 340 milioni nel 2009).

Nell'assemblea del prossimo 30 marzo, agli azionisti sarà proposta la distribuzione di un dividendo di 0,09 euro per azione ordinaria, 0,31 euro per azione privilegiata e 0,31 euro per azione di risparmio, pari a complessivi 155 milioni di euro (152 milioni di euro escludendo le azioni proprie ad oggi detenute dal gruppo). Il consiglio di amministrazione della Fiat proporrà anche ai soci di approvare un nuovo programma di acquisto di azioni proprie per un controvalore massimo di circa 1,2 miliardi di euro; il piano, che sostituisce quello in scadenza a settembre, avrà durata di diciotto mesi.