ALITALIA ULTIMO ATTO (più il resto)
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Manca pochissimo e poi dovrebbe terminare, esattamente come si voleva fin dall’inizio, la commedia inscenata intorno alla gara per appropriarsi dell’Alitalia. Proprio come un mese o poco più fa si era conclusa l’altra farsa di oltre un anno (se partiamo dal famigerato piano Rovati, assuntosi in proprio tutte le colpe, ecc.), intessuta attorno alla Telecom. Entrambe le partite si chiudono a favore di Intesa-San Paolo (d’ora in poi solo Intesa perché è questa ad aver assorbito di fatto l’altra), giacché AirOne, malgrado tutte le roboanti parole intorno ad un “coraggioso” piano industriale per Alitalia, non avrebbe i soldi per fare alcunché. Solo che, stranamente, nella fase finale troviamo tutti d’accordo: per AirOne si sono schierati pubblicamente negli ultimi giorni, in rapida successione, Montezemolo, Letizia Moratti, Formigoni e infine…..Berlusconi. L’ad di Intesa, Passera, assumendo allora toni tracotanti, ha dichiarato che lasciarla ad AirFrance “sarebbe come buttarla via”. Toto, “capo” di AirOne (tramite la ApHolding, chiaramente una finanziaria), ha dichiarato che ogni grande paese europeo (l’Italia fra i grandi fa un po’ ridere) “ha mantenuto la propria compagnia di bandiera”. Insomma, c’è stato il più alto sfoggio di patriottismo; l’italianità è il supremo valore da difendere quando si tratti di operazioni prevalentemente finanziarie, e di occupazione di centri in cui si intrecciano trame e corruttele ai fini del potere politico (perché dei piani industriali per Alitalia, come dei risanamenti Fiat, e simili, avremo solo da aspettare un paio d’anni per riderci, amaramente, sopra!).
Forse che noi siamo “antitaliani”? Ma proprio per niente! Però non sopportiamo l’ipocrisia di “tristi” personaggi che agiscono come banderuole al vento. Questi “patrioti” ci hanno rotto le scatole per anni e anni allo scopo di portarci in Europa, e ci hanno portato solo monetariamente con un euro sopravvalutato (in termini di lire) che ha più che dimezzato i nostri redditi personali reali. Quando Francia e Olanda hanno bocciato con referendum la Costituzione europea, questi nostri europeisti “a prova di bomba” hanno elevato lamenti scandalizzati per tale ristrettezza nazionalistica. Quando l’olandese AbnAmro voleva prendersi l’Antonveneta e lo spagnolo Banco di Bilbao acquistarsi la BNL, Fazio venne accusato di grettezza autarchica e di chiusura all’ideale europeista (e al mercato globale) poiché appoggiava cordate italiane (certo i suoi avversari ebbero la vita più facile in quanto queste ultime erano formate da personaggi parvenus da troppo poco tempo, e per di più con manie di grandezza che li condussero ad aggredire persino i santuari dei più vecchi parvenus, annidati nella Rcs e nel Corriere delle Sera). Vinsero, infine, i modernisti, gli europeisti, quelli della “libera competizione in mercato globale”, estromettendo Fazio e sostituendolo con il vicepresidente della Goldman Sachs (certo dimessosi da tale incarico, ci mancherebbe altro!). Adesso, questi stessi “cosmopoliti” ci vengono a dire che se un’azienda della “meravigliosa” Europa “unita” (ma dove?!) – o l’AirFrance appartiene forse alla Cina o all’India? – se ne prende una italiana, è come se questa venisse “buttata via”. W l’Italia, gridano in coro, da sinistra a destra!
