ALITALIA, VICENDA SIGNIFICATIVA MA NON ISOLATA di G. La Grassa

(a seguire "Georgia: Obiettivi russi")

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Non sono un tecnico e inoltre non ho sufficienti elementi a disposizione per discutere nei particolari la vicenda Alitalia. D’altronde, per capire bene i risultati dell’operazione in corso occorre del tempo, alcuni mesi e forse nemmeno basteranno. Alcune considerazioni più generali, e politiche, si possono però fare, magari lasciando spazio ad ipotesi, che tuttavia non mi sembrano cervellotiche.

Intanto, appare secondo me del tutto evidente che la soluzione scelta non è in ogni caso una pura svendita così come si configurava l’operazione del Governo Prodi a favore di Air France. Se non altro, vi è adesso un minimo di competizione tra questa e la Lufthansa, poiché nel gioco entra pure la Austrian Airlines, anch’essa contesa tra le due appena nominate. Sembra però che Lufthansa si prenderà l’austriaca – e adesso sta mettendo gli occhi pure su Brussels Airlines – mentre la compagnia francese si dice pronta ad accettare una partecipazione di minoranza in Alitalia. Vedremo. Quanto al tentativo della sinistra, assai poco incisivo, di sollevare il problema dei 5-7000 esuberi, l’atteggiamento preconcetto è fin troppo scoperto. A suo tempo, i sindacati e settori ampi della sinistra, allora al governo, avevano fatto rilevare che i 2200 esuberi previsti da Air France erano nettamente sottostimati, poiché in realtà si sarebbe arrivati ad una cifra tra 5 e 7.000 (qualcuno prevedeva perfino un numero ancora maggiore). Quindi, la situazione non è mutata a tal proposito.

Salvo che per un particolare non irrilevante: l’attuale progetto di scissione della società aerea con la creazione della cosiddetta bad company che si accollerà la parte “malata” di Alitalia, con debiti ed esuberi previsti. La mossa è strettamente collegata alla volontà di gestire lo sfoltimento del personale in modo soft, con passaggi di dipendenti ad altre amministrazioni e aziende pubbliche (si parla soprattutto delle Poste) o ad altre società, ecc. Si useranno ammortizzatori sociali: quattro anni di Cassa integrazione e tre anni di mobilità garantiti, si dice, a tutti. Inoltre, sembra si intenda riprendere la discussione su Malpensa; e anche in tal caso è meglio soprassedere finché non si vedranno gli effetti concreti di certe scelte. Tutto sommato, comunque, l’operazione – in cui è stata pienamente, e centralmente coinvolta, la banca “amica” di Prodi, l’Intesa (può magari essere che Passera abbia agito adesso con maggior libertà e indipendenza rispetto al suo “padrone ufficiale”, Bazoli) – pare assai più articolata di quella riduttivamente pensata dal precedente Governo che, lo ripeto, era una pura e semplice svendita.

Assai più interessante è però un altro “fatterello”. Su Repubblica e Corrierone, si sono scatenati in scomposte critiche Scalfari (e questo è scontato come il sorgere del Sole ogni mattino) e Giavazzi, economista liberista “di sinistra”, in servizio permanente attivo per quel “partito” di interessi economico-finanziari da me definito GFeID (grande finanza e industria decotta, sempre divoratrice di finanziamenti “pubblici”), che aveva tanto sperato in un pareggio elettorale per muoversi con il suo solito spirito di devastazione e saprofitismo ai danni del sistema-Italia. Tralascio il fatto che questo economista “liberal-sinistro” è stato beccato in flagrante deformazione e sbagliata citazione di fatti da altri commentatori; non mi interessano i dettagli della polemica tra “tecnici”. Il vero fatto è che questo nervosismo – si dice abbia anche determinato reazioni stizzite presso il direttore del Corriere da parte di “amici” e, soprattutto, soci importanti della Rcs (società editrice) come appunto l’Intesa – fa capire come lo scompaginamento di questa sinistra inetta stia determinando un indebolimento delle parti più parassitarie del nostro capitalismo.

