MA QUANTO PARLANO INTELLETTUALI E GIORNALISTI?

Questo pezzo è stato scritto per la cronaca lucana di Tiscali, ma credo che vada bene anche in questa sede perchè tali tarli si riproducono costantemente anche su scala cultural-nazionale.

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Quando un intellettuale ed un giornalista, che vorrebbero accendere i riflettori su problemi economici, sociali, culturali, politici ecc. ecc. di una terra come la Lucania, affermano, dalle pagine del quotidiano più letto della regione, che il PIL non misura la qualità della vita mi viene immediatamente l’orticaria. Forse il Prodotto interno lordo non stimerà il benessere generale che dipende anche da altri fattori, economicamente non quantificabili, ma ci fornirà pur sempre un’indicazione delle sue possibilità di realizzazione. Che oggi in Basilicata sono letteralmente al lumicino. Se il PIL, ovvero quella grandezza macroeconomica aggregata che esprime il valore complessivo dei beni e servizi prodotti all’interno di un Paese, non rivela granché della vita delle persone è perché costoro non sanno nulla, né di vita e né di persone. Una testa può essere vuota di nozioni e piena di balzanerie anche quando la pancia è satura, come dimostrano i loro strambi ragionamenti da peripatetici perplessi, ma un ventre rimbombante trasmetterà sempre alla capoccia un’unica idea fissa: procurarsi da mangiare. Non ho mai visto nessun affamato produrre concetti che non fossero direttamente collegati ad un piatto di pappa e solo affrancandosi da tali istantanei bisogni della carne l’incivile ed inurbano assurge al rango di ingegnere, artista, filosofo e purtroppo anche giornalista. Questo pensiero però sfugge all’intellighenzia nostrana con lo stomaco rigonfio come una zucca e il cranio svuotato di ogni semenza. Questo spiega anche il perché di alcune successive asserzioni rinvenienti da quel senso di sazietà intellettualoide che sospinge i citati saccenti ad affermare, con intransigente ma vacua aria veritativa, auliche castronerie da obitorio: “la morte è il centro di un sistema valoriale che crea il sentimento della fraternità”. Non significa nulla, chiunque lo abbia sostenuto e men che meno quando si sta disquisendo di tematiche sociali. Foscolo, che letterato lo era veramente, si limitò a dire: “se gli uomini si conducessero al fianco la morte, non servirebbero si vilmente”, come fanno ad esempio tutti quei professori e professorini i quali, lamentandosi del mondo rotolante, riescono a rimbalzare da una platea all’altra e da una ricca pietanza alla successiva. Ma tant’è, ad ognuno la morte, l’affratellamento e la cortigianeria che si merita. Enunciava Marx che la fame è fame, ma la fame che si soddisfa con carne cotta, mangiata con coltello e forchetta, è una fame diversa da quella che divora carne cruda, aiutandosi con mani, unghie e denti. Vallo a spiegare a lorsignori che hanno tutto, stoviglie comprese, ma rimpiangono i tempi in cui l’uomo strappava a morsi la ciccia sanguinante dal corpo delle sue prede. Insomma, essi dichiarano di accontentarsi di poco ma poi li vediamo sempre ben pasciuti a pontificare sulla bellezza e la semplicità di una esistenza agreste dal “buen retiro” dorato. Ciò non vuol certo dire che ogni cosa va bene a Potenza e a Matera. La classe dirigente è autoreferenziale e sorda, secerne vizi senza virtù, distrugge sogni e materializza incubi ma non è attaccandola con i piagnistei dottorali e i perbenismi mentali che si cambieranno le sorti del popolo. Possiamo anche tollerare un po’ di dissolutezza e di debolezza morale se questi disvalori non comprimono crescita e sviluppo, anzi vorremmo che i politici potessero arraffare ancor di più dando però in cambio alla gente dieci, cento, mille volte tanto. Neppure un uomo si lamenterebbe, neanche un cittadino s’indignerebbe per le ruberie della casta. Se la comunità non è serena è per il depauperamento produttivo, lo smantellamento delle industrie, l’inefficienza dei servizi, l’inconsistenza politica coincidente con la caduta a picco del patrimonio economico. Ed allora i rappresentati del governo devono impegnarsi sulla materia, portando in Basilicata quel che serve per farla prosperare a lungo. Ci vuole modernizzazione e industrializzazione. Qualcuno continuerà a borbottare, vedi i suddetti intellettuali campestri, gli ambientalisti pedestri, i decrescisti depressi e tutta quella genia di passatisti di ogni secolo deploranti il progresso che corrompe le anime e deturpa il territorio. Ma se la Basilicata non vuole essere esclusivamente una colonia turistica di passaggio o ancor peggio una terra brulla e confusa, ferma nel tempo, deve puntare su questi settori che prima degli altri generano vigore e floridezza. Per tanta felicità si deve però essere disposti a pagare il prezzo di qualche esternalità negativa che è sempre meglio di morirsi d’inedia e di indigenza. Per concludere, vorrei lasciarvi ad una riflessione davvero disincantata che già qualche secolo addietro aveva colto il nocciolo della questione. Si tratta della morale della Favola delle Api di Bernard Mandeville, il quale prima di noi tutti aveva tirato una giusta lezione dal comportamento umano calato all’interno di determinate circostanze collettive:

“Abbandonate dunque le vostre lamentele, o mortali insensati! Invano cercate di accoppiare la grandezza di una nazione con la probità. Non vi sono che dei folli, che possono illudersi di gioire dei piaceri e delle comodità della terra, di esser famosi in guerra, di vivere bene a loro agio, e nello stesso tempo di essere virtuosi. Abbandonate queste vane chimere! Occorre che esistano la frode, il lusso e la vanità, se noi vogliamo fruirne i frutti. La fame è senza dubbio un terribile inconveniente. Ma come si potrebbe senza di essa fare la digestione, da cui dipendono la nostra nutrizione e la nostra crescita? Non dobbiamo forse il vino, questo liquore eccellente, a una pianta il cui legno è magro, brutto e tortuoso? Finché i suoi pampini sono lasciati abbandonati sulla pianta, si soffocano l’uno con l’altro, e diventano dei tralci inutili. Ma se invece i suoi rami sono tagliati, tosto essi, divenuti fecondi, fanno parte dei frutti più eccellenti .È così che si scopre vantaggioso il vizio, quando la giustizia lo epura, eliminandone l’eccesso e la feccia. Anzi, il vizio è tanto necessario in uno stato fiorente quanto la fame è necessaria per obbligarci a mangiare. È impossibile che la virtú da sola renda mai una nazione celebre e gloriosa. Per far rivivere la felice età dell’oro, bisogna assolutamente, oltre all’onestà riprendere la ghianda che serviva di nutrimento ai nostri progenitori”. (Grande Antologia Filosofica, Marzorati, Milano, 1968, vol. XIV)