La ragionevole paura del nucleare di Luigi Longo
1.Esporrò sinteticamente alcune riflessioni sulla ragionevole paura del nucleare, a partire dall’articolo di G.P., sulla immotivata paura del nucleare, apparso sul blog di “Conflitti e Strategie” il 16 marzo 2011. Lo farò con argomentazioni che tengono conto sia della ragione sia del sentimento che, per me, sono interconnessi e innervati. Le argomentazioni le affronterò per punti perchè necessitano di approfondimenti e di sistemazioni (sono un cantiere di lavoro aperto).
2.Hanno ragione Angelo Baracca e Giorgio Ferrari quando sostengono che << …non si deve dimenticare che nella discussione della scelta nucleare non si può rimanere imbrigliati nei soli aspetti energetici ed ambientali, ma che il problema è ben più generale, perché si inquadra nelle strategie di dominio – economico e militare – che sempre più gravano sulle prospettive del mondo. Oggi la diffusione della tecnologia nucleare serve più a rafforzare il controllo delle altre scarseggianti riserve planetarie ed il predominio mondiale, di nazioni potenti, che non a garantire maggiore indipendenza e disponibilità nell’approvigionamento di energia ( corsivo mio)>> (Baracca e Ferrari, 2009, pp.87-88). E’ ragionevole avanzare l’ipotesi che la produzione del nucleare civile è, soprattutto in questa fase storica di crisi d’epoca e di trapasso a una fase multipolare e successivamente policentrica, nell’accezione di Gianfranco La Grassa (2009), il “Cavallo di Troia” per lo sviluppo della ricerca e della produzione del nucleare militare (Dinucci, 2003), per le potenze che si vanno delineando, all’approssimarsi, nel medio e lungo periodo, dello scontro (decisivo) per l’egemonia e il dominio a livello mondiale (in quest’ultimo periodo abbiamo segnali abbastanza chiari: Nord Africa, Medio Oriente, eccetera). Per dirlo con le parole di Luisa Muraro (2011, p. 96): << penso specialmente alle guerre, per quello che sono le guerre da sempre e per le caratteristiche che hanno assunto oggi: mai dichiarate, croniche, micidiali per la popolazione civile e il territorio, parte integrante della politica e dell’economia, rifornite di sempre ritrovati dalla tecnoscienza. >>.
3.Sostengo questa ipotesi con il seguente ragionamento.
L’attuale livello di produzione di energia elettrica di origine nucleare, che è presente in natura, tant’è che è <<… il flusso di energia proveniente dalle reazioni nucleari che si svolgono nel Sole a mantenere il nostro ecosistema lontano dall’equilibrio; è stato quindi tale flusso a permettere lo sviluppo della vita sulla terra >> (Prigogine, 2003, p.147) , è il punto di non ritorno della stupidità umana, nell’accezione data dallo storico Carlo Maria Cipolla (1998), della società a modo di produzione capitalistico. E’questa forma di energia, scoperta nei primissimi decenni del secolo scorso da Einstein, che, insieme ad altre fonti di energia ( termica, delle maree) dà la vita sulla terra, le permette di andare avanti, ed è compatibile con il suo sviluppo;invece, il livello della ricerca, della tecnica e della produzione dell’energia elettrica di origine nucleare del capitalismo (i), con il combustibile uranio naturale, mette a rischio l’ esistenza della vita sulla terra.