Non ci si fidi fino in fondo; ribadisco che certe reiterate uscite di Cossiga ci avvertono di manovre di ambienti torbidi – intenti a sfruttare i moderati di sinistra e perfino i pruriti di quella più estrema, piazzaiola e giustizialista – per tentare di rovesciare una situazione sfavorevole a questi settori capitalistici strettamente legati agli interessi del paese predominante centrale, gli Usa. Si sarà notata un’altra cosa ben strana: sulla crisi Russia-Georgia, ampi settori della destra governativa si sono schierati, come gran parte della sinistra, contro i russi; e del resto anche contro i cinesi “tanto cattivi” da reprimere quel modello di “democrazia” e “santità” che è il Dalai Lama, ecc. Tuttavia, il duo Berlusconi-Frattini ha tentato di tenere un atteggiamento nettamente più moderato della Merkel, di Sarkozy-Kouchner (quest’ultimo proveniente dalla sinistra), e di tutti gli altri governi della UE. Non lascia sorpresi e sospettosi questo “strano” fatto, riguardante l’amerikano (Berlusconi) per eccellenza?

La GFeID è ferita, ma non mortalmente, poiché ha alle spalle il capitalismo statunitense ancora predominante, anch’esso scosso dagli ultimi avvenimenti in sede mondiale e che sta tentando un mutamento tattico, o forse qualcosa di più, perché negli anni scorsi, credendosi veramente ormai l’unica superpotenza per l’intero secolo (o almeno mezzo), aveva allungato a dismisura i propri tentacoli imperialistici indebolendo le sue linee logistico-strategiche. Aspettiamoci – chiunque diventi presidente degli Stati Uniti – reazioni pericolose dagli americani e dai loro più stretti servitori europei; ma italiani in specie, perché il nostro paese è al momento il “ventre molle” d’Europa. E tali servitori vanno indicati senza esitazione: la GFeID e ampi settori sia di sinistra che di destra. Ci sono anche quelli – di destra – che sono contro la GFeID, ma sono talmente e forsennatamente ancora “anticomunisti” (veramente ridicolo, ma questa è la potenza delle ideologie) da darsi la zappa sui piedi. Ci sono poi quelli “di sinistra” che, per tradizione, sono antiamericani (e professano uno sterile antimperialismo); essi sono però un miscuglio di “sbandati”, accecati dall’antiberlusconismo, e di politicanti che cercano il modo di rientrare in Parlamento e negli altri luoghi del “magna-magna” pubblico, per cui si fanno strumentalizzare da un uomo che, secondo la mia opinione, ha agito fin da “mani pulite” in favore degli interessi americani in Italia.

Come ben si capisce, la situazione – in questo paese in cui è ancora presente una sinistra nata dal rinnegamento totale dei propri ideali con un cinismo ed una immoralità raramente visti in altre epoche e in altre parti del mondo – è confusa, pasticciata, dunque un po’ pericolosa. Si pensi ad un’altra fonte di infezione; si sta utilizzando – per gli scopi che persegue la GFeID e i vari settori (filoamericani) cui essa è legata, con il suo Corrierone e i liberali di sinistra che vi cianciano – il battage antifascista. Un antifascismo degenerato, corrompitore, portato avanti da personaggi come Furio Colombo, sempre stato legato ad ambienti statunitensi e filoisraeliano radicale. Un antifascismo che si nutre di totale revisione falsificatrice del significato della Resistenza, fatta passare, presso chi non ne ha più memoria storica, per un movimento solo teso alla “democrazia” e guidato da preti e liberali: un movimento solo sussidiario alla “Liberazione” portataci da eserciti “alleati” che si sono macchiati di crimini non poi così tanto inferiori a quelli nazifascisti. Questo il menzognero e confusionario antifascismo odierno che tuona contro i pericoli del fascismo berlusconiano. E la sinistra, ivi compresa quella che continua a far finta di difendere i lavoratori, il “progresso”, ecc. è complice di una simile mistificazione e deformazione dell’unico periodo veramente dignitoso della nostra storia nazionale.