L’italianità non c’entra proprio per nulla. L’AirOne non ha il becco di un quattrino; i soldi glieli darà Intesa. Ma questa banca non è forse italiana? Si, ma non ce la fa, poverina, da sola. Si associa allora a Unicredit e Montepaschi, altre banche italiane, “in nome della Patria”? No, manco per sogno, dietro Intesa troviamo la giapponese Nomura, ma soprattutto i due pezzi da novanta della finanza americana: Morgan Stanley e Goldman Sachs. Quest’ultima poi è quella il cui (ex) vicepresidente è Governatore della Banca d’Italia, di cui due (ex) alti dirigenti (uno è attuale viceministro dell’Economia) sono all’origine del “piano Rovati” per impadronirsi ancora un anno fa della Telecom tramite la “pubblica” (cioè con i soldi di tutti noi) Cassa Depositi e Prestiti (dietro la quale si stagliava sempre, tramite varie fondazioni bancarie, il solito istituto finanziario italiano legato a quelli, ben più grossi, americani, ecc.). Questi sono i perversi intrecci degli ambienti affaristici “patriottici” che si prenderanno Alitalia (dopo la Telecom), avvicinandosi sempre più alle Generali, obiettivo numero uno. L’italianità è la classica foglia di fico che copre lo scontro tra bande, in cui una di esse sembra star prevalendo sulle altre; e quella che prevale, non meno (e
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nemmeno più, per carità) delle altre, è strettamente avvinta ad ambienti finanziari USA, chiaramente predominanti.
Sono intrecci simili, pur nella differente contingenza storica, a quelli esistenti nella Repubblica di Weimar, che avevano ridotto la Germania a succube degli Stati Uniti, a paese che rischiava la deindustrializzazione, con una disoccupazione massiccia e una strutturale incapacità di uscire dalla crisi iniziata nel 1929; tali intrecci dovettero essere spezzati dal nazismo al potere, con tutti gli orrori successivi, ma intanto con la riduzione – in un anno (1933-34) – da 6 a un milione di disoccupati, con il completo rilancio dell’industria (mentre la finanza veniva piegata al servizio di quest’ultima), con il superamento del Pil pre-crisi che si era ridotto a poco più della metà (60% circa) nel 1933!
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Non esistono capitalisti buoni o cattivi (come crede una “intelligenza superiore” che occupa la terza carica dello Stato), ma solo capaci o incapaci. Non esiste quindi un capitalismo buono (e sociale) o cattivo (e individualistico); esiste semplicemente un capitalismo migliore o peggiore nel fare gli interessi complessivi di una popolazione (pur nell’ambito dell’ineliminabile sfruttamento connesso a qualsiasi forma di capitalismo), cioè in grado oppure no di dare sviluppo al sistema-paese nel suo insieme (pur con gli inevitabili differenziali tra zona e zona, tra strato sociale e strato sociale, ecc.). Tutto il resto è chiacchiera da imbonitori. Ora, il capitalismo italiano è proprio il peggiore in assoluto; non a caso, ci ha infine, giustamente, superato anche quello spagnolo (vedi gli ultimi dati relativi al reddito pro-capite). Non siamo affatto indipendenti, mai e in nessun senso; il problema è solo chi vince tra i vari gruppi (sub)dominanti dipendenti dai predominanti statunitensi. Si abbia quindi quel minimo di pudore per non fare appello – a giorni alterni – all’italianità o all’alto ideale europeista o alle bellezze della libera competizione nel mercato globale. Indossate infine una sola di queste “maschere ideologiche”; altrimenti non sembrate nemmeno capitalisti (quindi seri imprenditori), bensì giocatori delle tre carte.
Siete succubi degli stranieri; ad essi vi appellate nella smania di dimostrare d’essere i loro migliori servitori onde farvi appoggiare per il vostro piccolo “potere in un paese solo”, per di più ormai un paese da barzellette. Pur di ottenere il consenso del “popolo”, tirate fuori dal cappello, di volta in volta, quella che ritenete essere la migliore per fare esclusivamente i vostri personali interessi: vendiamoci allo straniero, nascondendoci dietro la “spiritosa invensiòn” (quella del goldonesco personaggio Lelio, bugiardo per il piacere di esserlo) dell’internazionalizzazione della nostra economia così brava e competitiva (nel buffonesco made in Italy); no, adesso è meglio fare i patrioti, vince chi finge maggiore orgoglio d’essere italiano. Sarebbe almeno possibile che ci risparmiaste queste sceneggiate? A me non è mai piaciuto Merola, ma almeno non faceva male a nessuno.
