AL REFERENDUM SULLE TRIVELLE NON VOTO
Chi ha le mani pulite non ha le mani. Quando poi si tratta di petrolio è ancora più difficile non sporcarsi le dita. Troppi affari e troppi soldi girano intorno all’oro nero per non attirare speculatori e sciacalli di ogni genere. E’ un business molto particolare in cui si intrecciano interessi strategici statali e profitti privati. In questi casi, la trasparenza è quasi impraticabile. Si rischierebbe di non combinare un bel nulla e magari di farsi fregare da concorrenti stranieri più spregiudicati. Anche la nostra inerzia, magari provocata da una magistratura non troppo “patriottica” o persino messa sotto pressione da ingerenze d’oltreconfine, diventa istantaneamente un vantaggio per essi. Non è impossibile però tenere lontani da investimenti così importanti i balordi di periferia che coi loro passi falsi scoperchiano le pentole mandando tutto in fumo. La cialtroneria fa molti più danni delle estrazioni e lo riscontriamo nei recenti eventi di cronaca.
Tuttavia, un piccolo scandalo ogni tanto non giustifica le campagne denigratorie contro gli idrocarburi che qualcuno vorrebbe smettere di estrarre per salvaguardare l’ambiente pubblico e quello naturale. Delle fonti fossili ne abbiamo bisogno. C’è poco da opporsi. Non esistono alternative, checché ne dicano i sostenitori di presunte fonti pulite che non servono a nulla. Questi uomini del pleistocene vogliono godere dei frutti del progresso ma senza rischiare nulla. Non si può, se ne facciano una ragione o periscano nella loro ignoranza. L’unica energia veramente pulita è quella nucleare. Ricorrendo a quest’ultima la nostra fame di petrolio si ridurrebbe di tanto eppure nemmeno questo va bene agli ecologisti della pietra. Inutile, allora, discutere con chi è abile a far chiasso ma non ad usare la testa. Andiamo per la nostra strada, anche se impopolare. Noi vogliamo sviluppare ragionamenti e dare i dati. Non i numeri, come fanno no-triv ed ecologisti assortiti. Innanzitutto, non è vero che il petrolio sta per esaurirsi. E’ una bufala che va avanti dagli anni ’70. Fu il Club di Roma, in un rapporto intitolato “I limiti dello sviluppo” a predire una simile sciocchezza. Secondo questo ente nel 1992 saremmo rimasti a secco. Non è successo e non accadrà in tempi brevi ma c’è chi si ostina a ribadire la stessa falsità spostando in avanti di qualche decennio la data fatidica del prosciugamento senza portare vere prove a supporto della infausta tesi. Infatti, i governi continuano ad impegnare somme astronomiche per gas e petrolio perché sanno che ce n’è ancora in abbondanza, tanto da giustificare i loro ingenti investimenti. La posa dei tubi è senza posa, proprio come gli sgarbi che si fanno i paesi per accaparrarsi i pozzi migliori e più redditizi.
Noi italiani siamo all’avanguardia nel settore. Abbiamo un’eccellenza come l’Eni che tutto il mondo ci invidia, per competenza, capacità, tecnologia e buone pratiche (anche per il contenimento delle esternalità negative). In Basilicata, l’Eni ha dimostrato la sua bravura. In Val d’Agri la qualità dell’aria è ottima e anche quella dei terreni. Inoltre, L’Eni porta sviluppo e royalties ovunque metta le tende (cioè i pozzi), non solo in Italia ma anche all’estero. E’ una filosofia della nostra impresa che vive sin dalla sua nascita, allorché, per farsi spazio tra concorrenti agguerriti, imparò a trattare con i locali con maggior rispetto dei competitors. Dunque, questo significa ricchezza ed anche maggiore occupazione per la popolazione. Sicuramente, si potrebbe fare meglio ma esistono dei problemi “sistemici” e di gestione politica della situazione di cui non si può accusare il Cane a sei zampe. In Lucania operano anche altre compagnie come la Total (francese) e la Shell (olandese) che ugualmente sanno il fatto loro. L’immagine del petroliere cattivo è un luogo comune come quello del banchiere usuraio. Ognuno fa il suo inseguendo i propri interessi e (possibilmente) coniugandoli con quelli della propria nazione. In questo non c’è nulla di male, sono imprese che operano sul mercato, assistite dagli Stati di appartenenza (data la delicatezza della loro attività), sulle quali bisogna vigilare affinché anche i cittadini ne traggano vantaggio e non unicamente scocciature.
Ma di benefici dal petrolio i lucani ne hanno avuti tanti e se qualcosa è mancato le responsabilità sono da attribuirsi ad una classe politica che poteva impegnarsi di più.
Per esempio a Tempa Rossa sono arrivati 1,6 mld d’investimenti internazionali. Stiamo parlando dell’area petrolifera più importante d’Europa. A regime, le estrazioni da questa zona copriranno il 40% della produzione nazionale. Poi c’è la Val D’Agri e il fondale sotto lo Ionio che nascondono tesori di portata immensa. Anche per tali giacimenti off-shore sono previsti investimenti grandiosi, a meno che non continuino gli impedimenti burocratici e le proteste prive di senso di quanti hanno inopinatamente deciso che la Basilicata debba restare terra arretrata. Come riporta il Foglio: “In Basilicata oggi si estraggono il 70,6 per cento del petrolio e il 14 per cento del gas italiani”. Siamo fortunati ad avere questo bendidio e non ce ne rendiamo conto. Faremo un salto di qualità grazie a queste risorse. Dobbiamo pretenderlo dai nostri politici e dallo Stato. Una Regione seduta su un forziere così generoso, disposta a fare dei sacrifici per tutta la nazione, con appena 600.000 abitanti, non dovrebbe avere nemmeno un disoccupato. Spero che in un futuro non molto lontano si arrivi a tanto. Da residente in Basilicata faccio i salti di gioia a questo pensiero e mi auguro che lo sfruttamento prosegua ai massimi livelli. I Lucani e gli altri meridionali che sono emigrati potranno tornare a casa, come in una vecchia promessa del mitico Enrico Mattei, indimenticato Presidente dell’ENI, che fu ammazzato proprio per aver costruito il sogno dell’indipendenza energetica italiana.
Di fronte a questo incredibile scenario di progresso e di modernizzazione mi esalto. Mi deprimo, invece, quando i miei corregionali contestano il petrolio per perorare le energie alternative, l’agricoltura biologica o il turismo. Una cosa per me non esclude le altre (eccetto fotovoltaico ed eolico che deturpano il paesaggio e non producono niente), ma non mi si chieda di rinunciare agli idrocarburi per i fagioli di Sarconi, il pecorino di Moliterno o le mucche podoliche. Queste specificità territoriali sono buonissime ma non ci faranno svoltare. Il petrolio, invece, potrebbe cambiarci la vita come, in parte, ha già fatto in questi anni. Il nostro archetipo deve essere il Texas non le favelas. Per tutte queste ragioni al referendum sulle trivelle non voterò, sperando che il quorum non venga raggiunto. Consiglio a chi mi legge di fare altrettanto.
Ps. Un figosofo voterà contro le trivelle perché, cito testualmente, “nel petrolio non c’è spazio per l’etica”. Nella testa dei filosofi non c’è spazio per il cervello altrimenti non si spiegherebbero certe affermazioni.