UN VILE AFFARISTA
L’attuale Presidente di Bankitalia, Mario Draghi, ha ormai la strada spianata verso l’Eurotower dove ha sede la BCE. La mancanza di altri candidati (o per meglio dire la loro esclusione forzata) ed il recente endorsement dell’Ecofin lanciano ai vertici dell’importante istituzione europea il nostro governatore, il quale sembra gradire il consenso generale degli altri membri comunitari che lo sospingono all’incarico. I media e gli schieramenti politici nazionali sono andati in brodo di giuggiole per l'evento senza distinguersi gli uni dagli altri quanto a valutazione critica e completezza informativa. E’ un coro unanime di giubilo perché si ritiene un immenso privilegio ed un esorbitante onore per il Paese il fatto che un proprio connazionale assurga finalmente ad un ruolo strategico negli assetti dell’UE. Ma si sta dimenticando con troppa facilità il passato del presidente del Financial Stability Forum, già Managing Director di Goldman Sachs International e membro del Comitato esecutivo del Gruppo Goldman Sachs. Quest’ultima merchant bank è salita agli onori della cronaca durante la crisi dei suprime per il suo comportamento poco trasparente e persino fraudolento nella gestione dei prodotti finanziari legati ai mutui d'oltreatlantico, stando almeno alle accuse formulate dalla SEC, l’autorità di borsa americana equivalente alla nostra Consob, nei suoi confronti. La Goldman è un istituto anomalo che viaggia a braccetto con la politica e che rafforza le sue posizioni di mercato costruendosi intorno una rete di protezioni istituzionali che l’avvantaggiano sulle concorrenti come ha dimostrato il caso di Lehman Brothers. Si mormora infatti che quest’ultima big bank sia stata abbandonata al suo destino fallimentare per eliminare un diretto concorrente della GS, mentre altri istituti finanziari, meno centrali per l’economia stellestrisce, venivano salvati dall’amministrazione statunitense proprio perché la GS risultava piuttosto esposta nei loro riguardi. Ecco, Draghi viene da questi ambienti patinati quanto malfamati. Probabilmente, la sua carriera ha svoltato dopo che costui ha lavorato fianco a fianco con gli uomini più importanti della finanza Usa e del gotha finanziario americano. Ma, ancor peggio, fui lui a gestire, da Direttore Generale del Tesoro, lo smantellamento dell’industria pubblica agli inizi degli anni ‘90. Come ricorda Paolo Cirino Pomicino, importante esponente democristiano della corrente Andreotti e più volte Ministro della Repubblica, Draghi si presentò a quel famoso e famigerato rendez-vous sul panfilo Britannia – dove si diede appuntamento l'élite di potere anglo-americana (tra gli altri ospiti vi erano i reali britannici e i rappresentanti di multinazionali del denaro come Merrill Lynch, Goldman Sachs e Salomon Brothers) – senza essere stato inviato dal Governo, per discutere di privatizzazioni e ristrutturazione dell’economia pubblica. Dopo quell’’incontro, eravamo nel 1992, molti pezzi prelibati dell’industria statale passarono in mani private a cifre ridicole e con una sospetta trasformazione degli assetti societari che sembravano esser stati pensati apposta per favorirne il controllo e la gestione da parte dei compratori privati. Tutti questi avvenimenti portarono, qualche lustro più tardi, l’ex PresdelRep Francesco Cossiga, che pure aveva consigliato Draghi a Silvio Berlusconi per il posto di comando a Palazzo Koch, a dire di lui: “Un vile, un vile affarista, non si può nominare Presidente del Consiglio dei Ministri [anche allora Draghi veniva indicato come papabile per la guida di un governo tecnico in sostituzione del traballante Prodi] chi è stato socio della Goldman & Sachs, grande banca d’affari americana, e male, molto male io feci ad appoggiarne, quasi ad imporne la candidatura a Silvio Berlusconi, male, molto male. E’ il liquidatore, dopo la famosa crociera sul Britannia, dell’industria pubblica, la svendita dell’industria pubblica italiana, quand’era Direttore Generale del Tesoro, e immaginarsi cosa farebbe da Presidente del Consiglio dei Ministri, svenderebbe quel che rimane, finmeccanica, l’enel, l’eni ai suoi comparuzzi di Goldman Sachs”. L’esaltazione dei nostri compatrioti della stampa e del Parlamento per questo italiano che vuò fa l' americano, alla luce di tali notizie, appare pertanto eccessiva se non persino ingiustificata. Non basta essere nati in un posto per essere dei veri patrioti. E’ vero che nessuno è profeta in patria, ma Draghi non ha mai nemmeno tentato di fare qualcosa per i fratelli d’Italia, non dico per farsi amare ma almeno rispettare. Grigio burocrate di apparato lui si sente cittadino aperto al mondo, ma si tratta di un mondo ristretto che va da Washington a Londra senza passare per Roma. Perché ora dovrebbe cambiare, perché la sua investitura alla Bce, con queste pessime credenziali, dovrebbe essere cosa buona e giusta per noialtri? Mistero di un Paese che sceglie sempre i peggiori e riesce a farsi del male da solo.