Senza analizzare tutti gli incidenti gravi noti e meno noti ( manca un serio lavoro di orientamento critico complessivo sulla questione) succeduti alle centrali nucleari ( alla fine del 2007 sono operative n.439 unità) sparse per il mondo (Schneider e Frogatt, 2009), cito dal “Rapporto del Chernobyl Forum” di una fonte istituzionale, quindi sistemica, qual è l’ENEA ( Dipartimento Fusione, Tecnologie e Presidio Nucleare), le conseguenze mortali che l’incidente nucleare di Chernobyl del 1986 ha provocato << Il tumore alla tiroide causato dal fallout di iodio radioattivo è stato una delle conseguenze più importanti dell’incidente. Le dosi alla tiroide assorbite nei primi mesi dopo l’incidente furono particolarmente alte nei bambini e in coloro che bevevano latte contenente altri livelli di iodio radioattivo. Fino al 2002 più di 4000 casi di tumore alla tiroide erano stati diagnosticati in questo gruppo di persone, ed è molto probabile che una gran parte di tali casi sia attribuibile all’assunzione di iodio radioattivo. A prescindere dal drammatico aumento di incidenza del tumore alla tiroide tra coloro che furono esposti in giovane età, non c’è stato un aumento chiaramente dimostrato di tumori solidi o di leucemia a causa delle radiazioni nelle popolazioni maggiormente esposte. Si è verificato, tuttavia, un aumento di problemi psicologici nella popolazione coinvolta, problemi aggravati da una insufficiente informazione riguardo agli effetti delle radiazioni e dalla crisi sociale ed economica causate dal crollo dell’Unione Sovietica. E’ impossibile determinare in modo attendibile e preciso il numero di tumori letali causati dall’esposizione a radiazioni dovuta all’incidente di Chernobyl, o l’impatto dello stress e dell’ansia. Piccole differenze nelle assunzioni relative al rischio da radiazioni possono portare a grandi differenze nelle conseguenze previste sulla salute, che sono quindi molto incerte.
Un gruppo di esperti internazionali ha elaborato delle proiezioni per fornire una stima approssimativa dell’impatto dell’incidente sulla salute e per dare supporto alla programmazione dell’allocazione delle risorse sanitarie in futuro. Le proiezioni indicano che tra le popolazioni maggiormente esposte ( liquidatori, evacuati, e residenti nelle zone cosiddette di “rigido controllo”), la mortalità per tumore in totale potrebbe aumentare fino a qualche per cento a causa dell’esposizione a radiazioni dovuta all’incidente di Chernobyl. Tale aumento corrisponderebbe fino ad alcune migliaia di tumori letali in più rispetto a circa centomila morti per tumori attesi in queste popolazioni per tutte le altre cause. Un aumento di questa entità ( qualche punto percentuale) sarebbe difficile da evidenziare perfino con studi epidemiologici molto accurati e a lungo termine [soprattutto in assenza di studi critici, precisazione e corsivo mio]. >> (Batistoni, 2006, p.31; redazione scientifica di “ Observer”,1986).
Il disastro della centrale nucleare di Fukushima, capitale della prefettura di Fukushima della regione Tohoky dell’isola Honsu del Giappone, si presenta più drammatico di quello di Chernobyl sia per la potenza dei tre reattori che è pari al doppio di quello da mille megawatt di Chernobyl, sia per il territorio urbanizzato dell’intera regione, con una alta densità territoriale – con punte di 1.400 abitanti per Kmq di Sendai, capitale della vicina prefettura di Miyagi-, (senza considerare la possibilità che la nube radioattiva possa interessare Tokio che dista 240 Km), sia per la complessa rete delle interdipendenze ambientali che i fenomeni “naturali”. combinati, del sisma e dello Tsunami, hanno messo in movimento e sulle cui capacità di controllo nulla si sa. Un territorio situato all&rsq
uo;incrocio di quattro placche tettonichecon conseguenze sismiche notorie e devastanti dove la imprevedibilità era prevedibile e dove ci sono stati una serie impressionante di incidenti (1) agli impianti nucleari:<< Capire la natura è uno dei grandi progetti del pensiero occidentale. Esso non va confuso con quello di controllarla >> (Prigogine, 2003, p.142).
Il premio nobel per la fisica, Carlo Rubbia, ha sostenuto con estrema chiarezza che << Non esiste un nucleare sicuro o a bassa produzione di scorie. Esiste un calcolo delle probabilità per cui, ogni 100 anni, un incidente nucleare è possibile: e questo evidentemente aumenta con il numero delle centrali >> (Bettini, 2009,p.XII). Ricordo, en passant, che l’incidente di Chernobyl è avvenuto nel 1986, ossia 25 anni fa.
4. Nel dopoguerra l’industria di arricchimento dell’uranio naturale resta ovviamente nelle mani militari, e il canale civile è mantenuto aperto con un complicato sistema di equilibri di rete dove i fili da una parte sono tesi dai produttori delle bombe, e dall’altra parte dai flussi dei soldi provenienti dal canale elettronucleare civile ( Sertorio, 2008). << Il programma “L’atomo per la pace”, reso pubblico nel dicembre 1953, da un discorso di Eisenhower, costituiva una via per mettere finalmente a profitto gli enormi investimenti fatti per gli arsenali, avvantaggiandosi della ricerca svolta sui reattori militari per realizzare reattori nucleari: gli USA ebbero il primo reattore di potenza connesso alla rete elettrica nel 1957 ( shippingport), dopo 12 anni di bombe all’uranio, al plutonio e all’idrogeno esplose nell’atmosfera del Pianeta >> (Baracca, 2004, p.101).