Situazione mefitica, di grande corrompimento ideale e politico, infestata da imbroglioni e “giocatori delle tre carte”, con un ceto intellettuale e politico “di sinistra” mediocre e narcisistico, che certo capitalismo continua a blandire e finanziare perché sa che, con il suo antiscientismo e finto progressismo (in realtà solo un lassismo assai negativo sul piano del costume ormai corroso e degradato), fa di fatto scudo al parassitismo dei settori produttivi e finanziari più arretrati, che morirebbero di asfissia – per mancanza di assistenzialismi e favoritismi “pubblici” – se si ponesse in atto una vera politica di difesa di interessi miranti ad un più autonomo sviluppo nazionale.

 

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Visto che siamo in discorso, aggiungiamo qualche altra cosetta. Intanto, vi è Trenitalia – altra azienda di trasporto merci e viaggiatori che potrebbe avere un ruolo non indifferente – in condizioni di decozione non dissimili da quelle dell’Alitalia. Per il momento, non si muove certo bene; pensa solo a soppressione di linee e di treni (perfino pendolari), a eliminazione di personale (e senza troppi “ammortizzatori sociali”) e a continui aumenti di prezzi e tariffe. Soprattutto però vi è un’altra impresa importante in piena crisi: la Telecom. Ripeto che non sono un tecnico, ma ho sempre sentito dire che le telecomunicazioni sono uno dei settori di punta, uno di quelli dell’ultima “ondata innovativa”; la Telecom, però, mi sembra proprio tutto salvo che innovativa.

Ho letto ieri sui giornali che ha venduto Alice France, insomma la banda larga in quel paese, per 800 milioni di euro con cui ha ridotto il suo debito assommante…….a 37 miliardi. Non ho capito se si tratta di una battuta di spirito; o forse non capisco l’importanza di una sia pur così minima e irrisoria riduzione dell’esposizione debitoria (uhm!). In realtà, credo si prepari invece a chiedere il licenziamento (previsto) di 5000 dipendenti; e senza alcuna bad company, senza tanti ammortizzatori sociali. Del resto, sono anni che tale azienda sta liquidando tutto il personale tecnico più preparato professionalmente (e quindi meglio pagato); inoltre riempie i nefasti call center, un vero incubo, di lavoratori che non hanno certo colpa alcuna, perché mal retribuiti e assunti a tempo determinato e per periodi brevi in cui non val la pena di imparare nulla. Resta il fatto che è esperienza generale il degrado di tale compagnia telefonica. Non parliamo poi del clamoroso imbroglio dei “numeri speciali” – di cui sono stato anch’io vittima a causa di continue e kilometriche telefonate alle Barbados – per i quali la Telecom declina sempre le proprie responsabilità dopo averli attivati. Adesso l’Authority ha stabilito che debbono essere disattivati dal 1° ottobre; qualcuno ha letto nell’ultima bolletta telefonica (almeno in quella cartacea l’ho letto) quante eccezioni ci sono? Qualcuno ci ha capito qualcosa? Se si, me lo spieghi perché sono terrorizzato da nuove ondate di “mie” telefonate alle Seychelles.

Anche in tal caso, ammetto di non essere un esperto. Ma un’azienda di telecomunicazioni, e di proporzioni non tanto modeste, non potrebbe essere utile al paese? Non vi è alcuna possibilità –ammetto sempre la mia ignoranza in merito – di cosiddette sinergie con certe altre nostre imprese di punta? In ogni caso, non mi sembra ammissibile che si siano spese barcate di soldi detti pubblici per imprese come la Fiat (ed è solo il caso più eclatante; e poi continua ancora adesso a chiederne) e si lasci andare alla deriva un’impresa di un settore di tale importanza. Si discute soltanto di “virtuosa” concorrenza, per cui ci si scontra sulla prospettiva, cui Telecom si oppone, di separarla dalla rete in modo che le competitrici non siano ostacolate dal ricorso al “monopolista” per il famoso “ultimo miglio”.

