A Cossiga. In memoriam. (di G.P.)
Se n’è andato un uomo vero, un politico, uno statista. So che cretinosinistri, comunistardi e marxmaramaldi storceranno il naso per le mie parole ma va dato a Cesare quel che è di Cesare, proprio come Cossiga fece in vita definendo Lenin il più grande teorico della politica e Stalin un grande uomo di Stato. E che dire dei brigatisti trasformati dal coro mediatico generale e dai politicanti del regime in delinquenti comuni da far marcire in galera mentre il sassarese aveva sempre riconosciuto loro lo status di combattenti e rivoluzionari per un altro ordine sociale? Tante volte ho citato Francesco Cossiga nei miei pezzi perché le sue riflessioni sulla situazione sociale e politica italiana ed internazionale erano sempre pungenti, sferzanti, dirompenti e dissacranti; e ciò soprattutto nell’ultima fase della sua vita in cui si era finalmente liberato dagli schematismi di un passato glorioso ma irrimediabilmente perduto. Anzi, aveva avuto la vista lunga come pochi altri su quel che sarebbe accaduto, con la fine del dualismo Usa-Urss, nei paesi satelliti dei due blocchi contrapposti. Le sue esternazioni – più o meno schermate, più o meno provocatorie, oppure del tutto dirette – hanno aperto squarci di verità e abbattuto pesanti luoghi comuni, soprattutto su quel terremoto giustizialista dei primi anni '90 che ha portato in auge una classe politica corrotta e sottomessa ai venti occidentali, come mai si era visto innanzi.
E questa forza comunicativa ci si dovrebbe aspettare da chiunque, avanti con l’età e con la morte d’appresso, come direbbe il Foscolo, può guardare col distacco degli anni alle umane miserie, chiamandole liberamente e all’occorrenza col loro nome, senza infingimenti e senza temere la perdita di vantaggi e appannaggi. Contrariamente ai tanti barbapapà, da Scalfari a Scalfaro (tanto per citare i tromboni più ascoltati da un certo schieramento partitico), i quali dissimulano dietro una saggezza canuta un’indomita faziosità che nemmeno la vetustà delle membra riesce a piegare. La flatulenza verbosa di lorsignori è buona per la fama in questo presente caduco ma non per la Storia che non celebra i codardi e i caliginosi. Del loro squittire e balbettare perbenista presto non resterà nulla mentre ancora parleremo di Cossiga e della sua opera. Nel bene e nel male, ammesso che tali categorie morali siano adeguate a giudicare chi agisce nella sfera politica.
I manichini e finti uomini delle istituzioni saranno più tranquilli adesso che il Gattosardo riposa in pace con i suoi segreti e i suoi giudizi. Ma quel che egli ha detto, mentre era ancora in vita, basterà a noi per continuare ad additare al pubblico ludibrio tutti gli usurpatori del secolo passato e di quello attuale, coloro che hanno ridotto lo Stato italiano ad una pezza da orinatoio a disposizione di vecchi e nuovi padroni. Saremo noi a ricordare allo stolto pubblico delle monetine e alle sue semenze maligne (movimenti a 5 stelle, italiavaloristi, megafoni delle procure) che quella crociata moralizzatrice destinata a ripulire la nazione dalla corruzione era soltanto un bluff, una messa in scena per eliminare una classe dirigente non disponibile ad una campagna acquisti internazionale da realizzarsi sulla pelle del popolo italiano. Noi sappiamo che quel golpe giudiziario, chiamato impropriamente Mani Pulite, è stato lo strumento per scacciare dal potere una generazione di politici veri che non avrebbe barattato impunemente la sovranità nazionale con la propria sopravvivenza.
Cossiga ha fatto parte di questa categoria di persone ed è stato sicuramente un individuo di parte, com'è giusto che sia chi non è indifferente alle cose del mondo. Qualcuno ha cercato di farlo passare per folle perché solo uno squilibrato, in questa Italia di venduti e di codardi, poteva scagliarsi contro banchieri, industriali e puttane di partito con la sua stessa veemenza e rabbia. Per esempio quando ha dato del vile affarista al Presidente di Bankitalia Draghi. Stigmatizzare Cossiga per una presunta schizofrenia è servito soltanto ad accrescere l’elevatezza della sua lucidità presso chi aveva voglia di capire e di sapere. Del resto, come disse E.A. Poe, non è la pazzia il più alto stadio dell’intelletto?
Cossiga era anche filo atlantico e filo americano ma per convinzione e non per ambizione personale, mentre lo stesso non si può dire degli opportunisti di oggi che offrono in pegno le proprie madri pur di avere sempre la ciotola piena e la cuccia soleggiata. Insomma, per chi come me viene da tutt’altra tradizione culturale Cossiga rappresentava il nemico perché democristiano, atlantista e capitalista, ma quando il nemico ha una visione del mondo ed un orizzonte politico che persegue con passione e generosità merita sempre l’onore delle armi. E questo noi gli concediamo. Addio Presidente.