Osservazioni sparse a “Procediamo con lentezza” – di Red
Ho raccolto qui di seguito alcune mie osservazioni all’ultimo saggio di GLG pubblicato sul blog con titolo Procediamo con lentezza. Già durante la lettura del saggio mi si sono affacciate alla mente delle riflessioni e dei collegamenti molte delle/dei quali sono svaniti una volta giunti alla fine. Ho però ripassato velocemente il saggio sottolineando i brani che più mi avevano stimolato, per riprenderlo qualche giorno dopo.
Con questo metodo sono riuscito a dare un minimo di sistematicità alle mie riflessioni/sensazioni che comunque rimangono schematiche e incomplete. La loro pubblicazione ha senso nella misura in cui potrebbe stimolare in altri lettori iniziative analoghe.
1) Innanzitutto premetto che trovo sempre molto ben costruiti i saggi di GLG, e quindi anche questo, che io leggo, sia come un racconto che come un libro di testo dei miei studi universitari al Politecnico. Il rigore delle definizioni, delle categorie, insomma delle parole/concetti (… i personaggi del racconto) è per me una caratteristica unica degli scritti di GLG: che lo pone in una particolarissima (e purtroppo poco numerosa) nicchia fra i pensatori (fra cui metto un po’ alla rinfusa Machiavelli, Leopardi, Von Clausewitz, Marx, Lenin e Proust).
2) Mi sembra particolarmente significativa una parte del par.6 in cui GLG precisa come lui fa teoria, analisi scientifica, negando alla radice qualsiasi possibilità di rappresentare la realtà, ma nello stesso tempo offrendo una struttura interpretativa. Trovo particolarmente fecondo l’uso che GLG fa delle parole “realtà” e “struttura”. Ripeto, non essendo un teorico non so spiegarvelo, ma ci ritrovo quelle che io reputo delle necessità nel procedere della riflessione, cioè: avvicinarsi al vero e dare strumenti per l’azione trasformatrice sulla realtà.
Quando studiavo Teoria dei Sistemi ero fanatizzato dalla possibilità di costruire modelli matematici, comunque complicati, che simulassero spezzoni di realtà (un impianto, un ecosistema, un’economia, e così via complicando). Però ho sempre avuto coscienza (studi classici …) della differenza logica fra “modelli” e “realtà”.
L’insistenza di GLG per cui anche gli strateghi del capitale non possono pretendere di fare previsioni esatte e di ottenere risultati coerenti con le ipotesi fatte, mi sembra di una lucidità particolare e feconda di conseguenze anche sul piano dell’azione personale.
Mi riferisco a:
Ogni teoria della società deve limitare le sue generalizzazioni agli elementi ritenuti più decisivi e caratterizzanti le varie formazioni nella loro evoluzione e mutamento in successive epoche storiche. Non deve cercare di irrigidire la loro struttura in una serie di relazioni sistemiche sempre eguali e date una volta per tutte. Si abbia coscienza che la struttura è puramente teorica, è la fissazione statica di una continua trasformazione dinamica. Impossibile rappresentarsi quest’ultima in tutte le sue infinite variabili e in ogni istante …
… Guai però credere che la stabilizzazione, per una prassi di lotta (foss’anche solo teorico-ideologica), sia la riproduzione della “realtà” …
3) nei par.5 e 6 si trova una bella sequenza di pensieri utili per smantellare le costruzioni ideologiche sulle “leggi di mercato” e “l’intervento dello Stato”. Credo che ci sia un nesso con il paradigma scientifico usato da GLG, ma in più c’è la sottolineatura delle “prerogative sociali” e non individuali (Robinson Crusoe) del’umanità. Qualche volta GLG parla dell’Uomo …
Mi riferisco in particolare a (l’evidenziazione è mia):
… tuttavia, credere che il pensiero derivi da tali leggi, a queste si pieghi supinamente, assumendo un comportamento puramente passivo di semplice adattamento ad esse, è rinunciare alle prerogative dell’essere (sociale) dell’umanità.
… Come la cultura alla fine sovrasta la “natura biologica”, così pure, nello sviluppo capitalistico, la razionalità strategica si pone ad un superiore livello rispetto a quello della pura economicità, delle “leggi del mercato” cui si piega il liberista; e, tutto sommato, anche lo statalista “keynesiano” …
… Altro che le semplificazioni neoliberiste intorno alle virtù taumaturgiche del “libero mercato”. Nemmeno però le sciocchezze circa la semplice predominanza prevaricatrice (e “tuttofare”) del potere: politico o “dei banchieri” (finanziario). Si tratta in ogni caso di idee infantili, di idee di cervelli non più abituati all’analisi scientifica che, dietro le generalizzazioni indispensabili, nutre sempre un pensiero complesso e articolato. Perché solo dalla complessità, che inizialmente provoca certo indecisioni e titubanze analitiche, possono poi nascere “intuizioni” nuove in grado di ristrutturare il vecchio sapere e di aprirlo a ulteriori prospettive, prima ignote perché non si inforcavano altri occhiali.