Sul pericoloso sviluppo del nucleare militare riporto alcune osservazioni tratte da un articolo del 1975 del premio nobel per la fisica Alfven Hannes << In una prospettiva generale e a lungo termine l’energia nucleare non è necessaria ( corsivo mio); essa è inoltre estremamente pericolosa per il genere umano[…]. Quando, come adesso, ci troviamo di fronte alla prospettiva di produrre una gran parte dell’energia mondiale mediante la fissione, ci rendiamo conto che stiamo iniziando la produzione di massa degli elementi più tossici e, siccome il plutonio è la materia prima delle bombe nucleari, facilitiamo la diffusione di questi mezzi di distruzione di massa. Con i massicci investimenti programmati per la tecnologia nucleare stiamo creando un mondo sempre più terrificante […]. Gli europei devono sapere quale sarà la situazione dell’Europa ( e del mondo) quando saranno costruiti tutti i reattori ora in programma. Devono capire che la diffusione dell’energia nucleare porterà inesorabilmente alla diffusione delle bombe nucleari, le quali nei momenti di crisi saranno probabilmente utilizzate per il loro scopo originario. Devono sapere che in Europa esistono già più di 10.000 bombe nucleari; ciò significa che gli “addetti ai lavori” dell’Est e dell’Ovest hanno già preparato per l’Europa 10.000 catastrofi di Hiroschima. Ecco alcuni fatti fondamentali del pericolo nucleare, di cui gli “addetti ai lavori” raramente fanno menzione. Discutere della crisi energetica senza tener conto di questi fatti è forma di evasione ingenua e irresponsabile ( corsivo mio)>> ( articolo ripreso da Nebbia, 1975).
<< Vi è poi un aspetto fondamentale per valutare correttamente i nuovi progetti: i programmi nucleari "civili" sono sempre stati subalterni ai programmi militari.
Basti pensare che in questi 60 anni sono state costruite nel mondo poche centinaia di reattori "civili"[…], a fronte di un numero maggiore di reattori militari e per la propulsione dei sommergibili, e di circa 130.000 bombe! Ma il costo dei programmi militari è in realtà enormemente più grande, poiché essi richiedono un sistema integrato di enorme complessità e altissima tecnologia:lanciatori, sommergibili nucleari, sistemi satellitari di allarme, di allerta e di controllo e comando, addestramento del personale, manutenzione e verifica delle testate, ecc. Inoltre, la dipendenza del nucleare "civile" da quello militare non è solo una questione di numeri; ancor più significativo è che le industrie che producono i componenti delle centrali nucleari sono anche le produttrici delle componenti delle bombe nucleari: è l'aspetto sostanziale del Complesso militare industriale che derivò proprio dal grande investimento bellico e dal Progetto Manhattan. Senza questa connessione lautamente finanziata, l'industria energetica nucleare sul mercato non avrebbe retto: le due principali produttrici di impianti nucleari, General Electric e Westinghouse, negli anni '80 coprivano rispettivamente il quarto e il quindicesimo posto come fornitrici di contratti per la difesa USA >> ( Baracca, 2007, p.17 ).
E’ una lunga storia che ha avuto inizio alla fine ‘800 quando si studiavano i fenomeni della radioattività naturale. Negli anni ’30 molti scienziati lavorarono a produrre quella artificiale , con << l’attenzione esplicita che venne subito posta al legame tra le caratteristiche rilevate nei fenomeni della
radioattività e il possibile interesse di quest’ultima come fonte energetica. Mi limito a riprendere un brano di Frederick Soddy che lavorava con Rutherford e che nel 1912, in un testo di taglio divulgativo, scrisse “Se ci fermiamo anche un attimo a riflettere su ciò che l’energia significa per il presente possiamo farci almeno una pallida idea di ciò che la questione della trasmutazione può significare per il futuro in un mondo privo di combustibili…sin dagli inizi l’interesse dei fisici fu catturato assai più dalla prospettiva che la radioattività poteva rivelarsi fonte di disponibilità di energia prima impensate e straordinariamente grandi, che non dall’attenzione critica per le difficoltà concettuali in cui si era caduti.>> (Donini, 1990, pp. 179-180).
