LA DISTORSIONE IDEOLOGICA E L’ASSENZA DI UNA REAL-POLITIK SOCIALISTA

di Andrea Fais

Le rivolte nel mondo arabo, come ogni evento storico, hanno un duplice risvolto: quello di costituire un fatto in sé importante e rilevante sul piano politico, e quello di ampliare ed allargare l’orizzonte fattuale degli avvenimenti, sul piano teorico.

La storia è nostra maestra, nella misura in cui ci mostra le dinamiche della società e dei rapporti ad essa intrinseci, e ci consente, in nuove forme e attraverso nuovi contenuti, di poter comparare, confrontare e sintetizzare nuove deduzioni e formulazioni dialettiche che siano in grado di produrre un’immagine, uno schema della realtà quanto più possibile rispondente ad essa. Anche in questo caso abbiamo avuto modo di osservare l’andamento degli eventi, traendone degli spunti importanti. Le reazioni maggiormente ideologiche hanno, come sempre, evidenziato vari gradi e livelli di distorsione della realtà, adeguandone le dinamiche ad imperativi e/o dogmi morali, trasformati per l’occasione in parametri di analisi. Se, indubbiamente, l’area della politica parlamentare (PDL, PD, UDC, IDV ecc. …) è quasi del tutto riconducibile ad una concezione internazionale a vocazione  indiscutibilmente atlantica ed occidentalista, ed è dunque comprensibile la lineare e coerente funzionalità politica dell’ampio ricorso – ad opera di questi soggetti istituzionali – ai mezzi della propaganda e della retorica “umanitaria”, per quanto riguarda, invece, gli ambienti definiti maggiormente “antagonistici” (su questi ed altri versanti politici), il quadro è a tratti stupefacente (a tratti, perché la degenerazione era già notevolmente in atto da anni) e davvero avvilente. Il primo premio per il più alto livello di distorsione, difatti, in quest’occasione va sicuramente alla sinistra radicale, un mondo complesso e variegato, ma ormai praticamente ridotto all’osso da un’agonia politica quasi totale. Gli errori fondamentali commessi dalla gran parte degli osservatori di quest’area (con poche, rare eccezioni) sono essenzialmente fondati su dei pre-giudizi (nel significato baconiano del termine), riconducibili ad ordini categoriali morali, idealistici ed escatologici, alla base di descrizioni fantasiose, capaci di riportare fatti reali e di grande complessità alle solite categorie distorte del fantomatico “terzomondismo” e delle sue altrettanto fantomatiche “masse popolari”, dell’“antimperialismo ideologico e morale”, del “marxismo dei poveri e degli ultimi” uscito fuori dalle varie sinistre poetiche sessantottine, e del rispetto di quei fantascientifici “diritti umani” di cui gli Stati Uniti d’America si fanno portatori autoreferenziali e unilaterali nel mondo.

 

1)      Anzitutto, partendo dal presupposto che le rivolte sono cominciate in Paesi (come Egitto e Tunisia) contraddistinti da leadership conservatrici e tradizionalmente abbastanza filo-occidentali, si è ritenuto che fosse possibile inquadrare i disordini all’interno di uno schema dialettico destra-sinistra (uno schematismo logico che in realtà è pertinente quasi esclusivamente al mondo occidentale), laddove le presunte masse popolari avrebbero rappresentato, per opposta polarità, gli interessi sociali delle classi lavoratrici e le ragioni internazionali dell’antimperialismo.

 

2)      Quando le scorribande di strada si sono riversate anche in Algeria – paese a forte impronta statalista, come retaggio delle passate politiche socialiste di Boumedienne – e, in modo ancor più pesante, in Libia – repubblica socialista popolare di derivazione panaraba e nasserista – si è perseverato nell’errore di cui al punto 1) pensando di poter ricondurre le proteste ad una degenerazione di quei sistemi rispetto ai modelli di iniziale ispirazione politica, come se il regolare commercio e la normale cooperazione tra Stati fossero reati ideologici (la vulgata del “Gheddafi ormai non più antimperialista” o del “Bouteflika sceso a patti con l’Occidente” ecc. …).

 

3)      L’episodio del passaggio delle navi iraniane nel Canale di Suez, ha poi contribuito in alcuni osservatori, ad alimentare la suggestione che la nuova classe dirigente de Il Cairo (quasi per intero proveniente dalle stesse fila della precedente gestione Mubarak) stesse avviando una nuova politica estera, senza sapere che l’accordo Egitto-Iran per l’utilizzo del Canale di Suez era già stato avviato da molti mesi.

 

4)      A sviluppo del punto 3), in quel settore della sinistra radicale non ancora lobotomizzato dalla propaganda occidentale – che nel 2009-2010 aveva orchestrato un autentico assedio mediatico dell’Iran per scopi di destabilizzazione legati al programma nucleare di Tehran e ai suoi possibili risvolti e conseguenze all’interno delle dinamiche del mercato dell’energia – è prevalsa l’idea che l’Iran fosse assurto ormai ad emblema dell’antimperialismo nella regione mediorientale, al punto da individuare, dunque, nei giudizi e nelle opinioni del presidente Ahmadinejad o dell’ayatollah Khamenei una chiave di lettura in quella direzione ideologica, quando in realtà l’ottica iraniana è esclusivamente indirizzata alla costruzione di uno “spazio vitale sciita” all’interno dei Paesi sunniti o laici del mondo arabo.