Ma anche la chiusura del par.3 mi riporta a considerazioni analoghe:
…. Il “massimo”, nel conflitto, non è lo stesso massimo che impegna le menti degli economisti o dei contabili. E la via per conseguire tale “massimo” (strategico) non è quella del maggior “risparmio” possibile di mezzi in vista di un dato risultato economico (ad es. il profitto, ma non solo) da realizzare.
Il “massimo” del conflitto strategico è messo tra virgolette ma è significativo che GLG usi comunque un termine derivato dalla matematica delle teorie dei sistemi e dei giochi.
3) ancora nel par.5, proprio all’inizio, si trova secondo me una vera e propria nuova definizione teorica: l’azione verso l’esterno che qualifica l’azione dei dominanti strategici. Forse non è del tutto nuova negli scritti di GLG ma mi sembra meglio precisata. Sicuramente per quanto riguarda la conduzione dell’impresa, ma credo (o immagino) che potrebbe essere usata anche nelle altre sfere: quella politica e quella ideologico-culturale.
La mia esperienza aziendale (25 anni in una stessa azienda medio-piccola) non può che confermare l’evoluzione del comando da un (o più) rappresentanti della borghesia ad un gruppo di managers “condottieri”.
E quindi risulta molto più pregnante e chiara la categoria di “funzionari del capitale”, nel momento in cui la funzione capitalistica , quella che conta, decisiva per la supremazia, è precisata con “l’azione verso l’esterno”.
Mi riferisco a:
La classe dominante muta abito; non si tratta affatto dei semplici proprietari ormai redditieri, bensì dei vertici organizzatori e coordinatori, che si concentrano sempre più sull’azione verso l’esterno. Possono essere anche proprietari o invece solo manager; in ogni caso l’interesse del gruppo al vertice dell’impresa (anche di quella attiva nella finanza) non è quello del semplice rentier, ma del “condottiero”. In questo senso il borghese proprietario si è andato trasformando in un soggetto – sempre meno (anzi quasi mai da ormai un secolo o giù di lì) un individuo, bensì un gruppo di comando – che espleta la funzione capitalistica (dal capitalismo borghese a quello dei funzionari del capitale, come da me affermato più volte).
4) Infine una riflessione che concerne i passaggi sul “potere”. Mi è molto chiara la polemica teorico-pratica che GLG vuole ingaggiare con le correnti liberiste o “alternative-critiche-che-più-critiche-non-si-può”). E quindi l’attestazione del suo pensiero su un punto che mi sembra centrale, incluso in vari passaggi del par.6:
…. Per dirla con Gramsci, analizzerei a fondo l’egemonia (culturale) corazzata di coercizione (da parte dello Stato), mantenendo una distinzione tra i due ambiti, eppur sapendo dov’è “l’elemento d’ultima istanza”: nel potere, manovrato secondo razionalità strategica per modificare i rapporti di forza tra gruppi di comando e conquistare la supremazia.
Quindi il potere come elemento di ultima istanza dominante sull’economia (merci e moneta).
Però a me sembra che questa affermazione potrebbe essere confusa con la negazione posta all’inizio del saggio, dove si dice:
… Altri, i “critici” che “più critici non si può”, affermano il primato assoluto (o quasi) del potere politico e delle sue manovre tese a guidare l’economia verso la realizzazione delle decisioni prese da determinati gruppi dominanti in modo preciso e consapevole.
Alla mia lettura saltano all’occhio le parole (che ho evidenziato col grassetto) che qualificano la distanza (non solo la differenza) tra il potere, qualificato da GLG, ed il potere politico dei critici-critici: che è univoco, unidirezionale, consapevole e deterministico. Tutto il contrario per GLG (par.6):
… nella sopra rilevata esondazione degli ordini dei gruppi di comando dalle imprese al mercato e dal mercato alle altre sfere sociali – con trasformazione, allora, di questi “ordini” in mosse strategiche – non si ha semplice allargamento del potere in cerchi concentrici alla guisa di una macchia d’olio, che riguarderebbe una superficie bidimensionale. No, i cerchi si incontrano con altre onde del potere, spesso perfino più forti, dando così vita a “concrescenze” tridimensionali che corrugano variamente il territorio (sociale) e all’interno delle quali sono intrecciati (non fusi) i vari ambiti economici, politici, ideologico-culturali.
Ma ad occhi non allenati, nella polemica politica e nei discorsi comuni questa differenza potrebbe non apparire. Il “potere” di GLG, come elemento di ultima istanza, secondo me è una categoria che ancora deve essere limata …