Scrivono Angelo Baracca e Giorgio Ferrari << Oggi l’umanità non è più in grado di pensare ad un futuro quale che sia, schiacciata com’è dai comandamenti del dio mercato e costretta a vivere sotto l’equilibrio del terrore atomico susseguitosi alla distruzione di Hiroshima e Nagasaki che, come ha scritto Dario Paccino nel suo ultimo libro , << segnano la fine della continuità fra la storia di quando la Terra costituiva un’affidabile dimora sine die per la nostra specie, e la Terra del presente, quando non c’è più nessuno che possa garantire circa la durata della sua ospitabilità non solo per quanto ci riguarda, ma anche per lo stesso sistema della vita >> (Baracca e Ferrari, 2009, p.89).La natura non può più assicurare il suo ruolo di regolatrice energetica e vitale, individuale e collettiva, se il rischio di inquinamento è diventato mortale e mondiale (2). E la guerra non può più essere contenuta entro i limiti di un conflitto dichiarato (Irigaray, 1989).
Gli agenti strategici dominanti negli USA hanno avviato, con la terza fase della corsa agli armamenti nucleari aperta con l’amministrazione Bush dopo l’11 settembre 2001, una offensiva militare e pol
itica senza precedenti ( è in questa logica il loro perfezionamento delle capacità di attacco nucleare) per difendere la loro egemonia a livello mondiale soprattutto all’inizio della fase multipolare mondiale con l’emergere di altre potenze ( Russia, Cina, India). << Il budget del dipartimento della Difesa sale da 296 miliardi di dollari nell’anno fiscale 2001 a 328,9 nel 2002 e 364,6 nel 2003. Per l’anno fiscale 2004 ( che inizia il primo ottobre 2003) vengono stanziati 379,9 miliardi. A questi stanziamenti si aggiunge quello, iscritto nel budget del dipartimento dell’Energia, per il mantenimento e l’ammodernamento dell’arsenale nucleare: esso passa da 17,6 miliardi di dollari nell’anno fiscale 2003 a 19,3 nel 2004 e a 19,8 nel 2005. Il budget del Pentagono sale così a 399,1 miliardi di dollari nel 2004: quasi un quinto dell’intero bilancio federale. Negli anni successivi, in base alla programmazione del 2003, salirà a 419,6 miliardi di dollari del 2005, 439,7 del 2006, 460 nel 2007, 480,4 nel 2008, 502,7 nel 2009. Si supererà così il picco raggiunto dall’amministrazione Reagan negli anni Ottanta, in piena guerra fredda >>(Dinucci, 2003, p.145). Per una ulteriore conferma della super potenza militare si calcola che << Tra i 15 paesi con le maggiori spese militari del mondo ( la cui spesa complessiva ammonta all’82% di quella mondiale), gli Stati Uniti, stando al solo budget del Pentagono, spendono più di quanto spendono complessivamente gli altri 14: Giappone, Gran Bretagna, Francia, Cina, Germania, Italia, Iran, Arabia Saudita, Corea del Sud, Russia, India, Israele, Turchia e Brasile. Il solo budget del Pentagono ammonta a quasi la metà della spesa militare mondiale, che il Sipri stima nel 2003 in 879n miliardi di dollari ( al valore costante del 2000) >> (Dinucci, 2005, p.84).
Le relazioni sociali, i rapporti sociali di produzione e riproduzione dei capitalismi e dei rispettivi agenti strategici dominanti egemoni nelle diverse sfere della formazione sociale storicamente data ( a partire soprattutto dalla fine della seconda guerra mondiale con l’instaurarsi della potenza egemone a livello mondiale degli USA) hanno reso possibile lo sviluppo della ricerca, della tecnologia e della produzione del nucleare per fini militari e successivamente per fini civili. Si pensi ai blocchi militari industriali peculiari delle varie nazioni (USA, Francia, Giappone, Russia, eccetera l’ordine segue il numero dei reattori nucleari operativi come da tabella allegata più avanti), non solo da un punto di vista strettamente militare ed economico ( come la filiera del nucleare dalla ricerca alla produzione ), ma soprattutto dal punto di vista della costruzione di un blocco sociale egemone che attraverso la politica, la cultura, le istituzioni, eccetera ha reso una nazione una potenza mondiale.