Ancora una volta, si vede bene a che cosa serva l’ideologia del vantaggio per il consumatore; il quale ha visto certo diminuire il costo dei telefoni, ma non migliorare il servizio da parte di nessuno dei competitori “in gara”. E poi non credo che il miglioramento del servizio, per il potenziamento complessivo di un paese, sia quello riguardante i “privati cittadini”; nemmeno solo quello rivolto alle “imprese”. Le telecomunicazioni non possono servire a nient’altro? Anche se non dobbiamo “entrare in guerra” con nessuno, non vi sono altri vantaggi per un determinato paese nel controllo e uso adeguato di un ben articolato ed efficiente sistema di comunicazioni? E magari nel suo realmente decisivo perfezionamento e potenziamento, che forse non comporterà un’apprezzabile discesa dei prezzi per i consumatori ma altri vantaggi di carattere più generale? Domande a cui non mi azzardo di rispondere. Tuttavia, tutta questa sedicente concorrenza ha degradato il servizio persino per i singoli. Per altri scopi, figuriamoci!

La Telecom è ormai “privata”; ma non ha proprio alcuna importanza la forma proprietaria, salvo che per i…..formalisti. Il problema è sempre politico, di scelte di un potere centrale che faccia o non faccia gli interessi nazionali. Credo si dovrebbe azzerare l’attuale management e nominarne un altro in grado di progettare e poi attuare un vero piano industriale, non invece di seguire ossessivamente l’andamento delle borse, l’indebitamento, gli utili conseguibili o meno con la Tim Brasile, ecc. Qui però casca l’asino! Gli interessi del paese non sembrano certo nelle corde di un Governo come quello in carica, ma nemmeno in quelle dell’opposizione. Occorre una svolta, proprio di potere politico e quindi di decisioni autonome concernenti l’intero paese. Dagli schieramenti attuali – molto più obliqui e intricati di quanto non appaia dai giochetti di fittizia contrapposizione tra maggioranza e minoranza – non ci si aspetti nulla di buono, salvo la nostra continua dipendenza dai predominanti centrali. Siamo avvolti in una rete di inganni, di melassa ideologica che afferma il bianco per tingere di nero, e viceversa. Occorre una continua opera di demistificazione, in una situazione difficile e con pochi strumenti a disposizione. E poi, alla fine, non basterà la demistificazione, perché “in ultima analisi” contano i rapporti di forza. Tuttavia, continuiamo a fare quanto è per il momento possibile fare, in attesa……speriamo “non di Godot”.  

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GEORGIA: OBIETTIVI RUSSI

 

di Pierre VERLUISE (FONTE DIPLOWEB, TRAD. di G.P.)

 

Contribuendo a trasformare la Georgia in una zona di forti tensioni, la Russia intende segnare la fine di un’epoca e l’inizio di un nuovo momento geopolitico.

D. Medvedev e V. Putin si iscrivono largamente in una ricerca di potenza, tanto sul campo energetico che strategico, sia rispetto all’UE che riguardo alla NATO. QUALI POSSONO essere gli obiettivi geopolitici della Russia nel conflitto che la oppone alla Georgia? Al rischio di un deterioramento della sua immagine in Europa, perché scegliere scaltramente una strategia della tensione invece del negoziato?

La fine di una partita, l’inizio di un’altra

Contribuendo a trasformare la Georgia in una zona di forti tensioni, Dimitri Medvedev e Vladimir Poutine vogliono prima di tutto “fischiare la fine della partita„. Il 17 febbraio 2008, la dichiarazione d’indipendenza del Kosovo, presto riconosciuta dagli Stati Uniti e dalla maggioranza dei membri dell’Unione europea – nonostante le contestazioni di Mosca – ha aperto un vaso di Pandora facile da strumentalizzare: Transnistria, Ossezia meridionale, Abhasia… non sono “i conflitti congelati„ che mancano. In questo gioco, il Cremlino ha molte munizioni affinchè le sue decisioni siano maggiormente prese in considerazione. Gli anni durante i quali gli occidentali potevano “passare di forza„ sono ormai dietro noi. Già da qualche tempo, una nuova fase viene alla luce. Infatti, l’esecutivo russo si iscrive largamente in una ricerca di potenza, tanto sul campo energetico che strategico.