Noi siamo per l’indipendenza di questo paese, per una sua rinascita. C’è però un sintomo preciso che indica qual è la strada imboccata dai ceti dominanti, che segnala se questi sono anche dirigenti (del paese) o solo una accozzaglia di “arraffa-arraffa”: la funzione del capitale finanziario. E’ stato messo sotto il “tallone di ferro” di una forza politica, capace di usare questa forza, se è tale veramente, per orientare la gran parte delle risorse al servizio dell’industria nei settori dell’ultima “era innovativa”? La spesa pubblica è largamente orientata agli investimenti (e non alla spesa corrente per salari di una massa esorbitante di impiegati) e, in modo del tutto particolare, alla ricerca scientifica, ma d’avanguardia? E a numerose altre “cosette” (decisive) – su cui passo sopra in questa sede – del tutto indispensabili a rafforzare il paese nei suoi rapporti geopolitici? Se la risposta a tali quesiti è affermativa, abbiamo un preciso indice della volontà di tentare almeno una strada di indipendenza e di sviluppo autonomo e più sicuro, onde dare al paese maggiore benessere; se non per tutti, almeno per la grande maggioranza (e sempre non negando che ci saranno squilibri di reddito da ridurre tramite lotte redistributive).
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Quando però la finanza si impadronisce dell’industria, la spesa pubblica si carica di finanziamenti (a fondo perduto) ai settori della passata “era innovativa” (tipo auto e metalmeccanico in genere), quando tale finanza mostra, a chi ha occhi per vedere, la sua sudditanza a grossi gruppi stranieri (della “nazione predominante” dell’epoca), quando intellettuali venduti e cialtroni diffondono l’ideologia del liberismo (nel commercio internazionale e nella “circolazione dei capitali”), che manifesta chiaramente l’orientamento ad affidarsi alla predominanza della suddetta nazione onde acciambellarsi, ai suoi piedi, nella situazione di subdominanza; allora siamo in presenza di una classe sostanzialmente servile (e antinazionale) che, mutatis mutandis, può essere paragonata alle “borghesie compradore” dei vecchi paesi coloniali e semicoloniali. Questa è l’attuale classe (sub)dominante italiana, quella che finge, a giorni alterni, la difesa dell’italianità o dell’europeismo o della libera competizione mercantile globale.
Ce ne sono mille prove, giorno dopo giorno; nel blog ne abbiamo parlato spesso, ma non abbiamo purtroppo la diffusione di ben altri media che fanno opinione. Volete un ultimo segnale della nostra (sub)dominanza? Il tracotante Passera – quello che dichiara che dare l’Alitalia all’europea AirFrance è “come buttarla via” – entra in (finto o vero? Se ne chiacchiera sui giornali) attrito con il “suo” presidente Bazoli; e intanto, volendosene o dovendosene andare, si pone in “buona posizione” per sostituire questa primavera Scaroni all’Eni. Anche il presidente di Finmeccanica dovrà essere sostituito alla stessa data (e forse pure altre imprese della stessa rilevanza sono nell’identica situazione). Chi è Passera, non come individuo ma come ruolo, come maschera di rapporti sociali? E’ attualmente al vertice di Intesa, cioè della banca per il momento “in prevalenza” nel comparto finanziario italiano rispetto ai due principali concorrenti: Unicredit Group (con “dentro” Capitalia) e Montepaschi (con “dentro” Antonveneta), considerata banca del Pd. Ma Intesa è “attorniata” (in posizione paritetica? “Ma mi faccia il piacere!”) dai giganti statunitensi Morgan Stanley e Goldman Sachs (e non solo), che a loro volta hanno piazzato loro (ex; si fa per dire) uomini nei centri nevralgici del potere in Italia (diciamo che questo fatto è più noto e scoperto per quanto riguarda la Goldman; ma che dire della Rothschild, di cui era vicepresidente il recentemente nominato ad di Telecom; o del Carlyle Group, di cui è importante dirigente uno dei figli dell’Ingegnere, Marco?).