Oggi, con il presidente Barack Obama sono “egemoni” altri blocchi di potere e di dominio; è cambiata la strategia, ma la sostanza resta la stessa ( tutto torna ma in maniera diversa ) e gli eventi soprattutto nel Nord Africa e nel Medio Oriente in questa fase lo confermano.
5. Tralasciando una serie di dati significativi, mi interessa evidenziare, dal documento di Mycle Schneider e Antony Frogatt, che << La produzione elettrica, solo leggermente aumentata, di origine nucleare non sarà sufficiente, almeno a breve e medio termine, per mantenere l’attuale percentuale a livello mondiale del 16% della produzione elettrica, o il 6% dell’energia primaria a fini commerciali ( l’energia finale disponibile per il consumatore è l’energia primaria meno le perdite di trasporto, distribuzione e trasformazione. Per quanto riguarda l’elettricità generalmente si perde da metà ai tre quarti dell’energia prodotta dalla centrale, precisazione mia).[…].Il ricorso al nucleare è limitato a solo 31 stati, il 16% dei 191 Stati Membri delle Nazioni Unite…I sei più grandi produttori – USA, Francia, Giappone, Germania, Russia e Sud Corea – metà dei quali dispongono di armi atomiche, producono quasi tre quarti dell’elettricità nucleare nel mondo. Metà delle nazioni con reattori nucleari si trovano nell’Europa centrale o dell’Ovest e producono più di un terzo dell’energia nucleare mondiale. Il picco storico di 294 reattori operativi nell’Europa Occidentale e in Nord America è stato raggiunto già nel 1989. Di fatto, il declino dell’industria nucleare, non notato dall’opinione pubblica, è iniziato molti anni fa.[…]. Il numero delle centrali nucleari in esercizio con tutta probabilità andrà diminuendo nei prossimi venti anni con un declino più rapido atteso dopo il 2020. Molti analisti osservano che i problemi storici della produzione elettrica da nucleare non sono stati risolti e continueranno a costituire un forte svantaggio competitivo a livello di mercato globale.[…]. La strategia dell’industria del nucleare è chiara: in assenza di possibilità di rinascita a breve e medio termine del settore, le speranze si spostano ad una generazione di reattori completamente nuova, i cosiddetti reattori di IV Generazione. Questi reattori sarebbero molto più piccoli di dimensioni ( dai 100 MW ai 200 MW), così come i requisiti finanziari richiesti; rappresentano quindi una soluzione più flessibile grazie ai tempi di costruzione molto brevi ed a potenzialità di rischio ridotte tramite un minor utilizzo di materiali radioattivi e misure di sicurezza passive. Nel frattempo le industrie del nucleare tentano di estendere la vita di sistema delle centrali atomiche quanto possibile per mantenere vivo il mito di un futuro nucleare ( corsivo mio) […] Per l’immediato futuro , le nuove costruzioni rimangono essenzialmente confinate all’Asia: delle 34 unità elencate dalla IAEA ( International Atomic Energy Agency) come in costruzione in 13 stati ( al 31 dicembre 2007) – otto in più dalla fine del 2004 ma circa 20 in meno rispetto alla fine degli anni Novanta – tutti gli interventi, tranne cinque, si trovano in Asia o Europa dell’Est. Dodici di questi impianti son formalmente in cantiere da almeno 20 anni.Il tempo di costruzione più lungo è stato raggiunto dal reattore Statunitense Watts Bar-2, la cui costruzione, iniziata nel 1972 è appena ripresa, e dal progetto Busheer-1 Iraniano iniziato nel maggio 1975 che continua ad accumulare ritardi(3)(cioè negli Stati Uniti non si costruisce un impianto nucleare dal 1972, precisazione e corsivo miei) >> ( M. Schneider, A.Froggat, 2009, pp. 167, 168, 170, 173, 182, ).
Nonostante la ripresa dei programmi nucleari in questi paesi, il nucleare resta una fonte energetica in declino sullo scenario mondiale: infatti secondo le stime dell’IAEA sul contributo dell’atomo alla produzione elettrica mondiale, contenute nel rapporto “Energy, elettricity, and nuclear power estimates for the period up to 2030” pubblicato nel 2007, nei prossimi decenni si passerebbe dal 15% del 2006 a circa il 13% del 2030.