Obiettivo energetico

Dall’inizio degli anni 2000, la Russia sviluppa gradualmente “un’arma energetica„. (1). Nel caso della Georgia, un primo obiettivo del Cremlino potrebbe essere di condurre la crisi ad un livello sufficiente a nuocere i progetti occidentali di costruire sul territorio georgiano infrastrutture destinate a trasportare – senza passare per la Russia – gli idrocarburi del Mar Caspio, dell’Asia centrale, e anche dell’Iran. Perché? Perché tali progetti demonetizzano il ruolo di Mosca sulla scacchiera energetica mondiale. Poiché il Cremlino si è garantito il monopolio sulle condutture e gasdotti della Russia, Mosca intende consolidare il suo status di potenza energetica, non soltanto con i suoi prodotti ma con quelli dei suoi vicini. In altre parole, è inevitabile, affinché le riconoscano lo statuto di grande potenza alla quale aspira. Firmando accordi con le Repubbliche dell’Asia centrale a fine 2007, la Russia ha attuato con successo un raddoppiamento: captare la risorsa “dello straniero prossimo„ per rivenderla – con vantaggio – agli europei, ed indebolire il progetto del gasdotto Nabbucco immaginato dalla Commissione europea per accedere direttamente alle risorse del Caspio. L’Asia centrale diventa così una variabile importante della distribuzione energetica russa, che permette al Cremlino di garantire le sue consegne pur consolidando il suo ascendente sull’UE, il suo primo cliente. Giocando l’escalation con Tbilissi, la Russia trasforma la Georgia “in un paese a rischio„ elevato per le imprese occidentali tentate di costruire le infrastrutture d’esportazione che il Cremlino non vuole. Tenuto conto delle responsabilità precedenti di D. Medevdev nell’esecutivo di Gazprom (2), c’era da prevedere che il suo accesso alla presidenza avrebbe visto la Russia affermare il suo gioco “di impero energetico„. La guerra russo-georgiana ne è la dimostrazione. Obiettivo strategico

Il secondo obiettivo del Cremlino può essere puramente strategico: destabilizzare la Georgia al punto da rendere più difficile l’inizio di un processo di adesione alla NATO. È vero che il vertice precedente della NATO a Bucarest (aprile 2008) si è già concluso con un rifiuto di accordare alla Georgia ed all’Ucraina un Piano d’azione in previsione dell’adesione (MAP), nonostante gli appelli pressanti di G.W. Bush a non accordare così de facto alla Russia “un diritto di veto„ dissimulato sulle decisioni della NATO. Alexandre Adler se ne rallegrò all’epoca: “Occorre rallegrarsi molto chiaramente che una connessione franco-tedesca, infine ricostituita per la circostanza, abbia sepolto il progetto di candidatura dell’Ucraina e della Georgia alla Nato„ (3) accordare all’Ucraina una MAP sarebbe stato, secondo quest’autore, “un atto di guerra, almeno un atto di guerra fredda qualificato. „ Ci si potrebbe tuttavia chiedere se la divisione della NATO in occasione del vertice di Bucarest su queste “candidature alla candidatura„ non sia stata interpretata dagli strateghi russi come una finestra di apertura. Infatti, alcuni responsabili georgiani ed ucraini non perdevano la peranza su un prossimo vertice che permettesse loro di avviare la procedura di un’adesione alla NATO. Di conseguenza, riattivare la crisi delle nazionalità nel Caucaso attraverso l’Ossezia meridionale e l’Abhasia ha un senso per il Cremlino. Perché non cogliere le occasioni che si presentano? Questo dato di fatto pone almeno due questioni, una sulla Comunità euro-atlantica, l’altra a proposito della Russia.