In definitiva, i pochi gioielli italiani dell’ultima “era innovativa” passeranno sotto l’“influenza” (usiamo un termine dolce) di dati gruppi finanziari italiani, in specie di quelli più “vicini” (altro termine soft) a colossi finanziari americani, che in quel paese – la nazione predominante – sono veicolo del potere del complesso politico-finanziario. Non dico che l’Eni (e così pure la Finmeccanica se seguirà, come sono sicuro, la stessa sorte) non farà più contratti anche con paesi destinati a divenire futuri centri competitori degli Usa (Russia, Cina, ecc.), ma certo li farà sempre sotto supervisione. Una vera indipendenza esige che in queste imprese si affermino apparati manageriali decisamente autonomi dalla finanza italiana subordinata a quella USA; che tali apparati manageriali collaborino invece con nuovi gruppi politici (effettivamente, e non a corrente alternata, fautori di una vera italianità) in grado di recidere d’autorità i legami tra la nostra finanza (dipendente) e quella Usa (dominante), obbligando la prima a farsi servitrice dello sviluppo di settori dell’ultima “era innovativa”: quindi non solo di imprese come Eni e Finmeccanica (più Enel, Ansaldo, ecc.); ma anche di molte altre nei vari settori nuovi. E con l’impulso alla ricerca scientifico-tecnica che li supporta. Più le altre “cosette” (decisive) che tralascio al momento.
Le chiacchiere di questa massa di quaquaraqua – non discuto delle competenze “tecniche” di certi manager che saranno certo elevate, per quanto qualche dubbio lo nutra in proposito (come lo nutro sul “mago” Marchionne) – hanno ormai tessuto una fitta rete di menzogne e inganni per la nostra popolazione. O tale rete viene strappata o il futuro dell’Italia sarà bigio. Occorre però una nuova forza politica, che mandi a casa le attuali.
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Un ultimo “pettegolo” sguardo alla sospetta unanimità a proposito dell’acquisizione di Alitalia da parte del gruppo finanziario (Intesa con “attorno” colossi americani) che in questo momento è in vantaggio: su Unicredit e Montepaschi, ad esempio, con il primo un po’ in affanno per errori gravi ed evidenti in merito a derivati, crediti subprime, ecc., e forse per acquisizioni non ben calcolate (del resto pure Montepaschi, non si sa con quali aiuti alle spalle, ha incorporato Antonveneta sborsando uno sproposito).
Abbiamo sopra rilevato che negli ultimi giorni si sono schierati, a favore di AirOne (cioè dell’intreccio finanziario già considerato) perfino personaggi della destra (ivi compreso il leader), Montezemolo e un po’ tutti. Bene, spostiamoci d’ambito. Con la fusione tra Unicredit e Capitalia (di fatto una incorporazione nell’Unicredit Group), questa banca viene a possedere una quota azionaria in Mediobanca troppo alta, per cui interviene l’Antitrust (dopo proteste, più o meno aperte, di Intesa), che di fatto impone all’istituto di Piazza Cordusio la vendita di una parte della quota. Si tenga presente che il problema non è Mediobanca in sé, ma il fatto che essa è l’azionista di riferimento in Generali; bisogna quindi ridurre il pacchetto d’azioni di Mediobanca posseduto da Unicredit perché così, per la proprietà transitiva, diminuisce anche il peso di quest’ultimo nella società assicurativa, che è il vero obiettivo finale del contendere, il campo in cui dovrebbe svolgersi la “madre di tutte le battaglie” interne alla finanza italiana (subdominante rispetto ai predominanti statunitensi).
Se avvenisse che uno dei gruppi finanziari in contesa prende il sopravvento in questo snodo cruciale dei rapporti di potere in Italia, quel momento sarà la “notte di S. Valentino” della “lotta per bande” (come a Chicago ottant’anni fa circa). Unicredit ha dovuto piegarsi all’Antitrust (come Geronzi di fronte alla nomina del duo Bernabé-Galateri al vertice di Telecom voluta da Intesa) e ha deciso di vendere il 9 e qualcosa % delle azioni in Mediobanca. Tra gli acquirenti: 1,5% a Mediolanum (che salirebbe così al 3,4% nella stessa Mediobanca), 1,5% a Fininvest; entrambe del gruppo Berlusconi. Tutto è però ancora subordinato all’autorizzazione dell’Antitrust. Siamo dunque “in attesa”; e il “buonismo” filo-AirOne (cioè Intesa) della destra, e di Berlusconi in persona, fa tanto bene a questa attesa e alle “ponderate riflessioni” dell’Antitrust. Se poi consideriamo anche i salamelecchi (quanto dureranno?) tra ex Premier e “grande capo” del Pd, tutto comincia ad essere un po’ più comprensibile.