 

5)      Nello specifico dello scenario della Libia, si è anzitutto creduto che la rivolta fosse spontanea e popolare, senza tenere in considerazione che:

a.       è partita da una zona urbana periferica rispetto alla capitale, mostrando non solo una specificità regionale riconducibile ad una classica forma di separatismo etnico interno, ma anche una netta minorità rispetto all’intera popolazione del Paese 

b.      è stata ampiamente organizzata attraverso una quasi immediata disponibilità di armi e uomini ed un movimento inquadrato sulla base di slogan e simboli ben precisi, quali, su tutti, la bandiera libica di Re Idris, che tra il 1951 e il 1968 riunì definitivamente le tre aree principali della nazione (Tripolitania, Cirenaica e Fezzan) istituendo un ordine monarchico sotto il protettorato della Nato e della Gran Bretagna in particolare

c.       è stata supportata da mercenari militari stranieri, che hanno potuto attraversare il check-point del confine libico-egiziano preso d’assedio dai presunti ribelli, privo di alcuna seria efficacia nella sua funzione di controllo e filtro

 

6)      Si è poi pensato che, da parte delle potenze occidentali, potesse in qualche maniera aver luogo una sorta di intervento pacifico ed escludente l’utilizzo diretto dell’artiglieria pesante, ricorrendo alla sola deterrenza della minaccia militare o, addirittura, ad una specie di intervento di polizia militare per difendere gli insorti della Cirenaica definiti ribelli. La richiesta di istituire una no-fly-zone e l’avallo in sede ONU, aprivano praticamente ad un intervento militare ai danni della Libia, lasciando un ampio margine di interpretazione, ma nessun dubbio sul ricorso alla forza
militare da utilizzare nei confronti delle aree strategiche della Repubblica Libica: l’iniziale astensione di Russia e Cina, cioè di due Stati (non di due partiti o di due nazioni “eroiche” e “rivoluzionarie”), pur non esprimendo un netto e chiaro dissenso, è un atto prettamente tattico teso al tentativo di de-limitare l’intervento all’interno del diritto internazionale e del consesso delle Nazioni Unite, e non può essere confuso con la logica degli effettivi posizionamenti e pareri politici, che indubbiamente dovevano e devono essere ben più polemici e forti, come sono stati quelli del primo ministro russo Vladimir Putin, del ministro degli esteri russo Sergej Lavrov e del ministro degli esteri della Repubblica Popolare Yang Jiechi.

 

7)      Molti hanno poi osservato la netta e sostanziale (sicuramente concreta e considerevole) differenza tra l’Onu e la Nato. Tuttavia, il passaggio del comando dalla “coalizione dei volenterosi”, istituita in seno alla Risoluzione 1973 delle Nazioni Unite, alla Nato, avvenuto in appena otto giorni, ha dimostrato sia la precisa volontà di ricondurre unilateralmente la questione sotto il controllo degli Stati Uniti (e, in subordine, della Francia e della Gran Bretagna), sia l’assoluta non casualità dell’iniziale scelta statunitense di inquadrare a Stoccarda, sede internazionale dell’Africom, il quartier generale per le operazioni militari, fattori che, affiancati al quasi contemporaneo supporto implicito statunitense nella destabilizzazione (previa referendum) del Sudan, lasciano intendere un impegno strategico e geopolitico a 360° per:

a.       resettare le alleanze nell’area mediorientale e mediterranea

b.      ridimensionare le mire cooperative cinesi in Africa

c.       penetrare, attraverso pressioni istituzionali, politiche (soft-power) e militari (hard-power), quanto più possibile verso il Golfo Persico, il Mar Rosso, il Golfo di Aden e il Mar Caspio

In ogni caso, insufficiente è la tesi – infantile e retorica – della mera “conquista neo-coloniale per il petrolio”, atrofizzata, sclerotizzata e ferma ai tempi del buon Lenin, riproposta in maniera identica e immutata, come se nulla, in questo secolo, fosse accaduto.

 

8)      In merito a possibili proposte o soluzioni “da sinistra”, il parere del presidente Hugo Chavez è stato respinto, imputando al leader venezuelano (come anche a Fidel Castro) una presunta incapacità di analisi, o, al limite, esaltato in maniera immancabilmente distorta e pacifista.

 

In sostanza, la realtà è dunque molto diversa tanto dalle ricostruzioni operate dalle tesi “mirate” delle varie testate televisive nazionali e degli esponenti dei principali partiti di governo e di opposizione, quanto da quelle improvvisate dalle tesi (apparentemente) contrapposte del “no alla guerra”, frutto di un pressappochismo e di un’ignavia politica senza precedenti simili. Di questo passo, la fine è dietro l’angolo, proprio in virtù del fatto che certi leader o certi subalterni di questi ambienti politici sembrano incapaci di uscire da categorie cristallizzate e saturate già prima che la loro generazione le riprendesse in mano, adattando forzatamente ad esse la realtà, in cerca di una qualche direzione politica che ovviamente ancora non si riesce ad individuare … un po’ come i due smarriti Totò e Peppino, quando si rivolgevano al vigile chiedendogli: “Scusi ma dove dobbiamo andare, per andare dove dobbiamo andare?”.