Come l’UE e la NATO reagirà?

I 21 stati membri dell’Unione europea che sono anche membri della NATO sapranno trovare un’analisi comune ed una strategia efficace di fronte alla guerra russo-georgiana? Come reagiranno gli stati membri dell’UE che non sono membri della NATO? L’Unione europea conta 27 Stati membri, tutti forti di una storia diversa, in particolare riguardo alla Russia. Ed ogni paese raccoglie attori che possono avere approcci contraddittori. Le imprese, le cerchie di esperti, le reti d’influenza, i vari ministeri e la direzione politica di uno Stato membro non hanno necessariamente gli stessi interessi. Ne risulta generalmente sulla scala di uno stesso paese più di una strategia. Cosa dire, allora, sulla scala dell’Europa comunitaria? Questa è divisa in molte istituzioni e cerchie, che cercano ciascuno di fare valere un punto di vista, ovviamente in nome dell’interesse generale. Di fronte alla folla di attori e di strategie degli stati membri dell’Unione europea, un interlocutore unico: la Russia. Questa possiede una conoscenza eccellente delle società europee e dei legami, differenziati, abili e determinati. E che faranno i 5 membri della NATO… che non sono membri dell’UE, a cominciare dagli Stati Uniti?

Russia: il ritorno?

Seconda questione: la Russia è già ridiventata una potenza? All’inizio del 2008, Anne de Tinguy (CERI) rispondeva con prudenza, in particolare perché il paese rimane segnato dalla debolezza delle infrastrutture ed da una tendenza pesante allo spopolamento. (4) “Queste costrizioni economiche e demografiche trasformano la Russia non in una grande potenza che potrebbe bastare a sè stessa e pesare sul resto del mondo, ma in una potenza che media, che ha bisogno del mondo esterno per differenziare e modernizzare la sua economia ed il cui interesse è di stabilizzare le sue posizioni internazionali sostenendosi su partner affidabili. „ (5) La guerra russo-georgiana viene a modificare questi fondamentali? E se la Russia intendesse (ri)costruire la sua potenza non sul suo potere di seduzione – il soft power, che utilizza ad esempio la Transnistria con Proriv – ma semplicemente sull’impiego della forza? La seconda guerra della Cecenia ha in gran parte dimostrato che la Russia conserva un culto per l’impiego della forza. Del resto, la popolazione russa non sostiene in maniera massiccia il suo governo? Ciò porta ad interrogarsi: la Georgia sostituirà la Cecenia nella sua funzione sociale interna? […]

 

Ps: salto volutamente l’ultima parte di questo articolo perché da giudizi sulla psicologia sociale russa che sono tutti da provare e che emanano un forte "afrore" ideologico (G.P.)

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Cf. C. BAYOU et P. VERLUISE, « Russie, énergie et géopolitique », dans A. CIATTONI (dir.) La Russie. Paris : Sedes, 2007.

 

 

[2] Anecdote significative, cette entreprise co-finance pour la saison 2009 une équipe cycliste de très haut niveau baptisée Katioucha, comme les missiles de l’armée soviétique. (Le Monde, 17 juillet 2008)

[3] A. ADLER, « L’intérêt des Etats-Unis et celui de l’Europe dans l’Otan », Le Figaro, 5 avril 2008.

[4] Cf. G.-F. DUMONT, « La Russie en forte dépopulation », Population & Avenir, n° 684, septembre-octobre 2007, p. 3. Voir aussi ce qui se rapporte aux causes démographiques de la fin de l’URSS dans la conclusion de G.-F. DUMONT, Démographie politique. Les lois de la géopolitique des populations, Ellipses, 2007.

[5] A. de TINGUY, Moscou et le monde. L’ambition de la grandeur : une illusion ?, CERI/Autrement, 2008, p. 207.