Quanto all’assenso, entusiastico e patriottico, di Montezemolo all’acquisizione di Alitalia da parte di AirOne, una ulteriore necessaria digressione. Seminascosta nella stampa (in Tv penso nemmeno sia apparsa) ho letto un’altra “piccola perla”. Egli ha concluso un accordo con Intesa per conto della NTV (Nuovo Trasporto Viaggiatori), una società di servizi per treni ad alta velocità, che Montezemolo ha da non molto tempo fondata assieme a Della Valle (già suo socio nel fondo Charme, di cui si è spesso parlato nel blog, e che ha sede nel paradiso fiscale del Lussemburgo), Gianni Punzo e Giuseppe Sciarrone (vedi ulteriori notizie in fondo)*.
Comunque, sia chiaro, noi non consideriamo – tra i vari gruppi finanziari in lotta – qualcuno migliore di altri. Rifacciamoci al caso di Chicago anni ’20. Bisognava tifare per Al Capone o per la gang rivale? Una era più buona dell’altra? Solo un povero deprivato di intelligenza, cultura e memoria storica, potrebbe sostenere una fesseria simile (in Italia, purtroppo, siamo pieni di individui del genere; esiste infatti il “demoniaco” Berlusconi, il “borghese buono” Marchionne, e via sciorinando tutta la …. non so se mala fede o pochezza di intelletto). In ogni caso, è meglio che tra bande in lotta ci sia equilibrio. Dopo il 14 febbraio 1929, quando nel famoso garage Al Capone fece di fatto fuori gli avversari, non credo siano diminuiti i delitti a Chicago; per di più la città, per qualche anno, fu sotto le scorrerie di una sola gang, che si comprava fior di poliziotti, di “giudici”, ecc. Se la lotta tra bande non cessa per il netto prevalere di una sulle altre, si può sperare, tornando a noi, che in Italia ci si renda sempre più conto del malessere e disagio crescenti, della malavitosità della politica e degli affari nel nostro paese (non per ruberie, basta con le quisquilie, qui siamo a ben altri “delitti”, che ci piegano sul piano dello sviluppo e del benessere); per cui resta aperta la possibilità della crescita di un’ondata (meglio uno tsunami) in grado di spazzare via l’intero quadro
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politico italiano e, con questo, l’assetto finanziario ed economico subordinato (o subdominante) che ormai sta squassando e sfibrando il tessuto sociale.
Per questo i fatti oggetto del presente intervento debbono essere seguiti con il massimo dell’attenzione. Altri, pur importanti, sono tuttavia in secondo piano; concentrarsi su di essi, significa far opera di diversione, quindi favorire – diciamo oggettivamente, magari involontariamente – l’azione di addormentamento dell’opinione pubblica condotta dall’attuale establishment al fine di meglio dedicarsi, senza essere disturbato, ai propri “atti criminosi”. Stiamo attenti, perché potremmo essere vicini alla “notte di S. Valentino”. Ma questa volta, nell’attuale contesto, l’evento sarà silenzioso, non si sentiranno sventagliate di mitra, i giornali non ne riporteranno l’esito a titoli di scatola. Nasconderanno tutto, invece, per meglio assopire il popolo, e intanto depredarlo sempre più, impoverirlo, spingerlo ad un bivio di fallimento: o violenza cieca (e perdente) o rassegnazione. Occorre una nuova forza che ponga l’obiettivo di annientare e destra e sinistra attuali; e a questo chiami il popolo, non a esprimere pareri sul nome di un nuovo “imbroglio per la libertà” (libertà da che cosa e per chi?) o a eleggere il “grande capo” (predesignato) di un “ectoplasma” privo di radici e storia.
* La NTV (Nuovo Trasporto Viaggiatori; delle ferrovie) è stata recentemente costituita da Montezemolo, Della Valle, Punzo e Sciarrone. Essa è stata fondata in vista della liberalizzazione del settore prevista per il 2010 (ecco un altro motivo per cui non deve tornare un Governo Berlusconi prima del tempo necessario a mettere a punto i vari affaracci di questi “grandi capitalisti”). La società dovrà interessarsi del servizio per treni ad alta velocità; come primo passo effettuerà la scelta del costruttore dei veicoli a quest’ultima adeguati tra Alstom (gruppo francese di costruzioni meccaniche in specie per ferrovie, navi e produzione, trasporto e distribuzione di energia), Siemens (ben nota multinazionale e multisettoriale) e Bombardier (canadese, soprattutto produttrice di materiale per ferrovie e settore aeronautico).
La NTV sarà in concorrenza con la Rail One di Carlo Toto (quello di AirOne), che, come abbiamo ampiamente visto, riceverà i soldi per l’operazione Alitalia da Intesa (con alle spalle colossi finanziari americani). NTV e Rail One sono aziende “italiane” (circa i soldini …. sappiamo di chi saranno e chi perciò manovrerà “da dietro”) che si costituiscono quali primi “operatori (privati) europei” di treni ad alta velocità. Dovrebbero trovarsi in competizione, ma adesso, dopo l’ultimo accordo di Montezemolo con Intesa, entrambe dipendono dai finanziamenti di tale banca (legata ai giganti americani più volte nominati). I lettori ne traggano da soli le conclusioni e giudichino anche l’“obiettività” dell’entusiasmo di “Luchino” in merito all’affaire Alitalia-AirOne.
Dei quattro soci della NTV, Montezemolo e Della Valle (Mister Tod’s) sono ben noti (insieme, come detto più volte, hanno anche il fondo Charme in Lussemburgo). Punzo (napoletano) è presidente della CIS spa, istituto bancario del gruppo Intesa (ma guarda un po’ !) e azionista di riferimento della finanziaria CIS NET che controlla, fra l’altro, l’Interporto Campano, alla cui presidenza troviamo…. sempre Punzo; il quale è ancora ad della Vulcano spa, vicepresidente della Banca Popolare di Sviluppo e consigliere di amministrazione della CISFI spa. Sciarrone è ad della RTC (Rail Traction Company) spa, società ferroviaria fondata nel 2000 in vista delle opportunità offerte dalla liberalizzazione dei trasporti ferroviari in Italia ed Europa; tale società si interessa soprattutto del trasporto ferroviario merci, nel settore più tradizionale come in quello detto dell’intermodalità (casse mobili, semirimorchi, container, autostrade viaggianti, ecc.). In passato, Sciarrone è stato Direttore Generale del Centro Studi Sistemi di Trasporto del gruppo Fiat, Segretario Generale della Programmazione economica dei Trasporti in Italia (il CIPET) e Direttore dell’Area Trasporto delle Ferrovie dello Stato.
Tutte attività lecite sia chiaro, e magari anche condotte con competenza. E’ comunque sempre bene avere il quadro di certi intrecci. Anche perché mi si permetta un’osservazione. L’Antitrust (senza alcun “suggerimento” interessato?) ha obbligato l’Unicredit a vendere una parte di azioni Mediobanca, onde ridurre la sua quota proprietaria (rispettando così le regole antitrust). Mi è lecito
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sospettare che tale attenzione alle regole sia soprattutto dipesa dal fatto, già rilevato, che Mediobanca è azionista decisivo di Generali? Adesso però, ci troviamo con NTV (Montezemolo & C.) e Rail One (Carlo Toto di AirOne), che dovrebbero farsi concorrenza nel settore dei trasporti viaggiatori sull’Alta Velocità, e tuttavia hanno fra loro precisi rapporti “impliciti” (ma evidenti) perché entrambe hanno stipulato accordi (e finanziamenti) con Intesa. Ciò non incide sulla competizione reciproca (che potrebbe ledere la loro redditività, utile alla banca)? Voglio proprio vedere chi indagherà in merito a tali rapporti che, nella sostanza, aggirano le suddette regole antitrust!
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